Il delitto Moro e la “solidarietà nazionale”

Articolo di Merelinda Staita

Nella giornata dedicata alla memoria delle vittime del terrorismo voglio ricordare una pagina di storia davvero importante: il delitto di Aldo Moro. La personalità di quest’uomo mi ha sempre molto affascinata e, durante gli anni universitari, ho avuto modo di approfondire molto di più il periodo storico che lo ha visto protagonista, anche se con un epilogo tragico.

Il 16 marzo 1978 le Brigate Rosse rapiscono Aldo Moro, il più noto politico della Democrazia cristiana e presidente del partito, uccidendo i cinque uomini della sua scorta. Tenendolo in ostaggio per 50 giorni, i brigatisti cercano di aprire una trattativa con lo Stato per raggiungere un accordo, ma il governo Andreotti, che ottiene in questo frangente l’appoggio del Pci, assume la veste di un vero “governo di unità nazionale” e mantiene una posizione di grande fermezza; gran parte del Paese è comunque concorde nel rifiutare ogni tipo di patteggiamento.

Il cadavere di Moro, il 9 maggio del 1978, viene ritrovato abbandonato nel bagagliaio di una macchina in una strada del centro di Roma. Il delitto sconvolge l’Italia, ma lo Stato risponde con una dura azione repressiva.

Il neoeletto presidente della Repubblica Sandro Pertini – antifascista, combattente nella Resistenza padre costituente e un uomo di grande integrità morale – agisce per promuovere la reazione popolare contro il terrorismo e la corruzione. Viene creata una speciale unità antiterrorismo, sotto il controllo del generale dei carabinieri Carlo Albero Dalla Chiesa, che negli anni seguenti riesce a sconfiggere le Brigate Rosse e ad arrestarne i maggiori esponenti, grazie all’assunzione di alcuni poteri eccezionali e al ricorso a pene ridotte per i terroristi pentiti.

Nel 1981 Pertini chiama alla presidenza del Consiglio il repubblicano Giovanni Spadolini, che decide di inviare il generale Dalla Chiesa a Palermo, per combattere il dilagare della criminalità mafiosa. Qui, pochi mesi dopo il suo arrivo, il militare viene ucciso in un agguato insieme alla moglie. Si decide dunque per l’adozione di misure speciali contro la mafia, con la nomina di un Alto commissario per coordinare le indagini; l’introduzione del reato di associazione mafiosa; l’apertura dei conti bancari alle indagini di polizia. La lotta contro la mafia inizia a registrare alcuni successi, anche se continuano gli attentati contro magistrati inquirenti e forze dell’ordine.

Durante questi terribili anni al soglio Pontificio c’è Karol Wojtyla, Giovanni Paolo II, che si ritrova ad assistere a questi tremendi crimini mafiosi. Pertanto, il 9 maggio del 1983, in visita alla Valle dei Templi di Agrigento, si schiera nella lotta contro ogni tipo di terrorismo, gridando ai mafiosi: “Convertitevi!” «Dio ha detto una volta: non uccidere. Non può l’uomo, qualsiasi uomo, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Nel nome di Cristo, mi rivolgo ai responsabili: convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!»

Ricordiamoci sempre che: “Quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi.” Queste le parole di Moro che non ha avuto paura di combattere contro quella “piovra” che ha mietuto tante vittime. E noi nel 2020 cosa possiamo fare? Non dobbiamo mai piegare la testa e non dobbiamo mai tacere contro ogni sopruso, contro ogni crimine e contro ogni forma di terrorismo.

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