Era il lontano febbraio del 2004 quando Marck Zuckerberg creò e registrò il dominio thefacebook.com, facendo di fatto muovere i primi passi al social network oggi più gettonato al mondo. Tanto da essere attualmente in terza posizione nella classifica dei siti più visitati dell’intero pianeta, preceduto soltanto da Google e YouTube. Eppure erano in pochi a scommettere sul successo dei social e molti si domandavano: chi avrà il piacere di mettere in rete foto personali e condividere momenti della propria esistenza e pensieri personali? Anche perché l’idea iniziale di Mark Zuckerberg era di mettere a confronto le fotografie degli studenti della Harvard University, dando poi agli utenti iscritti la possibilità di votare online la foto preferita. Il programma, che girava nei siti CourseMatch e poi FaceMash nel 2003, era stato realizzato hackerando il database dell’università, tanto che ne fu subito disposta la chiusura.
Oggi Facebook spopola in tutto il mondo, facendo affari d’oro in buona compagnia, considerato che altri social sono stati nel frattempo creati. Basta citare MySpace, invero nato prima nel 2003 e ancora oggi attivo ma in decadenza, Twitter, Linkedin, Instagram. Si è instaurato a livello planetario un patto non scritto e spesso non consapevole per l’utente, tra quest’ultimo e il gestore del social. L’utente ha a disposizione una vetrina e la riempie di contenuti, il gestore, che in precedenza aveva investito nella creazione della vetrina, mette fieno in cascina in termini economici, in quanto è in grado di generare plusvalenze per via della pubblicità profilata e degli investimenti profittevoli. Non è altro che il proseguimento e il normale sviluppo della nuova economia (new economy) che ha caratterizzato l’ultimo scorcio del XX secolo.
Nei fatti questa importante ed epocale evoluzione del nostro modo di comunicare e interagire, ha cambiato notevolmente le nostre abitudini e ha reso maggiormente fruibili le informazioni, ne è tangibile prova la crisi dell’editoria tradizionale che coinvolge i giornali d’informazione, le riviste e i libri. Se prima si telefonava oggi si chatta; se prima si facevano le visite, oggi molto spesso si preferisce videochiamare; se prima si scriveva nero su bianco una lettera, un pensiero, oggi si aggiorna lo stato del profilo e si riempiono di contenuti e fotografie le storie; se prima si leggeva un buon libro, oggi si cercano le informazione in rete.
Comportamenti e tendenze indotti e ulteriormente rafforzati da un anno a questa parte a causa del dilagare del coronavirus.
Ma la domanda insita nel titolo di questo articolo riguarda l’impatto che i social hanno esercitato e continueranno ad esercitare sulla cultura e sulla sua diffusione. I social fanno bene alla diffusione e alla qualità della cultura, oppure determinano una sorta di appiattimento verso il basso? Per quanto mi riguarda per dare una risposta sensata bisogna tenere in considerazione alcune variabili, che dipendono esclusivamente dagli utenti, ovvero dalla numerosa platea di persone che a livello mondiale frequentano ogni giorno i social network: quale uso ne fanno? Quali sono le aree tematiche di maggiore interesse?
C’è un dato che non è incoraggiante: la constatazione che il famoso tasto mi piace (like) viene spesso apposto senza nemmeno avere letto il contenuto del testo, nè tanto meno dopo avere aperto il collegamento ipertestuale (link) che porta ad un sito. Pertanto il rischio concreto è che, a fronte della aumentata diffusione delle informazioni di tipo culturale e delle notizie di attualità in generale, non corrisponda poi una reale lettura e successivo approfondimento da parte degli utenti.
Ed è quello che sta succedendo. Ritengo che i navigatori della rete (internet), debbano essere educati e informati su come utilizzarne le funzioni, evitando che il tempo dedicato si riveli inutile e dannoso. Che la lettura di un post o di una pagina all’interno di un sito, porti poi alla ricerca dell’approfondimento, magari acquistando un libro. Che si acquisisca la capacità di distinguere una notizia vera da una notizia falsa (fake news) controllando sempre la fonte, in quanto le notizie che circolano possono coinvolgere anche le aree tematiche culturali.
Concludo citando Fëdor Dostoevskij, che nel suo romanzo l’Idiota fa affermare al principe Miškin questa frase: ”La bellezza salverà il mondo”. Laddove per bellezza consideriamo l’arte, la cultura, la conoscenza che non devono arenarsi e mai smettere di educare. Considerazione e auspicio sempre attuale, visto che il nostro mondo è sempre in fibrillazione, tanto da farci temere che possa presto essere interessato da un decadimento culturale generalizzato, causato da una sorta di fallimento e insolvenza (default), che riguarda la sfera virtuosa delle relazioni umane.