Ma cos’è? Cosa significa, in profondità, il Natale cristiano? Il lemma con lettera maiuscola Natale – dal latino «natalis», che a sua volta deriva da «natus» – indica «per antonomasia indica il giorno di nascita di Gesù Cristo e la festa cristiana che si celebra per ricordarlo» (Devoto Oli, Vocabolario della lingua italiana).
La nascita di Gesù è di fondamentale importanza non solo da un punto di vista religioso, ma anche storico. Infatti, per collocare nel tempo qualunque evento si iniziano a contare gli anni dalla sua nascita, prima o dopo Cristo. Gesù Cristo è stato posto al centro del tempo, divide la sua nascita in due il corso della storia dell’umanità. Il più brillante e autorevole storico della Storia romana, Santo Mazzarino, scrive: «[…] l’esistenza storica di Gesù è in verità innegabile».
Un calendario romano del 354 ci testimonia che a Roma, verso il 330 – diciassette anni dopo l’Editto di Milano – si cominciò a festeggiare il Natale il 25 dicembre. Quella data fu scelta perché già vi si festeggiava Helios, il sol invictus il dio del «sole mai vinto», il «trionfatore sulla notte» che proprio in quei giorni successivi al solstizio d’inverno sembra riprendere energia, forza e ricomincia a salire nell’orizzonte. Non è un caso che uno dei più antichi mosaici cristiani (al momento il più antico) scoperto sotto la basilica di San Paolo Roma rappresenta la coppia Cristo-Helios sul carro trionfale. (Il culto del dio Helios fin dal regno di Settimio Severo [193-211] si diffonde in tutto l’Impero romano spesso sovrapponendosi al culto del dio Mitra).
Dall’Urbs la festa si propaga, alla fine del V secolo, in Africa settentrionale. L’imperatore Giustiniano, nel 529, lo dichiara «giorno festivo» e da allora la festa del Natale si diffonderà gradualmente in tutta l’Europa.
È soprattutto il Vangelo secondo Luca che ci parla della nascita di Gesù che avvenne a Betlem (che in ebraico significa «Città del pane» (lekhem=pane). Attorno al 7 o al 5 a.C. quando Giuseppe risalì assieme alla sua sposa Maria al paese di cui era originario per ottemperare a un censimento ordinato da Quirino, procuratore della Giudea. Non abbiamo nessun documento storico di questo censimento né tanto meno della nascita di un figlio di un carpentiere. Ma non ci sono nemmeno testimonianze che sconfessino la localizzazione di tale evento fondante e fondamentale.
Da decenni, oramai, studiosi Umberto Eco, Massimo Cacciari e Umberto Galimberti segnalano come nella nostra cultura il Natale è praticamente «ateo»: di religioso è rimasto soltanto il «rito». Soprattutto, osserva con acume il professore U. Galimberti, da quando il denaro è diventato in Occidente l’unico generatore simbolico di tutti i valori e la tecnica un mezzo per conseguirli.
Questo Natale ma soprattutto l’anno che sta per dischiudersi segna per il nostro Paese il settecentesimo anniversario della morte del sommo poeta Dante Alighieri (1265-1321) la cui opera ed in particolare la Commedia ci aiuta a rimetterci in viaggio, in cammino alla ricerca della nostra identità, missione e speranza:
Però, in pro del mondo che mal vive, al carro tieni or li occhi, e quel che vedi, ritornato di là, fa che tu scrive (Pg XXXII, 103-105)
Nell’intera Commedia – lo dimostra il magistrale studio di E. Auerbach (Dante, poeta del mondo terreno, 1929) l’Alighieri ha voluto presentare tutto il mondo terreno e storico. Ma soprattutto la Commedia è la «poesia dell’intelligenza» (G. Getto) non solo attraverso la figura di Virgilio ma anche soprattutto per l’alto ed eterno valore metaforico della poesia. Un valore, quello della poesia, che celebra la vita dell’intelligenza. In questa luce, nella Natività, si compendiano la parola/logos e l’immagine ovvero tutto ciò che ci fa specificatamente essere umani.
Infine, l’umiltà del Natale e la Commedia ci consegnano una lezione: il deturpante linguaggio dell’italiano telematico e non solo deve rivestirsi di quella bellezza, eleganza, melodia che ebbe inizio appunto nel Trecento con i capolavori di Dante, Petrarca e Boccaccio.