Nino Manfredi, Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman hanno girato sporadicamente commedie da loro stessi interpretate e in alcuni casi la tematica erotica l’ha fatta da padrone. Vediamo in sintesi le loro opere, anche se nel caso di Gassman il tema della commedia sexy non viene mai sfiorato.
Nino Manfredi (Frosinone, 1921 – Roma, 2004) è un attore importante della nostra commedia, laureato per caso in giurisprudenza e diplomato all’Accademia di Arte Drammatica. Attore brillante, doppiatore, attivo nel cinema, in teatro e in televisione, famoso per gustose macchiette di personaggi ben caratterizzati psicologicamente. Manfredi è una colonna della commedia all’italiana, ma le sue interpretazioni mature e ben calibrate gli consentono di ricoprire ruoli importanti, giocati su mimica e silenzi. Indimenticabile il ruolo da Geppetto nel Pinocchio televisivo di Comencini, ma anche le grandi prove di C’eravamo tanto amati, Pane e cioccolata e Cafè Exspress. Come regista ricordiamo tre film: L’amore difficile (1962), episodio L’avventura di un soldato, Per grazia ricevuta (1974) e Nudo di donna (1981).
L’amore difficile (1962) è girato in collaborazione tra Sergio Sollima, Luciano Lucignani, Nino Manfredi e Alberto Bonucci. Si tratta di una commedia a episodi dalla prevalente tematica erotica che parla di amore e tradimento, ma lo scopo è quello di far ridere, senza tante complicazioni psicologiche. Le donne di Sergio Sollima (regista insolito per questo tipo di cinema) è un episodio tratto da un racconto di Ercole Patti, interpretato da Catherine Spaak, Claudia Mori ed Enrico Maria Salerno. Salerno è un dongiovanni che frequenta una prostituta appena sposata (Mori) e una ragazzina maliziosa che è ancora vergine (Spaak). L’avaro di Luciano Lucignani deriva da un racconto di Alberto Moravia ed è interpretato da Vittorio Gassman, Nadja Tiller, Lilla Brignone e Adriano Rimoldi. Gassman è un modesto impiegato che manda avanti un’esistenza grigia e illude una moglie insoddisfatta. L’avventura di un soldato di Nino Manfredi, deriva da un racconto di Italo Calvino ed è interpretato dall’attore insieme a Fulvia Franco. Tutto è giocato sulla seduzione che avviene in treno tra un soldato e una vedova muta e consenziente. Il serpente di Alberto Bonucci proviene da un racconto di Mario Soldati ed è interpretato da Lilli Palmer, Bernard Wicki e Gastone Moschin. Una turista tedesca, inquieta e insoddisfatta del matrimonio, si trova in Sicilia e accusa di stupro due innocenti camionisti. Sceneggiature di Ettore Scola, Fabio Carpi e Sandro Continenza. Il film è ambizioso, anche perché i soggetti vengono prelevati da buone opere letterarie di autori affermati. Manfredi gira e interpreta un episodio eccellente, muto, privo di dialoghi, fatto di sguardi e sensazioni.
