Marcello Fondato (Roma, 1924 – San Felice Circeo, 2008) è un prolifico sceneggiatore del cinema anni Sessanta, collaboratore di Luigi Comencini, Duccio Tessari, Mario Bava, ma anche aiuto regista di Aldo Molinari (Sangue di nomadi). Ricordiamo Fondato sceneggiatore di film come La ragazza di Bube, Tutti a casa, Il fornaretto di Venezia, I tre volti della paura, Sei donne per l’assassino, La calda vita, La bugiarda, Ad ogni costo, L’amico del giaguaro, Mogli pericolose, I due marescialli e Totò diabolicus. Mogli pericolose (1958) di Luigi Comencini è il suo debutto da sceneggiatore, ma con il regista firmerà altri due capolavori. I film diretti da Michele Lupo e interpretati da Bud Spencer negli anni Ottanta – che riscuotono un grande successo di pubblico – sono tutti scritti e sceneggiati da Fondato. L’esordio alla regia avviene con un film drammatico sul tema del banditismo sardo come I protagonisti (1968) che gli fa vincere un Nastro d’Argento per il miglior soggetto. Interpreti: Jean Sorel, Sylva Koscina, Luigi Pistilli, Pamela Tiffin, Lou Castel, Gabriele Ferzetti e Maurizio Bonuglio. Il regista racconta – con la collaborazione di Ennio Flaiano – la storia di un fuorilegge sardo (Castel) che accetta di incontrare a pagamento turisti a caccia di emozioni. Tutto comincia come un gioco per gli ospiti borghesi del bandito, ma lo sviluppo della pellicola trasformerà la finta emozione in terrore durante uno scontro a fuoco tra fuorilegge e polizia. I turisti sono il manifesto vivente dell’ipocrisia borghese: prima appoggiano vigliaccamente il malvivente e la sua banda, poi li denunciano. Grande debutto alla regia per Marcello Fondato che affronta un argomento di scottante attualità avvalendosi del commento musicale di Luis Enriquez Bacalov e della splendida fotografia sarda di Marcello Gatti.
Marcello Fondato cambia registro, altrimenti non lo avremmo inserito nella presente trattazione, e se per la critica alta è un passo indietro, a parere di chi scrive è un guadagno non da poco per la commedia erotica di qualità. A cominciare dal secondo lavoro Certo, certissimo… anzi probabile (1969), titolo preso a prestito da una battuta di Ennio Flaiano, interpretato da Claudia Cardinale, Catherine Spaak, Nino Castelnuovo, John Phillip Law, Antonio Sabato, Alberto Lionello, Aldo Giuffré, Francesco Mulé e Lino Banfi. Il racconto di riferimento è Diario di una telefonista, scritto da Dacia Maraini, ma la spregiudicata sceneggiatura cinematografica è opera di Marcello Fondato che sfrutta la sensualità delle due protagoniste per una piccante commedia erotica. Lino Banfi è un regista di fotoromanzi, Claudia Cardinale e Catherine Spaak sono due amiche che si contendono i fidanzati, ma soprattutto la seconda ricopre un ruolo di vera e propria mangiatrice di uomini. Marta (Cardinale) è una telefonista bonacciona e sentimentale, Nanda (Spaak) una manicure calcolatrice e furba, convivono insieme da buone amiche – rivali, fino a quando la prima non sposa un tappezziere (Castelnuovo), che purtroppo è innamorato di un bell’imbianchino americano (Law). Il destino di Marta è quello di farsi rubare gli uomini, ma in questo caso la ferita brucia ancora di più perché la colpevole non è una rivale del suo stesso sesso. Una volta scoperto che il marito è gay, la telefonista torna in casa con la manicure e conduce la solita vita spensierata. Molti i nudi parziali delle due attrici che per la censura del tempo sono audaci e difficili da far passare indenni da tagli. Morandini scrive un giudizio entusiasta: “Una briosa e garbata commedia a doppio fondo, il cui vero tema è la ricerca: nelle forme leste di un ribaltamento scherzoso del mito di Tristano e Isotta, suggerisce che, nei sentimenti, la donna cerca un impegno che quasi sempre l’uomo non è disposto o è incapace di contraccambiare. Il miglior film di Marcello Fondato”. Catherine Spaak e Claudia Cardinale si doppiano con la loro voce e la scelta non facile – soprattutto per la prima che non ha un accento italiano – conferisce spontaneità alla commedia. Tre stelle anche per Pino Farinotti.
Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la mossa (1970) è grande commedia sofisticata interpretata da Monica Vitti, Gastone Moschin, Pierre Clémenti, Peppino De Filippo, Carlo Giuffré, Sylva Koscina, Salvo Randone, Nino Taranto, Marisa Merlini, Fanfulla (Luigi Visconti), Lino Banfi, Angela Luce, Toni Ucci e Bruno Cirino. Primi del Novecento, in piena Belle Époque. Un’attrice di sceneggiate napoletane (Vitti) vuole diventare famosa, ma non immagina che otterrà il successo solo grazie all’invenzione della “mossa”. Maria Sarti diventa Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la mossa e si trasforma nell’idolo delle folle napoletane che accorrono a vederla quando si esibisce nei cabaret. La “mossa” sarebbe il famoso colpo d’anca al termine del ballo, anticipato da un rullo di tamburi, il massimo dell’erotismo primo Novecento. La “mossa” è la risposta popolare al conformismo borghese, ma sono proprio ipocriti borghesi ad affollare le sale dove l’attrice si esibisce. La ballerina deve subire un’incredibile accusa per oscenità, visti i tempi non facili per esibirsi in atteggiamenti considerati poco convenienti. Maria avrebbe voluto diventare una nuova Eleonora Duse ma deve accontentarsi di un modesto ruolo da star dei palcoscenici di periferia. Passa da Napoli a Torino, cambia pubblico, ma le esigenze sono sempre le stesse, anche se a protestare sono i poeti futuristi. Non è felice. Nonostante amori tempestosi, scandali e incontri che generano duelli tra spasimanti non riesce a trovare un uomo disposto a condividere la sua vita. Monica Vitti è straordinaria come attrice comica, in questa pellicola mostra anche le gambe e qualcosa in più rispetto al suo casto standard. Sylva Koscina conferisce un minimo di erotismo a una pellicola interessante, mentre Lino Banfi deve interpretare un napoletano e non se la cava benissimo. Il film è tratto dalla vera storia di Maria Campi e ricostruisce una grande atmosfera d’epoca ben riprodotta dalle suggestive scenografie di Flavio Mogherini e dall’ottima fotografia di Carlo Di Palma. Il limite della pellicola, secondo Mereghetti, è “una totale mancanza di passione e di autoironia”. Molte le ambizioni di ricostruzione storica: il futurismo, il regicidio di Monza, l’estetismo dannunziano, l’entrata in guerra dell’Italia e i primi scioperi.
Causa di divorzio (1972) è un’altra divertente commedia sexy che affronta un problema storico della società italiana anni Settanta. Interpreti: Lino Toffolo, Catherine Spaak, Senta Berger, Enrico Montesano, Arnoldo Foà, Gastone Moschin, Gabriella Giorgelli e Lino Banfi. Il film è ambientato in un periodo precedente l’entrata in vigore della legge sul divorzio e Fondato appunta i suoi ironici strali sull’impossibilità di separarsi. Vediamo una coppia sposata in chiesa che annulla il matrimonio grazie alla Sacra Rota, mentre un matrimonio celebrato in municipio resta tale per sempre. Il sale della commedia sta tutto nel fatto che Lino Toffolo non possa sposare la bella Catherine Spaak, perché è ancora legato giuridicamente alla moglie. Siamo a Carpi, in Emilia Romagna, Silvestro ed Ernesta sono due coniugi in crisi, mancano i soldi, lei a casa deve lavorare in nero, tessendo al telaio. Lui si sente trascurato e cerca affetto in Enrica, un’altra donna in crisi con il marito. Enrica si fa annullare il matrimonio religioso, ma Silvestro è sposato in comune e il divorzio in Italia non è previsto. La conclusione è malinconica, vista l’impossibilità di coronare il sogno, oltre tutto restano i problemi di sempre. Lino Banfi deve fare il lombardo ed è sprecato. Il film è satirico e divertente, anche se oggi si apprezza solo storicizzandolo come documento d’epoca. Presenze sexy interessanti: Catherine Spaak, Senta Berger e la meno nota Gabriella Giorgelli che dà il meglio di sé nella commedia erotica di serie B. Temi interessanti affrontati dal regista: il divorzio, la condizione della donna e il lavoro a domicilio.
