Coronavirus: debito pubblico e imprese che chiudono

Articolo di C. Alessandro Mauceri

I palliativi  proposti dal governo per sostenere le imprese costrette a sospendere l’attività a causa della pandemia non basteranno a salvarne almeno la metà.

Ad affermarlo uno studio studio McKinsey, basato sull’analisi di migliaia di PMI in cinque paesi europei – Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito -, indicano quanto duramente siano state colpite dalla crisi legata alla pandemia.  “Se dovessimo avere una perdita del 30% del fatturato nei prossimi mesi – sostiene la ricerca – la metà delle piccole e medie imprese, quindi una su due, rischia di chiudere”.

Per circa il 70 per cento delle imprese intervistate i ricavi sono diminuiti a causa della pandemia, causando un effetto a catena senza precedenti. Una su cinque teme di non poter più restituire i prestiti e di dover licenziare i dipendenti. Il 28 per cento prevede di dover annullare i progetti di crescita che aveva in programma. Complessivamente, oltre della metà delle aziende pensa che non potrà sopravvivere per più di 12 mesi. E questo nonostante molte di loro abbiano già beneficiato di forme di assistenza nazionali volte ad alleviare le loro difficoltà finanziarie, come agevolazioni fiscali o pagamenti al personale in ritardo.

La maggior parte delle PMI intervistate ha registrato un calo dei ricavi durante l’ultimo periodo. Un dato che, sebbene diverso a seconda del paese, evidenzia la gravità delle misure per controllare il virus e il loro impatto sull’attività delle aziende. Le più colpite sono state le PMI italiane e spagnole: rispettivamente il 30 per cento e il 33 per cento di queste aziende hanno dichiarato che i loro ricavi sono stati notevolmente ridotti (a fronte di un 23 per cento della Germania).

Complessivamente, l’80% delle aziende giudica l’economia da “un po’ debole” a “estremamente debole”. Anche qui le differenze tra i vari paesi europei non mancano: in Germania, dove si prevede che l’economia dovrebbe subire danni minori che altrove, il 39 per cento delle PMI ha valutato la situazione economica da “un po’ forte” a “molto forte”. In Italia, invece, questa percentuale era di appena il 10 per cento.

Ad influire su questi dati la situazione finanziaria. E ancora una volta le differenze sono notevoli. Le PMI spagnole sono costantemente tra le più pessimiste: il 30% di loro è preoccupato di poter pagare i prestiti, rispetto al 14 per cento della Germania. Allo stesso modo, il 38 per cento delle PMI spagnole teme di non essere in grado di poter mantenere i propri dipendenti, una cifra che scende al 16 per cento in Germania e Francia. In generale, in Europa il 14 per cento delle PMI ha dichiarato di lottare per il personale a causa in parte di così tante persone in congedo per malattia o di dover mettere in quarantena.

Parlare di “crescita” in queste condizioni appare anacronistico: il 28 per cento degli intervistati ha dichiarato di aver dovuto rimandare i propri piani di sviluppo (ma questa percentuale sale al 37 per cento tra le PMI spagnole e al 30 per cento tra quelle britanniche). I più colpiti sembrano i settori dell’ospitalità, dei servizi alimentari, dell’artigianato, dell’intrattenimento: quasi il 40 per cento delle PMI di questi settori ha dichiarato che i progetti potrebbero dover essere messi in attesa, rispetto al 20 per cento delle PMI di settori come la sanità, l’agricoltura o l’edilizia.

Complessivamente, l’11% delle PMI dell’indagine si aspetta di dover chiudere definitivamente o dichiarare fallimento entro sei mesi. La preoccupazione è maggiore tra le aziende con un numero di dipendenti da 50 a 249, in Italia e Francia. In questi paesi il 21% delle PMI, quasi il doppio della media europea, prevede di dover dichiarare bancarotta.

Il numero reale delle PMI che non sopravviverà alla pandemia dipenderà dall’andamento futuro incerto e dal peso che graverà sui bilanci dell’azienda. Come il carico fiscale che potrebbe aumentare a dismisura proprio a causa delle politiche adottate dai vari governi e dai palliativi adottati per far fronte alla crisi. Stando a dati comunicati dalla Banca d’Italia, al 30 settembre 2020 il debito pubblico ha raggiunto i 2.583 miliardi di euro. E con le ultime misure non c’è dubbio che crescerà ancora. Si tratta del nuovo massimo storico. Ma l’aspetto che dovrebbe preoccupare di più è l’impennata spaventosa che mostra l’andamento del debito pubblico: rispetto al dato dello stesso mese dello scorso anno (2.442 miliardi di euro) il debito pubblico è cresciuto di oltre 141 miliardi. A questo devono ancora aggiungersi i miliardi di Euro di aiuti inseriti dal governo nella manovra di Novembre e i 6,5 miliardi di Euro di aiuti come sostegno finanziario dello strumento Sure  (chissà perché nessuno li chiama con il loro nome: “prestiti”?) promessi con tanta enfasi mediatica dalla presidente della Commissione Europea. Soldi che gli italiani dovranno restituire (e con gli interessi, bassi ma non nulli). Soldi che il governo, ma questo nessuno finora l’ha detto dopo aver sfornato incentivi a pioggia (quasi inutili per la ripresa dell’economia), dovrà recuperare. E con il numero delle imprese e dei contribuenti in grado di pagare le tasse in calo vertiginoso ciò potrebbe significare far nascere una nuova crisi, questa volta economica, forse ancora più grave di quella attuale. 

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