Per grazia ricevuta (1974) è il film migliore tra i pochi girati da Nino Manfredi, “per la delicatezza dei toni e la sincera commozione che lo pervade” (Poppi). Interpreti: Nino Manfredi, Lionel Stander, Delia Boccardo, Veronique Vendell, Paola Borboni, Mario Scaccia, Fausto Tozzi, Mariangela Melato e Tano Cimarosa. Benedetto Parisi durante un’operazione delicata ripercorre la propria vita e il film si sviluppa come un lungo flashback. Vediamo l’infanzia del bambino segnata dal miracolo e dal senso del peccato, la crescita in un convento dove lavora come garzone, una vita da venditore ambulante, infine la convivenza con Giovanna (Boccardo) e la grande amicizia che lo lega a Oreste, il suocero anarchico (Stander). Benedetto non si sposa in chiesa perché il suocero non vuole, ma in fin di vita anche il vecchio anarchico chiama un prete al capezzale e ricorre all’estrema unzione. Grande film diretto da Manfredi, ma soprattutto interpretazione mirabile della figura di un uomo pieno di dubbi e contraddizioni, che ha ricevuto un’educazione cattolica oscurantista. Stander come vecchio anarchico che completa la formazione di Manfredi è eccellente e servirà come esempio per ruoli futuri. Stander si chiama Oreste in omaggio allo scrittore Oreste del Buono, che incoraggia Manfredi a scrivere e girare una storia ricca di elementi autobiografici. La pellicola è segnata dalla presenza del miracolo (o presunto tale) che perseguita il protagonista sin da bambino. Benedetto riceve un’educazione repressiva che identifica il sesso con il peccato, non riesce a confessare di aver visto la zia nuda e finisce in un burrone dopo una lunga corsa. Sant’Eusebio lo salva – almeno così si dice – e il ragazzino viene affidato ai frati di un convento. Guarisce dall’ossessione religiosa per merito del farmacista anarchico Oreste che gli concede in sposa la figlia. Tornano i dubbi religiosi quando il genero in punto di morte accetta l’estrema unzione. La tentazione del sesso fa vacillare la fede di Benedetto che perde la vocazione e si innamora di una bellissima Delia Boccardo. Un film intelligente sui tabù religiosi caratterizzato da elementi di buona commedia erotica. Grande successo di pubblico e Premio Opera Prima a Cannes. Manfredi canta Per grazia ricevuta e Me pizzica, me mozzica.
Nudo di donna (1981) è un film cominciato da Alberto Lattuada che dopo alcuni contrasti con Manfredi abbandona il set e lo lascia nelle mani dell’attore principale. Non è un capolavoro e delude le attese di chi attendeva un nuovo Per grazia ricevuta. Interpreti: Nino Manfredi, Eleonora Giorgi, Georges Wilson, Jean-Pierre Cassel, Carlo Bagno e Donato Castellaneta. Il film è ambientato in una Venezia ben fotografata durante il carnevale e racconta la crisi coniugale di Sandro (Manfredi) e Laura (Giorgi). Il regista mostra una coppia annoiata, lui si addormenta al matrimonio della figlia e sbadiglia durante il discorso dello zio cardinale, lei lavora molto nella sua libreria antiquaria e non si prende momenti di pausa. Sono sette mesi che la coppia non riesce a fare l’amore, in compenso i litigi sono frequenti e il marito conosce pure un architetto omosessuale che lo porta a scoprire la Venezia notturna. Manfredi approfitta dei litigi per mostrare alcuni plastici nudi di Eleonora Giorgi, al culmine della sua bellezza, prima sotto la doccia, poi sdraiata sul letto. Dopo l’ultima lite la coppia concorda un periodo di separazione che il marito vive insieme all’amico architetto, anche se precisa di avere gusti sessuali diversi. Sandro vede una foto ad altezza naturale di una donna nuda che mostra il sedere e quella visione lo sconvolge perché il ritratto ricorda molto la moglie. Il marito confronta il sedere di Laura quando torna a casa con la scusa di aver dimenticato le chiavi e decide di cercare la donna che ha posato nuda per la foto. Dopo alcune peripezie incontra Rirì (ancora interpretata da Eleonora Giorgi), una prostituta che è identica alla moglie. Tutto si svolge con un sottofondo di musica jazz, lungo le calle di una Venezia in preda alla follia carnevalesca, tra maschere allegre, volti tristi e lunghe corse di Manfredi che cerca di capire. La prostituta del quadro è bella e stravagante, indossa una parrucca e quando la toglie mostra capelli identici alla moglie, porta calze colorate e minigonne che slanciano le lunghe gambe. La ragazza è molto disinibita, invita Sandro a casa, cucina per lui pesce fritto e soprattutto lo sblocca sessualmente. Il dubbio che sia la moglie travestita logora Sandro, ma potrebbe essere una straordinaria somiglianza e persino un’allucinazione. Il regista non chiarisce mai fino in fondo e lascia lo spettatore nell’incertezza. A un certo punto Rirì scompare, affidando il suo addio a un messaggio infilato nel collare del gatto, ma se ne va anche Laura, stanca delle fughe del marito, ma soprattutto dei suoi ritorni. Le sequenze finale riprendono una festa di carnevale nel giorno di martedì grasso, dove apprezziamo cinematografiche a non finire e un’atmosfera da pellicola di Tinto Brass. Sandro ritrova la moglie, ma non è sicuro se è Laura, potrebbe trattarsi anche di Rirì. “O me o l’altra”, dice la donna. “Perché io so che c’è un’altra. Prima decidi e poi ti dico chi sono”. Sandro non ha dubbi: “Aspetta, vengo con te”. La storia è narrata in modo faticoso, poco credibile e soprattutto ripetitivo, perché non regge la canonica durata del lungometraggio. Le ambizioni sono eccessive e i risultati modesti. Molto nudo, commedia erotica ai massimi livelli, con la Giorgi nel pieno del suo giovanile splendore impegnata in plastiche pose dorsali che mostrano uno stupendo lato B. Soggettisti e sceneggiatori si sprecano per un’opera irrisolta: Manfredi, Paolo Levi, Age, Scarpelli, Maccari e Buzzo. Troppi, forse. Musiche di Maurizio Gianmarco e Roberto Gatto.