… Altrimenti ci arrabbiamo! (1974) è un Bud Spencer e Terence Hill – movie che non può avere nessuna attinenza con la tematica erotica. Classico film per ragazzi a base di risse e scazzottate, di grande successo popolare. Marcello Fondato scrive molti film per la popolare coppia comica e per Bud Spencer in vesti di solista, ma ne dirige soltanto due. La pellicola è scritta dal regista insieme a Francesco Scardamaglia e ha il ritmo di un cartone animato. La colonna sonora di Guido e Maurizio De Angelis è un mito del tempo. Non c’è ragazzino che non canticchi Dune Buggy, primo nelle classifiche di vendite per mesi. Campione d’incasso con sei miliardi di lire. Marcello Fondato viene ricordato soprattutto per questo lavoro che gli dà grandissima popolarità.
A mezzanotte va la ronda del piacere (1975) è l’ultima commedia erotica del regista, ma è un gran bel film interpretato da Claudia Cardinale, Monica Vitti, Vittorio Gassman, Giancarlo Giannini, Renato Pozzetto, Pino Locchi, Silvio Spaccesi e Vittorio Fanfoni. La commedia è sceneggiata da Francesco Scardamaglia con la collaborazione del regista ed è una sorta di pellicola a episodi che contiene più storie legate da un unico filo conduttore. Monica Vitti è una popolana che subisce un processo per omicidio preterintenzionale del coniuge (Giannini) e in quella sede rievoca la sua vita turbolenta con la presunta vittima. Claudia Cardinale è un giudice popolare che si appassiona alle disavventure narrate dalla donna e vuole approfondire la situazione. Il finale a sorpresa coinvolge il matrimonio della Cardinale, la vita del marito e certi rapporti mai chiariti. Il compagno della Vitti non è morto e quando torna alla ribalta la donna si riconcilia subito con lui. Bravissimo Gassman nel ruolo del coniuge intrallazzone, borghese pieno di difetti, dongiovanni e maschilista. Una commedia grottesca, lievemente erotica, che fa satira sociale, denuncia la corruzione e le violenze nei confronti delle donne. Sorprende il finale assolutorio. Grande successo di pubblico e conferma dell’interesse di Fondato per la situazione femminile all’interno della società.
Charleston (1977) è il triste addio al cinema di Marcello Fondato, nonostante il grande successo della commedia precedente. Si torna a un Bud Spencer – movie, che ha caratteristiche ben definite e nel quale non sono possibili evoluzioni registiche di sorta. Oltre tutto manca Terence Hill, ragion per cui si dimezzano cazzotti e divertimento. Un film che non ha niente di erotico.
A questo punto la carriera cinematografica di Marcello Fondato si interrompe e comincia un prolifico rapporto con il mezzo televisivo. Il cinema di genere si spenge tristemente e quel che resta è solo piccolo schermo. Fondato lo comprende, realizza alcune fiction e miniserie di buon interesse e di argomento leggero: Chiaro di luna (1985), Tomorrow – Domani (1986), Affari di famiglia (1988), Ma tu mi vuoi bene? (1991) e Sì, ti voglio bene (1994). Lascia anche la televisione e trascorre gli ultimi quindici anni della sua vita a San Felice Circeo, dove fonda un Teatro Stabile di cui è stato direttore artistico e nel quale dirige la compagnia I Timidi.
Soggetto: Pier Antonio Quarantotti Gambini (romanzo La calda vita, 1958). Sceneggiatura: Florestano Vancini, Elio Bartolini e Marcello Fondato. Interpreti: Catherine Spaak, Gabriele Ferzetti, Jacques Perrin, Fabrizio Capucci, Alina Zalewska e Daniele Vargas. Musica: Carlo Rustichelli. Fotografia: Roberto Gerardi. Catherine Spaak canta I giorni azzurri.
Siamo in Sardegna su un’isola deserta, dove Fredi (Perrin) e Max (Capucci) hanno condotto Sergia (Spaak) con il mutuo accordo di portarsela a letto entrambi. La villa dove trascorrono alcuni giorni di vacanza non è dello zio di Fredi, come lui fa credere alla ragazza, ma di un maturo borghese che quando arriva in motoscafo riprende possesso della sua abitazione. Fredi e Max diventano rivali per colpa di Sergia: il secondo pensa che lei abbia fatto l’amore con l’amico, ma non è vero, perché hanno soltanto dormito nel solito letto. Sergia si trasforma nell’oggetto del desiderio dei coetanei che lottano per lei e a un certo punto Max rischia persino di uccidere l’amico. Nel menage a trois irrompe la variabile di Guido, l’uomo maturo che incontra la lolita in mare aperto e la conquista con modi galanti. Tra l’altro la ragazza perde la verginità proprio con lui, ingannandolo sul fatto di non essere mai stata con un uomo. Max si suicida per la disperazione. Fredi è in collera con Guido, tenta di picchiarlo, sa bene per colpa sua ha perduto ragazza e amico. Tutto finisce con la ragazza che si riprende la sua libertà e rifiuta di sposare l’uomo maturo. “Ho diciotto anni”, dice. Un matrimonio riparatore non fa parte dei suoi interessi e neppure una sistemazione borghese. Guido esce distrutto dal breve rapporto perché si era innamorato.
