Una notizia che in questi giorni ha lasciato un po’ tutti sconcertati e profondamente turbati. Un tribunale tedesco non ha tutelato la memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La sorella del giudice Falcone aveva presentato un ricorso contro un ristoratore di Francoforte che nella sua pizzeria “Falcone e Borsellino” ha posto una accanto all’altra la foto dei magistrati a quelle del Padrino.
L’assurdo sta nello scegliere come nome del locale “Falcone e Borsellino” e appendere la famosa foto di Tony Gentile che vede insieme i due giudici fatti saltare in aria da Cosa Nostra e collocare accanto l’immagine di don Vito Corleone. Un insulto alla memoria di due personalità importanti che, non solo hanno rappresentato la lotta alla mafia, ma hanno perso la loro vita per far vincere ogni giorno della loro esistenza la giustizia e la legalità. Il magistrato tedesco ha deciso di respingere il ricorso perché “il giudice ha operato principalmente in Italia”.
Il verdetto depositato recita: “ricorso respinto perché sono passati quasi 30 anni dalla morte di Falcone e il tema della lotta alla mafia non è più così sentito tra i cittadini”. La beffa non è finita qui, visto che la sentenza prosegue sostenendo la tesi per la quale: “il giudice ha operato principalmente in Italia e in Germania è noto solo a una cerchia ristretta di addetti ai lavori e non alla gente comune che frequenta la pizzeria”.
La professoressa Maria Falcone ha dichiarato che la sua lotta contro questa sentenza, assurda e offensiva, non si fermerà e ricorrerà in appello. Le proteste, inutile dirlo, sono arrivate da più parti del mondo politico e anche il Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha scritto un post su Facebook: “Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono due modelli non soltanto in Italia, ma nel mondo. Hanno cambiato il volto delle indagini, hanno combattuto la mafia sacrificando la propria vita e sono stati anche due precursori nel riconoscere l’importanza della cooperazione giudiziaria internazionale. Ma oggi un tribunale tedesco ha affermato che non meritano tutela, lasciando libero un ristorante di Francoforte sul Meno di usare il loro nome e la loro immagine affiancata a quella di fori di proiettile, pizze, birre e scatti cinematografici di Vito Corleone. Come se la mafia fosse tutto un gioco, un passatempo. Come se fosse un lontanissimo ricordo, su cui farci una risata. Non è così.
“La mafia è una montagna di merda”, come diceva Peppino Impastato. Siamo sicuri che il popolo tedesco la pensi come noi”.
Più volte ho ricordato, anche durante i miei interventi nei convegni o nelle conferenze, sia in Sicilia che in altre parti d’Italia, che ho avuto il privilegio di intervistare il giudice Paolo Borsellino per un quotidiano regionale agli inizi degli anni ‘90. Dalla Procura di Marsala stava per tornare a Palermo. Quel tono pacato con cui riusciva a pronunciare piccole e grandi verità. E’ un episodio che mi ha segnato perché ci è capitato tante volte di avere paura ma è difficile immaginare che un uomo come Paolo Borsellino, nonostante la paura continuasse la sua battaglia contro il male. La paura forse per Paolo Borsellino era anche la quasi certezza che l’avrebbero eliminato: “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”.
Le vittime della strage di via D’Amelio, così come quella di Capaci, sono ancora qui tra noi a chiederci Giustizia. Anni di silenzio e ancora silenzio, tanto silenzio. Proprio su questo silenzio mi porto dentro un’altra intervista, quella fatta al giudice Antonino Caponnetto Capo del Pool Antimafia. Sulla tragica uccisione del giudice Borsellino aveva fatto dichiarazioni molto precise. Cercato risposte che non sono arrivate: “Ancora oggi aspetto di sapere chi fosse il funzionario responsabile della sicurezza di Paolo, se si sia proceduto disciplinarmente nei suoi confronti e con quali conseguenze”.
Diciamolo, si ha ancora la sensazione di vivere agli inizi degli anni ’80. Le mafie che tessono reti, uccidono, cospirano, cercano accordi con la politica e le imprese, vivono cercando disponibilità preziose per continuare la loro opera distruttrice della società. Magistrati e giudici che hanno cercato di operare, ma sono rimasti soli e sono stati uccisi. Non possiamo permettere che qualcuno calpesti la memoria di quegli uomini che sono morti per difendere valori come: l’onestà, la moralità, l’integrità e la rettitudine.
Foto: famigliacristiana.it