Ugo Tognazzi (Cremona, 1922 – Roma, 1990) comincia la carriera nel dopoguerra come attore teatrale, diventa protagonista di molti film comici ed è tra i principali artefici della commedia all’italiana. Attore brillante di modesti film interpretati in coppia con Raimondo Vianello, ma anche di riuscite caratterizzazioni comico – grottesche con registi del calibro di Luciano Salce (Il federale, La voglia matta…), Marco Ferreri (La donna scimmia) e Mario Monicelli (Amici miei). In questa sede interessano i pochi film girati da regista, che in alcuni casi anticipano la commedia sexy e in altri rientrano nel genere a tutti gli effetti. Non sono molti: Il mantenuto (1961), Il fischio al naso (1966), Sissignore (1968), FBI – Francesco Bertolazzi investigatore (1969 – serie TV), Cattivi pensieri (1976) e I viaggiatori della sera (1979).
Il mantenuto (1961) è una pochade ironica che critica con decisione l’Italia del boom dove tutti cercano il benessere, non importa con quale mezzo, ma l’importante è ottenere l’agiatezza economica. Interpreti: Ugo Tognazzi, Ilaria Occhini, Marisa Merlini, Margaret Robsahm, Mario Carotenuto, Franco Ressel, Gianni Musy, Mario Casrtellani, Raimondo Vianello e Jimmy il Fenomeno. Tognazzi è un impiegato che corteggia una prostituta (Occhini) senza sapere niente del suo mestiere e soprattutto senza rendersi conto che tutti lo considerano il protettore. In realtà il destino del protagonista potrebbe essere peggiore, perché una ricca vedova (Merlini) lo vorrebbe accanto come mantenuto. Antesignano della commedia sexy, perché gli stilemi del genere ci sono tutti, è anche un film di denuncia pieno di gag visive e di intuizioni geniali. Bel finale onirico che critica la società dei consumi con il protagonista che resta solo e impazzisce in un supermercato. Sceneggiatura di Giulio Scarnicci, Renzo Tarabusi, Luciano Salce, Franco Castellano, Pipolo e Tognazzi.
Il fischio al naso (1966) è una commedia surreale che adatta al cinema il racconto Sette piani di Dino Buzzati. Interpreti: Ugo Tognazzi, Olga Villi, Alicia Brandet, Franca Bettoja, Tina Louise, Gigi Ballista, Riccardo Garrone, Alessandro Quasimodo, Marco Ferreri e Gildo Tognazzi. Un industriale di successo si accorge di avere il difetto di emettere un fischio dal naso, viene ricoverato in una clinica, ma ci resta prigioniero, perché i medici lo spostano di piano in piano, a causa di un aggravamento del male. Il secondo film diretto da Tognazzi giunge dopo sei anni dal debutto dietro la macchina da presa. Collaborano alla sceneggiatura Giulio Scarnicci, Renzo Tarabusi e Alfredo Pigna, che trasformano una denuncia sociale sulla mercificazione della scienza in una commedia nera venata di grottesco. Nel film c’è Franca Bettoja, moglie di Tognazzi, nei panni dell’amante, ma pure il padre Gildo, che interpreta il padre del protagonista. Il regista Marco Ferreri è il dottor Salamoia. Da questa pellicola l’attore ricava la commedia teatrale Un caso clinico, portata in scena al Piccolo di Milano.