Un film ben girato, caratterizzato da un’ottima fotografia sarda, interpretato da attori ben diretti e chiaramente ispirato alla filosofia di Michelangelo Antonioni. Troviamo l’accusa al mondo borghese e il problema della difficoltà dei rapporti interpersonali, ma il regista affronta anche il contrasto generazionale e i rapporti uomo – donna nella loro globalità. Le psicologie dei personaggi sono approfondite e in linea con il periodo storico, molto credibili i due ragazzi con la loro fragilità e anche il maturo borghese innamorato della ragazzina. Catherine Spaak si concede in numerosi nudi, coperti astutamente da rocce e mare in diverse occasioni, ma è molto affascinante nel consueto ruolo da lolita che fa innamorare un uomo maturo. La censura non permette che venga pronunciata la parola vergine e il regista deve trovare una serie di locuzioni per far capire la situazione fisica della ragazza. Inutile dire che anche i nudi integrali devono essere coperti, così come è impossibile mostrare rapporti erotici. In ogni caso la Spaak è bellissima in bikini mentre è impegnata nello sci d’acqua, quando prende il sole nuda sulle scogliere, quando si tuffa e nuota nelle acque azzurre della Sardegna. La sua interpretazione da ragazza libera e disinibita, lolita sbarazzina che civetta con i coetanei e fa cadere ai suoi piedi gli uomini adulti, è spontanea e convincente. La calda vita è un dramma sulla gioventù e un’accusa al perbenismo borghese che al tempo fa scalpore, sia per il finale tragico che per una morale non consolatoria. Adesso fa soltanto pensare al passato e a tempi troppo diversi. Florestano Vancini (Ferrara, 1926 – Roma, 2008) è un regista importante del nostro cinema, un autore impegnato politicamente e da un punto di vista socio – psicologico. Proviene dal documentario, aiuto regista di Mario Soldati e di Valerio Zurlini, esordisce alla regia con La lunganotte del ’43 (1960), tratto da una storia ferrarese di Giorgio Bassani, forse il suo film più rappresentativo per efficacia narrativa. Si avvicina alla tematica erotica con Le italiane e l’amore (1962), diretto da uno squadrone di registi, dove lui firma La separazione legale, un lavoro collettivo per indagare i comportamenti sessuali degli italiani che diventa un’antologia di storie interpretate da attori non professionisti. I lavori successivi sono La banda Casaroli (1962), sulla delinquenza nel dopoguerra, e La calda vita (1964), che abbiamo analizzato a fondo vista la tematica erotica. Le stagioni del nostro amore (1966) è la storia di una crisi ideologica e intellettuale interpretata da un’affascinante Jacqueline Sassard e da un ottimo Enrico Maria Salerno. Il film sconvolge la critica ed è un duro colpo per la sinistra italiana, poco abituata a veder mettere in discussione certi miti politici. Vancini è sommerso dalle polemiche, ma realizza un ottimo ritratto di un intellettuale che si sente tradito dalla realtà contemporanea. Ilunghi giorni della vendetta (1967) è uno spaghetti-western firmato Stan Vance, ma i suoi lavori migliori sono a carattere politico-sociale: Bronte. Cronaca di un massacro che i libri di storia nonhanno raccontato (1972), Il delitto Matteotti (1973) e Laviolenza: quinto potere (1972). Tra i suoi film ricordiamo Amore amaro (1974), Un dramma borghese (1979), La neve nelbicchiere (1984), per finire con E ridendo l’uccise (2005), il ritorno al cinema dopo oltre vent’anni con una commedia storica poco distribuita e quindi ancor meno vista. Florestano Vancini si ricorda come interessante autore televisivo: Il discorso (1970), La Piovra2 (1986), La confessione (1989), Complotto internazionale (1989), Suicidio d’amore (1989), Simulazione di reato (1989) e Piazza di Spagna (1992).