Gli orrori del castello di Norimberga è un horror soprannaturale ambientato in un castello austriaco, che molti definiscono strampalato e poco riuscito, ma che va citato come esempio di bravura tecnica.
La trama prende le mosse dal gesto sconsiderato del discendete di un perfido barone, che leggendo una formula segreta fa tornare in vita il vecchio proprietario e scatena una spirale di terrore. Il corpo del barone non è mai stato ritrovato, una strega l’ha maledetto per fargli patire le stesse pene subite dalle sue vittime.
Mario Bava dimostra in un film minore tutta la sua perizia di artigiano e tecnico del cinema. Il castello del diavolo prende vita, scorrono immagini di vittime impalate, si odono risate sinistre, entrano in scena bambine dallo sguardo inquietante e le leggende prendono vita.
I trucchi tecnici rendono credibile una trama abbastanza scontata e surreale, soprattutto le notti nebbiose, i chiavistelli che si muovono, la musica intensa, le porte cigolanti e le lunghe soggettive che sottolineano inseguimenti terrificanti. Il film presenta tutte le caratteristiche di un vecchio gotico: passaggi segreti, castelli infestati, cripte, risate agghiaccianti, apparizioni soprannaturali, ragnatele e notti nebbiose. Quando l’oscura presenza riemerge dalle tenebre, un vento infernale porta via la pergamena che finisce nel fuoco, mentre la porta viene sfondata. Bava è un maestro nell’evocare tensione, ci presenta con fattezze da incubo l’oscuro barone mentre si aggira vestito di cappellaccio e mantello nero, percorrendo notti di tregenda. I delitti sono ben rappresentati, anche se a Bava interessa soprattutto il killer soprannaturale dal volto sfigurato. Il regista cita se stesso e il capolavoro La maschera del demonio, nel delitto efferato con la vittima (Luciano Pigozzi) chiusa nella cassa chiodata nota come vergine di Norimberga e sfigurata dai chiodi. Bava ricorre alla tecnica consueta di inquadrare gli occhi in primo piano, ma sono frequenti anche le soggettive dell’assassino che colpisce con un coltellaccio. L’intervento della medium che tenta di creare un ponte tra i vivi e i morti è interessante, per far tornare dal passato la strega in mezzo al fuoco, in una notte di vento che spalanca le porte. Bava costruisce anche il personaggio inquietante della bambina (Nicoletta Elmi) che conosce il segreto del barone e sembra scomparire nelle segrete del castello, mentre una musica infantile conferisce suspense. La bambina sa chi è il fantasma perché ha visto i suoi occhi ed è proprio lei a mettere tutti sulla buona strada. Gli effetti speciali sono ottimi, le vittime impalate sulla torre, le urla finte nella sala e la stanza delle torture ricostruita nei minimi particolari sono momenti perfetti. La fine del barone rappresenta il destino segnato dalla maledizione della strega, perché le sue stesse vittime lo torturano e lo uccidono.
Gli orrori del castello di Norimberga è un horror soprannaturale, che fino a un certo punto lascia lo spettatore incerto sul genere di film che sta vedendo. Potrebbe trattarsi del solito horror gotico dove il fantasma non è reale, ma serve a nascondere un turpe assassino che si muove per motivi di interesse. Non è così e la virata soprannaturale di Bava è decisa e ben rimarcata. Il finale è cinema dell’orrore allo stato puro, con le vittime del barone che risorgono e si ribellano al loro torturatore. Rudy Salvagnini ritiene la pellicola danneggiata da una trama delirante, poco avvincente e del tutto prevedibile. In ogni caso afferma che Bava compie arditi movimenti di macchina e lunghe e suggestive riprese di inseguimenti nella nebbia che conferiscono al film uno stile da film gotico. Gli interpreti sono ottimi, soprattutto Joseph Cotten nei panni del perfido barone Otto Von Kleast, Massimo Girotti (Karl), Elke Sommer (Eva) e la medium Rada Rassimov. Il film è uscito negli Usa come Baron Blood, ottenendo una buona accoglienza in una versione tagliata di qualche minuto rispetto all’originale e con le musiche di Les Baxter al posto di Cipriani. Marco Giusti non ama il film e lo definisce un horror non troppo riuscito, con produzione traballante e cast raccattato da troppe vecchie glorie, ma in fondo un oggetto alquanto bizzarro. Paolo Mereghetti apprezza la recitazione ironica di Cotten, ma anche secondo lui Bava è più interessato ai giochi con la macchina da presa che alla trama.
Il film resta un prodotto ben fatto, secondo la vecchia ricetta del gotico, sullo stile de La maschera del demonio, con una maledizione incombente e un rituale esoterico che risveglia il male. Da segnalare anche una situazione stile Dottor Jekill e Mister Hyde che vede un vecchio barone paralitico prendere le sembianze del barone torturatore. Si tratta del tema del doppio tanto caro a Mario Bava, così come è ancora una volta centrale la figura del bambino che risolve un terribile mistero.
Regia: Mario Bava. Soggetto e sceneggiatura: Mario Bava e Willibald Eser. Fotografia: Antonio Rinaldi ed Emilio Varriani. Musiche: Stelvio Cipriani. Montaggio: Carlo Reali. Scenografie: Enzo Bulgarelli. Aiuto Regista: Lamberto Bava. Produzione: Alfred Leone per Euroamerica (Roma) e Dieter Geissler (Monaco). Distribuzione: Jumbo. Interpreti: Joseph Cotten, Elke Sommer, Massimo Girotti, Alan Colins (Luciano Pigozzi), Antonio Cantafora, Ulberto Raho, Rada Rassimov, Nicoletta Elmi, Vitorio Fanfoni, Gustavo De Nardo, Rolf Halwich, Valeria Sabel, Dieter Tressler e Irio Fantini.