Sissignore (1968) è una commedia satirica contro il capitalismo, dal tono grottesco ma dalla sceneggiatura prevedibile. Interpreti: Ugo Tognazzi, Gastone Moschin., Maria Grazia Buccella, Franco Fabrizi, Ferruccio De Ceresa, Franco Giacobini e Donatella Della Nora. Scenografie di Luciano Ricceri a base di costosi oggetti d’epoca: lampade Artemide e Fontana, televisori Brionvega, quadri di Baj e di Schifano. Soggetto e sceneggiatura di Tonino Guerra, Luigi Malerba, Franco Indovina e Ugo Tognazzi. Un autista (Tognazzi) va in galera al posto del padrone (Moschin), quando esce ne sposa l’amante (Buccella), ma ovviamente è un marito in bianco e in compenso funge da prestanome e da capro espiatorio del datore di lavoro. Tognazzi arriva persino a dare un orecchio per il suo padrone. Il film è troppo scontato e prevedibile, soprattutto non esiste equilibrio tra amarezza e grottesco. Ai nostri fini non mancano le parti erotiche e Maria Grazia Buccella – nella consueta interpretazione da sciroccata – mostra le sue grazie con generosità.
FBI – Francesco Bertolazzi investigatore (1969 – serie TV) non rientra nella nostra trattazione, perché si tratta di una serie di sei episodi diretta e interpretata da Tognazzi sulle avventure di un detective molto italiano, aiutato dal suocero, dalla moglie e dai figli. Un poliziesco giallo – rosa che non ha niente di erotico. In onda sul Programma Nazionale, dal 19 aprile 1970, prima serata di domenica.
Cattivi pensieri (1976) è il film della consacrazione artistica per Edwige Fenech che compie il salto di qualità sotto la regia di Ugo Tognazzi. Si tratta di una pellicola indefinibile, a metà strada tra l’erotico, il giallo e la commedia che non è piaciuta quasi a nessuno. Primo tra tutti Marco Giusti che lo definisce “uno dei lavori più disastrosi di Ugo Tognazzi … di una noia paurosa… ripetitivo come pochi”. Paolo Mereghetti invece lo definisce “assai curioso e perfino disturbante, ma ingiustamente bistrattato”. Il soggetto è di Antonio Leonviola, la sceneggiatura dello stesso Tognazzi, i dialoghi di Enzo Jannacci e dello scomparso Beppe Viola (che fa pure il commissario). Interpreti: Ugo Tognazzi, Edwige Fenech, Massimo Serato, Luc Merenda, Paolo Bonacelli, Orazio Orlando, Piero Mazzarella, Veruschka, Mircha Craven, Mara Venier e Ricky Tognazzi. A parere di chi scrive è un film erotico ben fatto, niente a che vedere con il giallo e con la commedia sexy, lo abbiamo visto con piacere diverse volte nel corso di questi anni. Di sicuro per chi vuole apprezzare Edwige Fenech in una delle interpretazioni più “calde” della sua carriera è un film imperdibile. Nuda così non si era mai vista, soprattutto in situazioni piuttosto scabrose, quasi sempre immaginate nel corso di parti oniriche da un Tognazzi nei panni di un marito convinto di essere cornuto. La Fenech regge tutto il film con la sua conturbante presenza di moglie stupenda e fedele che però il marito immagina puttana e fedifraga. L’avvocato Mario Marani (Tognazzi) non parte da Malpensa per colpa della nebbia e quando torna a casa vede due piedi nudi maschili nell’armadio di casa. Tognazzi crede che la moglie nasconda un amante e per vendetta decide di chiuderlo nell’armadio, di sprangare casa e di partire per una battuta di caccia insieme ad alcuni amici ricconi. Durante la giornata il marito immagina una serie di situazioni scabrose che hanno per protagonista la moglie e i suoi presunti amanti. La Fenech è molto bella, vestita da borghese elegante, con una mise