Paolo Rossi se ne è andato. Dopo Maradona, un altro grande del calcio è volato via in questo 2020 costellato dalla pandemia del Covid-19 che miete morte, dolore ed incertezze sotto tutti i punti di vista.
Ma Paolo Rossi se ne è andato per un male inesorabile a 64 anni. In silenzio. Potremmo dire che adesso veste l’Azzurro per sempre, non (solo) quello della nazionale ma quell’Azzurro che indica un cielo sereno, benevolo, bello e rassicurante.
Non è era una persona di molte parole. Non era un personaggio. E forse non era così forte dal punto di vista squisitamente tecnico se paragonato ai funamboli dell’epoca e di ora. Per lui parlavano i gol (non bellissimi ma pesanti quanto macigni) e le movenze. Era silenzioso in campo, un vero cobra – niente a che vedere con l’altro famoso cobra, divenuto ramarro all’Inter – quel Darko Pancev che però i suoi gol ed i suoi titoli li ha pure fatti e vinti.
La sua carriera comincia in silenzio a Prato, come in punta di piedi e senza farsi sorprendere rubava il tempo ai difensori ed ai portieri e li puniva inesorabilmente. In tutte le categorie, dai giovani alla B, dalla cadetteria alla A fino in nazionale e sul tetto del mondo.
Lo sanno anche le pietre, ma lo aggiungiamo solo perché non si può parlare di Rossi senza accostarlo al 1982. Pablito è l’eroe del Mundial di Spagna. Con i suoi 6 gol trascinò l’Italia al trionfo (il suo terzo titolo iridato dopo quelli del ’34 e del ’38) in modo inaspettato ma alla sua maniera. Poche parole, tanto olio di gomito. Sudore, ma applicato all’intelligenza. Non possiamo entrare nella mente dei difensori avversari ma siamo certi che Paolo Rossi si sarà beccato il classico epiteto “Figlio di p.” tante volte proprio per la sua esemplare bravura nel togliere il tempo agli avversari, nel capire quando era il momento giusto di colpire.
Bersagliato da tutta la stampa e non solo dopo il suo coinvolgimento nell’inchiesta del calcio scommesse ebbe uno stop di due anni. Rientrò a fine stagione 81/82. Giusto il tempo di fare qualche rete, quanto bastasse per convincere Enzo Bearzort, un papà più che un allenatore e selezionatore, a portarlo con lui ai Mondiali di Spagna ’82. Ma Bearzot lo avrebbe portato comunque subito dopo la squalifica. Ne siamo certi. Era il suo pallino. Ed aveva ragione.
QUEL MONDIALE 1982
Non vogliamo aggiungere molto altro a quello che potrebbe sembrare il solito “coccodrillo” giornalistico. Il ricordo più bello è, senza dubbio, legato a quell’estate del 1982 quando in sordina, con tutta la nazionale considerata mediocre dai più grandi esperti dell’epoca (che fecero poi la figura dei critici d’arte che attribuirono al Modigliani delle teste ritrovate in un canale a Livorno due anni dopo che poi si rivelarono una burla di tre giovani), partita, dopo partita, conquistò il mondo. E l’immortalità sportiva, oltre che la gratitudine di un popolo fatto di santi, poeti, navigatori e CT della nazionale.
Rossi non partì bene ma migliorava partita dopo partita. Ricordiamo i sei gol, è vero, ma con lo sconosciuto e misterioso Camerun, match diventato insolitamente drammatico e decisivo per il passaggio al secondo girone, fu lui a centrare il pallone per la testa di Graziani per l’effimero 1-0. Il match come ricorderete terminò 1-1.
Poi con l’Argentina fece una buona prova anche se davanti a Fillol si “mangiò” letteralmente un’occasione d’oro che però poi venne concretizzata in rete da Tardelli.
