Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922 – Roma, 1975) è un intellettuale a tutto tondo che spazia in ogni campo della cultura italiana, ma non è azzardato affermare che proprio nel cinema lascia i lavori più convincenti. Il suo legame con il neorealismo è innegabile, soprattutto nei primi film ambientati nella Roma delle borgate e del sottoproletariato urbano. Citiamo Accattone(1961), Mamma Roma(1962), La ricotta(1963 – episodio di Ro.Go.Pa.G), Uccellacci e uccellini(1966), ma anche un intenso e partecipato Vangelo secondo Matteo (1964) che presenta i volti dei ragazzi di vita e della madre del regista nei panni di Maria. Piero Brunetta scrive nella sua indispensabile Storia del cinema italiano: “Nei volti dei ragazzi di vita romani, così come in seguito in quelli di Napoli e della Lucania, India, Africa, il regista ritrova la stessa forza sacrale di certi affreschi medievali, o la fisicità di opere di Piero della Francesca, filtrate attraverso la lezione di Roberto Longhi”.
Pasolini è una figura eccezionale nel panorama culturale del dopoguerra, un intellettuale marxista non ortodosso, inviso al partito comunista a causa di una sfacciata omosessualità, ma è anche un acuto osservatore del nostro tempo. I suoi film sono un atto di accusa nei confronti di una società moderna che rinuncia ai valori tradizionali e alle identità regionali in favore di un consumismo sfrenato. Pasolini utilizza attori ingenui e veraci, spesso non professionisti, racconta la vita quotidiana con pessimismo, cercando di conciliare marxismo e spiritualità cristiana. La ricotta è un film quasi blasfemo, Uccellacci e uccellini è un apologo surreale sul marxismo interpretato da un grande Totò che conquista la scena assolata delle periferie romane insieme allo spontaneo Ninetto Davoli.
Il film rappresenta una sorta di testamento spirituale di Pasolini, ormai convinto che la classe operaia è cambiata e che non esiste un’idea di rivoluzione storicamente possibile. Il viaggio di Totò e Ninetto Davoli è un viaggio nella storia d’Italia del dopoguerra, condito di colte citazioni cinematografiche e letterarie che vanno da Totò a Fellini, passando per Zavattini, Chaplin, Brecht e De Sica. Altre sue opere importanti sono di derivazione letteraria come Edipo re (1967), Appunti per un’Orestiade africana (1970) e Medea (1970). Non dimentichiamo gli apologhi antiborghesi di Teorema (1968) e Porcile (1969), pellicole grottesche, metaforiche e a tratti violente.
Ai nostri fini è molto importante la Trilogia della vita, tentativo di adattare al cinema erotico capolavori letterari come Il Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972) e Il fiore delle mille e unanotte (1974). Pasolini successivamente rivede la sua opera e abiura la Trilogia, ma ormai è già nato un sottofilone commerciale come il decamerotico che caratterizza alcuni anni di cinema bis italiano. Il modello colto di Pasolini produce la commedia scollacciata medioevale, antesignana della commedia sexy. Non è certo lo scopo dell’intellettuale che sfoga tutta la sua delusione nell’opera postuma Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975), apocalittico apologo contro il potere, film violento e nichilista che non lascia speranza. Nonostante tutto anche questo film d’autore, insieme a SalonKitty (1976) di Tinto Brass, genera cloni commerciali nel cinema bis e produce i sottogeneri women in prison, nazi-erotico e tanto cinema sadico fine a se stesso. Pasolini muore nel 1975, ucciso probabilmente da uno di quei ragazzi di vita che ha raccontato in tanti romanzi, articoli di opinione, poesie e pellicole cinematografiche.
Abbiamo anticipato che il decamerotico è l’antesignano della commedia scollacciata. Vanno ricondotti a questo sottogenere tutti quei film che prendono le mosse da Il Decameron (1971) di Pier Paolo Pasolini ma che si differenziano per una maggior attenzione ai temi erotici e farseschi. Nel 1972 Edwige Fenech ne interpreta tre di un certo interesse: La bella Antonia prima Monica e poi dimonia di Mariano Laurenti, Quando le donne si chiamavano Madonne di Aldo Grimaldi e il fondamentale Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda sempre di Mariano Laurenti.