sensuale, il viso angelico e provocante. Tra le parti oniriche ricordiamo una scena molto spinta tra la Fenech e Luc Merenda (donnaiolo venezuelano) che scopano sopra un tavolo e poi si lanciano sul letto a rallentatore. Un altro rapporto immaginario mostra la Fenech insieme a Mircha Carven (attore porno), maestro di sci a Madonna di Campiglio che come un novello Sandokan delle nevi uccide un orso e poi fa l’amore con lei pieno di graffi sulla pelle. I sogni di Tognazzi si alternano a scenate di gelosia e umiliazioni come quando in un albergo di Torino fa sollevare la gonna alla Fenech e le dice: “Fammi vedere le cosce. Tirati su la sottana. Quanti te l’hanno infilato lì dentro?”. La moglie pare frigida e reagisce molto svogliata. Un altro sogno mostra la moglie nuda in piscina circondata da uomini con enormi cazzi finti. Molto eccitante è anche la parte onirica con il socio di Tognazzi (Orazio Orlando) che insieme alla Fenech osserva due cavalli mentre compiono un rapporto sessuale. Pare di vedere un richiamo a La Bestia di Walerian Borowczyk (1975), film erotico che un anno prima aveva fatto scalpore. In ogni caso la parte sensuale che più si ricorda ritrae la Fenech eccitata che si getta nel fieno e si mette a pecorina “preparandosi animalescamente” al rapporto. Infine a bordo di un aereo privato di un amico industriale la Fenech cita Emmanuelle di Just Jaeckin (1973) e “la scopatina in volo” di Sylvia Kristel. Subito dopo Tognazzi immagina un rapporto sessuale tra lei e il fratello (Paolo Bonacelli), noto playboy. Interessante pure questa sequenza che vede la Fenech vestita da dark lady con stivaloni a tacco alto e gonna corta mentre si denuda lentamente e si fa fotografare con disinvoltura prima un seno nudo e poi le natiche. “Bel puttanone, fammi vedere il tuo seno”, dice Bonacelli arrapato mentre la fotografa. Tognazzi infine immagina la moglie lesbica che si abbandona a un bacio saffico insieme alla bionda Yanti Somer. Queste scene sono il punto forte del film e la Fenech ne esce fuori alla grande interpretando sequenze molto spinte e a tratti quasi surreali. Ricordiamo tra tutte un Tognazzi nudo che spinge la Fenech priva di veli su di un carrello domestico, mentre le parti più intime vengono sapientemente nascoste da un gioco di inquadrature. Alla fine il marito scopre di aver chiuso nell’armadio soltanto il figlio del portiere (Piero Mazzarella), un rivoluzionario da quattro soldi che era entrato in casa per rubare dei fucili da caccia. La polizia salva il ragazzo grazie all’intervento del fratello di Tognazzi. Nella parte terminale del film scopriamo che il marito geloso manda avanti da tempo un rapporto con la bella Veruschka. Tognazzi parte in aereo con l’amante, ma immagina ancora la Fenech mentre fa l’amore sul prato dello stadio di San Siro a Milano insieme al figlio del portiere. Al contrario, la moglie è insensibile al sesso, rifiuta la corte del fratello e afferma che deve ancora innamorarsi per poter andare a letto con un uomo. Possiamo recepire un velato discorso femminista e il maschio borghese vecchio stampo interpretato da Tognazzi non ci fa una bella figura. Presenze atipiche del film sono una giovane e bella Mara Venier e i divi del porno Veruschka e Mircha Carven, poco utilizzati. Abbiamo un giovanissimo Ricky Tognazzi aiuto regista che fa una rapida apparizione da giovanotto antiborghese. Marco Giusti su Stracult parla di Carmen Russo ma non l’abbiamo vista… pure lui infatti aggiunge un punto interrogativo.