E venne il Brasile, quello forte, così forte da paragonarlo a quello di Pelè, di Rivelino e compagnia bella. Quel Brasile di Pelè, l’ultimo, del ’70 aveva battuto la squadra più forte del Mondo, l’Italia in una finale dai due volti che durò in equilibrio per 60 minuti, poi la squadra più forte del Mondo, l’Italia, si arrese alla squadra di extraterrestri. Perché dopo Italia-Germania 4-3 della semifinale solo gli extraterrestri e la stanchezza avrebbero battuto quella formazione. Beh, quel Brasile era davvero formidabile.
Torniamo al 1982. Venne il Brasile dicevamo. Zico, Falcao, Socrates, Eder ed altri giocolieri, maghi e maestri capaci di far scomparire il pallone e tele-trasportarlo in rete in qualunque modo. Di forza, di fino, di classe, di astuzia. Magie. Fino a quel momento era la squadra più amata ed ammirata del torneo, la giusta favorita che, tra l’altro, aveva vinto 3-1 con l’Argentina. L’Italia aveva battuto l’albiceleste solo per 2-1. Fu paradossalmente la fortuna degli italiani che avevano l’obbligo di vincere perché a parità di punti, la differenza reti avrebbe portato i verdeoro alla semifinale.
I brasiliani che giocano per il pareggio? Ma neanche per sogno… e Paolo Rossi, che i suoi gol li aveva segnati sempre (Vicenza e Perugia ne sanno gioire ancora), ne approfittò. Forse aiutò la giornata no di Junior, ma soprattutto quella nerissima del portiere Valdir Peres che non ne prese una. Rossi, però, sbocciò. Non stiamo qui a raccontarla la partita del Sarrià di Barcellona. Finisce 3-2 con tre gol di Paolo Rossi. L’anatroccolo diventa cigno ed anche se fai una tripletta a Valdir Peres non in giornata (ma pur sempre un valido portiere checché ne dicano gli esperti del Modigliani), vuol dire che sei un grande.
E diventa poi El hombre del partido (l’uomo della partita) nella semifinale con la Polonia vinta per 2-0 con una sua doppietta.
La finale con la Germania la possono raccontare anche i sassi. Segna di rapina anticipando anche un suo compagno di squadra ad inizio ripresa e poi è l’apoteosi: 3-1 e l’urlo di Nando Martellini consegnato alla storia: Campioni del Mondo, Campioni del Mondo, Campioni del Mondo.
Vince però tutto con la Juventus contribuendo pesantemente con i suoi gol a portare a casa la Coppa delle Coppe, due scudetti e la tragica Coppa dei Campioni del 1984/85, quella dell’Hysel e segnò in Nazionale con regolarità, anche una tripletta (la seconda in Azzurro) al Messico in una amichevole del 1984. Poi le dannate ginocchia…
Per il resto della carriera è martoriato dagli infortuni che ne minano presenze e prestazioni Le ginocchia non sono quelle di una volta e non gli consentono più di sfruttare la sua arma, la tempistica che fanno diventare un calciatore pericoloso, normale.
Ma lui non era normale, fu l’uomo che castigò il Brasile, lo fece piangere. Ma che in Brasile stimarono facendogli fare anche il testimonial per una nota carta di credito nel periodo in cui il Paese sudamericano ospitò i Mondiali del 2014.
Chi vi scrive vuole ricordare Paolo Rossi col volto sorridente, l’uomo che con le sue prodezze fece gioire l’Italia intera e tutti i bimbi dell’epoca volevano la sua mitica maglia numero 20.
Sempre sorridente, mai una parola fuori posto. Lui, il boia sorridente del Brasile di Falcao, Zico, Socrates e soci, lui, El hombre del partido, lui in Azzurro per sempre. E sempre chi vi scrive, deve molto a Paolo Rossi: la passione per il calcio, lo sport (che in seguito sarebbero diventati anche un lavoro sia pure dal lato della famosa critica – non del Modigliani, però – lo deve anche ai suoi gol che fecero gioire tutti noi. Anche chi non ne capiva niente di calcio… e continua a non capirne niente.
Grazie Paolo.