Alfredo Guevara sostiene che il cinema cubano ha sempre aspirato a essere un cinema artistico che doveva avere come scopo primario la libertà. Il 23 marzo 1959 – tre mesi dopo il trionfo della rivoluzione – Fidel Castro firma la legge che crea l’Istituto Cubano per l’Arte e l’Industria Cinematografiche (ICAIC) per ripartire da zero. La premessa della legge è che il cinema è un’arte e uno strumento di opinione e di formazione della coscienza individuale e collettiva. Lo scopo del cinema doveva essere: “eliminare l’ignoranza, illustrare problemi, formulare soluzioni, esporre drammaticamente e modernamente i grandi conflitti dell’uomo e dell’umanità”. La teoria generale è molto didascalica e rivoluzionaria, si parla di un cinema che deve insegnare, essere utile, non soltanto ricreare e divertire. Per fortuna gli autori più geniali non si sono fatti irretire da questa gabbia normativa ma sono riusciti ad andare oltre creando un cinema vivo, capace di raccontare le istanze di una società in sviluppo. Secondo Alfredo Guevara – e forse ha ragione – il cinema cubano non possiede un passato, ma solo drammoni sentimentali, partecipazioni produttive di pessima qualità, insomma tutte cose da dimenticare. Nel 1959 si tratta di ripartire da zero, creando una nuova cinematografia, che per Guevara doveva essere rivoluzionaria e dotata di una missione didattica e culturale. Il cinema cubano è stato e continua a essere impegno sociale per costruire un uomo nuovo, ma al tempo stesso è coscienza critica del regime.
“A Cuba manca una tradizione cinematografica alla quale richiamarsi. Siamo un popolo che si esprime con la danza e con la musica”, afferma Guevara. Per questo è stato importante agli albori del primo cinema rivoluzionario abbeverarsi alle fonti del neorealismo italiano, della nouvelle vague francese, del cinema sovietico, del cinema indipendente statunitense e del cinema giapponese di Kurosawa. Il cinema cubano nei primi anni Sessanta è senza dubbio figlio del neorealismo italiano e traduce in immagini l’impegno zavattiniano verso la realtà, verso la verità e verso l’uomo. I registi cubani studiano al Centro Sperimentale di Roma, conoscono Zavattini, vedono capolavori come Ladri di biciclette (1948) e Miracolo a Milano (1951) di Vittorio De Sica e li fanno propri, assimilandoli nella loro cultura. Un regista come Tomás Gutierréz Alea è figlio del neorealismo italiano, ma inserisce elementi di originalità nella sua opera che fanno la differenza tra un grande regista e un pedissequo imitatore. La nouvelle vague di René Clement e René Clair è presente nei lavori del cinema cubano, pure se Simone de Beauvoir definisce i giovani registi francesi come anarchici di destra. La nouvelle vague è cinema di giovani a basso costo, senza divi, cinema ribelle e di protesta, anticonformista, innovatore, iconoclasta, cinema che trasgredisce i valori borghesi e li frantuma senza ritegno. Logico che il nuovo cinema rivoluzionario cubano ne venga contaminato. I registi della nouvelle vague sono osservatori della realtà che riproducono creando personaggi credibili. Registi come François Truffaut e Alain Resnais costituiscono importanti modelli di riferimento. Al tempo stesso i cineasti cubani non possono fare a meno di studiare i grandi film sovietici come Ottobre, Sciopero, La corazzata Potëmkin, Arsenale… ed è fondamentale pure la lezione degli indipendenti statunitensi che fanno cinema fuori dai circuiti di Hollywood. Kurosawa e Mizoguchi sono autori giapponesi che influenzano il cinema cubano, ma sono da tener presenti tanto Ingmar Bergman – capace di creare capolavori come Il settimo sigillo e Il posto delle fragole – quanto l’umorismo nero e il surrealismo di Luis Buñuel.
Il cinema cubano viene pensato come arte, ma al tempo stesso è un’industria che deve svilupparsi secondo le sue possibilità commerciali e deve puntare a eliminare l’analfabetismo. Il cinema cubano nasce con l’aspirazione a essere cinema di qualità, ispirato dalle grandi cinematografie e con il supporto di registi significativi, per trovare un’identità culturale, elevare intellettualmente il pubblico e ampliare il mercato. Le idee di Alfredo Guevara – quelle meno ideologiche – si sono realizzate tutte, perché il cinema cubano è artistico, è un prodotto nazionale riconoscibile, anticonformista, a basso costo, vendibile e tecnicamente compiuto. L’anticonformismo con il passare del tempo ha rappresentato un’arma a doppio taglio perché quando il sistema rivoluzionario è diventato conformista spesso il cinema l’ha criticato con pungenti commedie e storie originali. Per fortuna il vero artista è rivoluzionario nel senso più alto del termine e non si fa ingabbiare da ideologie di nessun tipo.