I viaggiatori della sera (1979) è un film insolito che Paolo Mereghetti sul noto Dizionario definisce “una specie di apocalisse degli anziani dal tono vagamente fantascientifico”. Interpreti: Ugo Tognazzi, Ornella Vanoni, Roberta Paladini, Corinne Cléry, Pietro Brambilla e Deddi Savagnone. Il tono è da film di fantascienza e il soggetto deriva da un romanzo di Umberto Simonetta, sceneggiato da Tognazzi con la collaborazione di Sandro Parenzo. Siamo in un futuro indefinibile dove vediamo un disc-jockey piuttosto attempato come Tognazzi in vacanza con la moglie femminista (Vanoni). I coniugi sono stati spediti in crociera per essere allontanati dalla società, perché ormai considerati inutili. Nel mondo futuro idealizzato dal film, il potere passa ai giovani, per cui una legge prevede che una volta raggiunti i 49 anni i cittadini debbano abbandonare le loro precedenti attività e trasferirsi in villaggi turistici. Non è tutto rose e fiori, perché questi villaggi sono dei veri e propri lager di lusso, dove gli anziani vengono eliminati uno dopo l’altro. Il film prende spunto dal romanzo e lo modifica aggiungendo un movimento di resistenza degli anziani per realizzare un finale più duro. Non è un film unitario, perché parte come analisi della vecchiaia e gode di un’impostazione crepuscolare, per finire nel clima vacanziero della seconda parte. In compenso vediamo Ornella Vanoni nuda e una sensuale Corinne Clèry che rappresenta il lato sexy della pellicola. Ottime le scenografie e l’ambientazione in un villaggio vacanze delle Canarie, tra brulli panorami vulcanici. Il film esce penalizzato da un assurdo divieto ai minori di anni diciotto.
Vittorio Gassman (Genova, 1922 – Roma, 2000) è un attore completo che frequenta l’Accademia di Arte Drammatica, ha un passato da sportivo e lascia il segno come interprete teatrale. Non manca il cinema nella sua attività, dove interpreta personaggi memorabili (Il sorpasso), parti drammatiche (Riso amaro) e molta commedia all’italiana (I soliti ignoti). Nel corso della sua vita artistica alterna con buon successo ruoli drammatici a parti brillanti. Ricordiamo Gassman attore in molte pellicole del cinema statunitense. Frequenti anche le apparizioni televisive. Come regista non lavora molto, ma lascia cinque pellicole di relativo interesse, che non hanno niente in comune con la tematica erotica, due delle quali girate in collaborazione: Kean (genio e sregolatezza) (1956), L’alibi (1969), Senza famiglia nullatenenti cercano affetto (1972), Di padre in figlio (1982) e L’altro enigma (1989).
Kean (genio e sregolatezza) (1956) è la versione per il grande schermo del lavoro teatrale di Alexandre Dumas (1836), adattato da Jean-Paul Sartre, che Gassman aveva portato sule scene l’anno precedente. Interpreti: Vittorio Gassman, Anna Maria Ferrero, Eleonora Rossi Drago, Valentina Cortese, Gérard Landry, Helmut Dantine, Mario Carotenuto, Cesco Baseggio e Carlo Mazzarella. La tematica erotica è affrontata con il personaggio principale di Kean, attore con fama di dongiovanni e di scialacquatore di beni, che si invaghisce di una ragazza (Ferrero) al punto di farla debuttare come prima attrice. La grande arte istrionica di Kean salva lo spettacolo da un clamoroso fiasco, perché l’attore improvvisa un monologo non previsto. Teatro nel teatro, tratto da un dramma storico ma adattato con riferimenti alla realtà contemporanea. Perfetto il personaggio di Kean per un Gassman che un pezzo alla volta costruisce il suo ruolo di mattatore. Il film è spigliato, diverte ed è ricco di brio, ma un impianto teatrale e il manierismo recitativo sono difetti evidenti. Sceneggiatori: Suso Cecchi d’Amico e Francesco Rosi (quasi un secondo regista, perché segue la direzione tecnica degli attori). Giulio Questi aiuta alla regia.