Il Decameron di Pasolini è il modello colto di riferimento cui si ispirano tanti registi di questo periodo che si dedicano al sottogenere, tanto che solo nel 1972 escono trentadue decamerotici. La moda si affievolisce presto e dura solo tre anni, alla fine del 1975 già non si parla più di decamerotico. Altri generi popolari come lo spaghetti-western e il poliziottesco sono più longevi, ma favorisce la fine del decamerotico proprio la commedia sexy ambientata in tempi moderni.
Ilprimo decamerotico è Una cavalla tutta nuda (1972) di Franco Rossetti che vede all’opera il cantante Don Backy (attivissimo nel genere) e Renzo Montagnani assieme alla bellissima Barbara Bouchet. Possiamo citare anche gli interessanti Decameron n.2… le altre novelle del Boccaccio (1972), Gli altri racconti di Canterbury (1972) e Le favolose notti d’oriente (1973) di Mino Guerrini, che realizza una controtrilogia pasoliniana rivista con taglio scollacciato. Interessante pure Boccaccio (1972), una produzione ricca girata da Bruno Corbucci con attori noti come Enrico Montesano, Sylva Koscina, Pippo Franco e Alighiero Noschese. Citiamo titoli minori come: Il prode Anselmo e il suo scudiero (1972) di Bruno Corbucci, Decameron n. 3… le più belle donne del Boccaccio (1972) di Italo Alfaro, Decameron n. 4… le belle novelle del Boccaccio (1973) di Paolo Bianchini, Decamerone proibito – Le altre novelle del Boccaccio di Carlo Infascelli (valorizzato da attrici come Orchidea De Santis, Gabriella Giorgelli e Malisa Longo), Decameron proibitissimo – Boccaccio mio statte zitto (1972) di Marino Girolami, Decameroticus (1972) di Piergiorgio Ferretti, Decameron ’300 (1972) e Mamma… li turchi (1972) di Renato Savino, Decamerone nero di Piero Vivarelli (originale perché girato in Senegal ed è una via di mezzo tra mondo movie e decamerotico) e Le calde notti del Decameron (1974) di Gian Paolo Callegari con le stupende Orchidea De Santis e Femi Benussi. Il genere decamerotico vede come attrici fondamentali Orchidea De Santis, Gabriella Giorgelli, Femi Benussi e Rosalba Neri.
Edwige Fenech si inserisce nel gruppo con la fondamentale trilogia che va oltre il decamerotico puro e semplice. Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda (1972) di Mariano Laurenti deve la sua fortuna a un titolo volgarissimo che promette molto più di quanto mantiene. Il film inaugura una serie di pellicole dai titoli lunghissimi e provocanti e la bella franco-algerina ne interpreta un discreto numero, non solo di genere decamerotico. Orchidea De Santis, invece, rappresenta uno dei simboli femminili di una stagione durante la quale fioriscono film di ispirazione pasoliniana che prelevano dal Decameron (1971) soltanto l’aspetto comico – erotico. Femi Benussi è un’altra attrice simbolo del decamerotico, per il fascino ruspante e genuino, per la bellezza abbondante e carnosa, per simpatia e spontaneità. Nei decamerotici non ci sono mai discorsi di liberazione sessuale e sottintesi culturali, lo spettatore di queste pellicole è interessato solo all’esibizione di sessualità condita da volgarità e battute comiche. Le storie dei decamerotici sono quasi tutte uguali: mariti cornuti e impotenti, suore e frati che si danno un gran da fare fuori e dentro il convento ma non certo a pregare, mogli puttane e fedifraghe e via di questo passo. Storie e battute da avanspettacolo, racconti di tradimenti, eccessi erotici, corna senza ritegno. Tra i film più violentati dal sottogenere oltre al Decameron citiamo I racconti di Canterbury (1972) e persino Il fiore delle Mille e una notte (1974). Pasolini non disapprova questa serie di film scollacciati, secondo lui non è negativo ispirare la pornografia. “Tutto è meglio che una trasmissione televisiva”, afferma.
Molta critica cinematografica rasenta l’assurdo definendo il decamerotico cinema pornografico, ma la stessa classificazione – dura a morire e frutto di vedute ristrette – serve anche a ghettizzare la commedia sexy e i suoi interpreti.