Durante i lavori del Salone Europeo digitale sulla Blue Economy, Sealogy, si è svolto un evento online dedicato al tema della consapevolezza nella gestione dell’acqua. L’impronta idrica è un indicatore del volume totale di risorse idriche utilizzate per produrre beni e servizi consumati dagli abitanti/fruitori del territorio. La metodologia da comprende è come utilizzare l’acqua, prelevata da fiumi, laghi e falde acquifere (acque superficiali e sotterranee), impiegata nei settori agricolo, industriale e domestico e l’acqua delle precipitazioni piovose utilizzata in agricoltura. L’analisi è stata caratterizzata dall’importanza di non sottovalutare l’innovazione tecnologica che ha il potenziale per ridefinire le dinamiche relazionali, gestionali e commerciali transfrontaliere e accelerare il movimento continuo di prodotti, servizi e potenzialmente creare un ambiente collaborativo globale.
Raggiungere un eco-equilibrio e una eco-efficienza condividendo nuove tipologie di pianificazione per la stabilità dei porti e delle marine dell’Adriatico italiano attraverso metodologie innovative, infrastrutture e formazione del professionale. Importante è comprendere l’impronta idrica dei territori che permette di analizzare il volume dell’acqua utilizzata per produrre un bene o un servizio, identificare una componente qualitativa, rappresentare una soluzione più estesa e completa, poiché include l’utilizzo dell’acqua indiretta e considera i dati relativi sia al rapporto del consumo dell’acqua che in rapporto al fenomeno dell’inquinamento. L’impronta idrica è monitorabile attraverso tre categorie: blu (volume dell’acqua dolce utilizzata), verde (il volume dell’acqua dolce inglobata) e grigia (volumi di acqua inquinata). Come ben sappiamo, l’acqua potabile viene utilizzata da più paesi e quelli sviluppati sprecano molto il patrimonio liquido così come in tali contesti sono considerevoli le quantità di produzione di “acqua grigia”.
La cooperazione transfrontaliera permette di tutelare l’accesso al patrimonio liquido valorizzando il bene comune. L’impronta idrica permette di avere dati sulla sostenibilità, lo spazio temporale delle risorse, l’ottimizzazione dei processi produttivi, la formulazione di processi produttivi, la formulazione di politiche ambientali mirate, la conoscenza e il consolidamento dell’impatto sostenibile di una comunità e permette di mutare gli approcci culturali e comunicativi, educando al corretto utilizzo della gestione dell’acqua. La chiave per una buona gestione della capacità idrica è la conoscenza. Come ribadito, durante i lavori, da Elena Gauido del ministero dell’Istruzione “la formazione deve porre attenzione sia a quella che è la formazione generale legata all’acqua sia a ciò che rappresenta l’intervento di tutela e gestione delle acque sotterranee, superficiali, intensive e marine”.
Il nuovo indirizzo di studio in “Gestione delle acque e risanamento ambientale” permette di sviluppare competenze per lavorare nei processi di gestione, monitoraggio e manutenzione dei corsi dell’acqua, dei laghi e dei percorsi artificiali. Importante è porre particolare attenzione a quei canali artificiali fortemente modificati dalle canalizzazioni di bonifica e gli alvei fluviali delle coste. Una formazione alla gestione dell’acqua può permettere di analizzare e interpretare planimetrie, schemi di bacini e di infrastrutture idrauliche, gestione e processo degli assetti legati al patrimonio liquido. Sostanzialmente, collaborare alla gestione e manutenzione dei corsi d’acqua, dei laghi e dei canali artificiali anche quelli fortemente modificati dalla gestione umana di tali percorsi.