L’alibi (1969) è un film autobiografico girato da Luciano Lucignani, Vittorio Gassman e Adolfo Celi. Interpreti: Luciano Lucignani, Vittorio Gassman, Adolfo Celi, Tina Aumont, Franco Giacobini e Giovanna Knox. Luciano, Vittorio e Adolfo sono tre teatranti nati nel 1922, ex compagni dell’Accademia di Arte Drammatica che si ritrovano dopo molti anni nel mondo dello spettacolo. Non è più lo stesso periodo goliardico, tra bollori ed entusiasmi giovanili, perché la vecchia amicizia è rovinata dalle inquietudini interiori dei tre protagonisti. Il tono del film è drammatico, elegiaco, nostalgico, ricco di sentimento e psicologia, sensazioni personali e analisi interiore. La storia è sentita dai tre registi – di fatto è la loro storia – ma proprio questo eccesso di autobiografismo rende complessa la trasformazione in materiale cinematografico. I registi giocano al film-confessione che si alterna tra verità e finzione, ma realizzano dei ritratti personali molto sofferti. I tre attori sono insoddisfatti di quel che sono diventati, soprattutto non facevano parte dei loro sogni i compromessi con il cinema di consumo, ma comprendono che non possono tornare a essere quello che erano in gioventù. Nel film ricordiamo brevi apparizioni di Alberto Moravia e Oscar Brazzi.
Senza famiglia nullatenenti cercano affetto (1972) è una commedia amara dai toni grotteschi non molto riuscita. Interpreti: Vittorio Gassman, Paolo Villaggio, Corrado Gaipa, Rossana Di Lorenzo, Isa Bellini, Toni Ucci e Gian Carlo Fusco. I protagonisti sono l’insolita coppia Gassman – Villaggio, due spiantati alla ricerca della madre del primo che l’ha abbandonato da piccolo. Agostino (Villaggio) è un disgraziato senza una lira con la fissazione di ritrovare la madre, per farlo decide di partire per il Sud con Armando (Gassman), ma quando trova la mamma non resta con lei e prosegue il peregrinare senza meta in compagnia dell’amico. Gassman interpreta l’amico intelligente, furbo, protettivo, che salva spesso dal ridicolo e da beffe crudeli il compagno sciocco. I due vagabondi sono senza un soldo e vivono di espedienti: Agostino finisce in manicomio e Armando in prigione. Quando escono di galera, Armando ricomincia la solita vita da vagabondo, mentre Agostino cerca di integrarsi in una società che l’ha sempre respinto. Un film commerciale, basato sulla grande popolarità dei due attori, che prende di mira il solo obiettivo di un buon incasso al botteghino.
Di padre in figlio (1982) è girato in collaborazione da Vittorio e Alessandro Gassman. Interpreti. Alessandro Gassman, Vittorio Gassman, Diletta Gassman, Paola Gassman, Vittoria Gassman, Jacopo Gassman, Emanuele Salce, Giancarlo Scarchilli, Adolfo Celi, Ugo Pagliai e Gigi Proietti. Un film da dimenticare, agiografico, del tutto fuori registro, soprattutto un eccesso di amore filiale porta Gassman a esaltare le attitudini recitative di Alessandro. Il film vorrebbe mettere a confronto due generazioni attraverso le immagini del figlio, che il regista riprende dal 1974 per studiare il complesso di Edipo. Il film comprende molte citazioni dell’opera di Gassman: Brancaleone, Il sorpasso, Kean e in teatro la messa in scena di Affabulazione di Pasolini…Gassman vorrebbe realizzare la commedia della vita parlando del rapporto padre – figlio e tra gli attori troviamo anche Emanuele, figlio di Luciano Salce. Un film di famiglia, esibizionista, a tratti pure inutile, banale, con tutti i componenti della stirpe Gassman in primo piano.
L’altro enigma (1989) è un film drammatico girato da Vittorio Gassman e Carlo Tuzii. Interpreti: Vittorio Gassman, Annie Girardot, Fanny Ardant, Alessandro Gassman, Giusi Cataldo, Carlo Monni, Sergio Meogrossi e Ninetto Davoli. Gassman porta al cinema il dramma in versi Affabulazione di Pier Paolo Pasolini, uscito postumo, sull’attrazione sessuale di un padre verso il figlio. Grande prova da attore di Gassman nei panni di un industriale di mezza età che diventa un barbone dopo aver ucciso il figlio e si interroga sui misteri della vita. Ottime le prove femminili di Annie Girardot (moglie) e Fanny Ardant (veggente). Il pasoliniano Ninetto Davoli è un altro barbone.