Nel cuore del centro storico della città di Verona, il 20 gennaio 1320, l’esule poeta «florentinus natione, non moribus» (fiorentino di nascita, non di costumi) Dante Alighieri nella chiesa dei santi Giorgio e Zeno, detta anche di sant’Elena, tiene una quaestio (dissertazione) su un tema assai difficile, controverso di filosofia naturale, che affonda le sue radici nella filosofia presocratica ed aristotelica, sui due elementi dell’«acqua» e della «terra».
La Questio de aqua et terra, o solo Questio, è una delle opere del corpus dantesco di cui si è dibattuta assai a lungo ed anche accesamente l’autenticità. Nessun manoscritto, infatti, è rimasto dell’opera. Una decisiva testimonianza di Pietro Alighieri, figlio e commentatore del Sommo Poeta, è stata solamente rinvenuta nella seconda metà del Novecento.
La Questio fu inserita dal grandissimo professore di Storia della letteratura italiana e filologo dantista (assai celebre la sua Tesi di laurea Della fortuna di Dante nel secolo XVI, relatore il professore Alessandro D’Ancona) Michele Barbi nell’edizione de Le Opere di Dante del 1921, in occasione del seicentesimo anniversario della morte del «padre della lingua italiana».
La formazione (Bildung) culturale di Dante è sì tutta medievale ma la sua poetica è però tessuta da una «nuova» forza innovatrice (G. Ferroni) che apre ed aprirà la strada all’Umanesimo.
Il sapere filosofico-teologico di Dante e del suo tempo è la Scolastica, le cui parole-chiave rivestono e tessono le rime della terza cantica. Anche se in Dante specialmente nel Convivio e nel De Monarchia si trovano segnali, accenni di averroismo, una dottrina diversa ben nota agli intellettuali medievali: la base filosofica della poetica di Guido Cavalcanti, il «primo dei suoi amici» (Vita Nuova), ricordiamolo, è averroistica.
La Questio del Sommo Poeta, ad un anno dalla sua morte, avrà di sicuro appassionato gli intellettuali della sua epoca perché li coinvolgeva a confrontarsi con le loro conoscenze filosofiche, teologiche sul cosmo e sulla dottrina degli elementi sapientemente sintetizzati, ad esempio, dalle summae medievali.
Il Sommo Poeta che aveva «attraversato», dopo Enea e san Paolo, l’«oltretomba» incantava a Verona il suo uditorio come esperto di cosmologia e geografica.
Dante reduce da un «viaggio» o alla fine della sua fictio poetica e/o visio mistica coinvolgeva e stupiva, di certo, chi lo ascoltava. Così, come a settecento anni di distanza, ancora oggi il suo sapiente sapere sazia il nostro desiderio atavico di conoscere che non è solamente fine a sé stesso ma è tutto volto alla conoscenza come asse e parabola di salvezza.