A Kanyamahoro, nel nord est del Congo, a pochi km da Goma, nel solco scandito dalla Rift valley, in quella fascia di terra meravigliosa che costeggia la riva del lago Kivu, famosa per la collina delle tre antenne, si è consumata l’ennesima strage, un attacco probabilmente fallito nel suo intento, ma in grado di riportare l’attenzione, ancora una volta, sulle vicende criminali di una zona contesa fra tre Paesi ma, off limits per i suoi stessi governi. Abbiamo chiesto un parere a Nino Rocca, che in Congo ha operato e vissuto per più di un decennio all’indomani del genocidio ruandese del 1994.
Rocca giunge in Congo con una missione umanitaria della Caritas a Bukavu, situata proprio sul lago Kivu. Scopo della mission è la salvaguardia dell’infanzia nei campi profughi della zona. Campi che verranno smantellati e abbandonati. È coordinatore dei rapporti fra imprese siciliane e locali per la ONG italiana CISS, ma soprattutto consulente per il Congo sotto la giunta del sindaco Orlando dal 1998 al 2001. Grazie ad Orlando e insieme all’Università di Palermo da il via ad un gemellaggio tra le facoltà di agronomia e geologia di Palermo e Bukavu.
L’esperienza di Nino Rocca conferma la politica delle missioni italiane assistenzialiste e religiose, ma soprattutto snocciola una lunga serie di tentativi di formazione a fianco della società civile andati in fumo. Nino ribadisce che noi italiani siamo tollerati bene in Congo in quanto missionari ma nulla di più, in seno ad una situazione rimasta instabile dal punto di vista militare e politico e alla povertà estrema della regione, totalmente in mano ai guerriglieri. L’argomento inequivocabile è uno: la gara per le commodity, che comprende il gas naturale di Kivu, il petrolio estratto nella zona protetta di Virunga e nei grandi laghi, il cobalto, i diamanti, e ancora il rame, l’uranio, ma soprattutto il coltan, columbite tantalite, minerale indispensabile per la fabbricazione di smartphone. L’immensa riserva di minerali e oro situata nella regione di Kivu, al confine con Uganda, Burundi e Ruanda, di cui Goma è capoluogo, fa gola ai molti che rischiano di perderci la testa.
Le maggiori risorse naturali dell’intero Paese sono concentrate in questa rigogliosa zona, in prossimità del Parco nazionale dei Vulcani Virunga, area protetta dal 1925 confinante col Ruanda. L’unica politica indiscussa è votata al contrabbando dei minerali, incurante dello stato allarmante di miseria e dello sfruttamento della sua stessa popolazione. In questa palude governativa la democrazia è solo nominale, i gruppi armati manipolati da interessi sovranazionali rivendicano una certa autonomia nella gestione del depredamento delle risorse, e il basso profilo del debole governo centrale, che nemmeno lontanamente riesce a mantenere il controllo delle milizie, è funzionale. La chiamano la polveriera d’Africa, nota per le indecenti violazioni dei diritti umani e il massacro di un territorio ricco di polvere preziosa.
Nino ci racconta che nella giostra degli interessi delle grandi organizzazioni, nessuna esclusa, il coltan ha alle spalle una storia particolare. Nel 1997, alla caduta del regime del generale Mobuto, il quale aveva già provveduto a sbarazzarsi di Lumumba, primo Presidente del Congo, Laurent Kabila proclama la nascita della Repubblica democratica del Congo. Kabila chiede l’aiuto del Ruanda nel deporre Mobuto, in cambio della cessione di una porzione di territorio, al confine fra i due Paesi, ricchissima di coltan. Durante il suo governo, che non conobbe pace, scoppiò una guerra civile che coinvolse i Paesi confinanti Uganda, Ruanda, Angola, Namibia e Zimbabwe, a anche Kabila morì assassinato.
A succedergli fu suo figlio Joseph, già comandante delle truppe, e fautore dell’immediata pace con gli angloamericani, tanto da rendere il Ruanda anglofono nell’arco di pochi anni. Vincitore delle prime elezioni libere della Repubblica Democratica del Congo il 30 luglio 2006, Kabila junior tentò di pacificare i rapporti con i Paesi confinanti avviando un rapido processo di normalizzazione, ma dimenticò il patto sancito dal padre con i ruandesi. Oggi il coltan viene venduto in Ruanda in ottemperanza a un patto non rispettato. Kabila Joseph vinse stipulando una pace troppo veloce che negava la legittimità dei territori più ricchi di minerali.
La sua ostinazione a mantenere il controllo sulla nazione dei grandi laghi ha acuito l’instabilità sociale che lo ha costretto a svendere il Congo alle grandi potenze. Oggi sono almeno 40 i gruppi guerriglieri che operano nell’area nord della regione di Kivu, armati da Ruanda, Burundi e Uganda. Paesi impresari di una guerra per procura e foraggiata da altri, insospettabili attori. Il Congo, Paese dai molti laghi è un luogo incantevole e ricco di ogni pietra, metallo, liquido prezioso. Tutto ciò che nasce nel Paese genera interesse, oltre i confini. Nella neonata Repubblica semipresidenziale del Congo il capo di governo, Jean Michel Sama Lukonde Kyenge, è, non a caso, un magnate del settore minerario, ex direttore della Gecamines, società statale di estrazione di minerali e metalli succeduta negli anni sessanta alla “Union Minière du Haut Katanga”.
Il tentativo di rapimento che ha ucciso l’ambasciatore italiano Luca Attanasio conosciuto come il diplomatico buono, l’italiano che insieme alla moglie, Zakia Seddiki, fondatrice dell’associazione “Mama Sofia”, si è speso in progetti umanitari ricevendo il premio internazionale Nassiriya per la Pace, il carabiniere trentenne Vittorio Iacovacci e il loro autista Mustapha Milambo, ha piuttosto ricordato l’instabilità cronica del Paese democratico soltanto nella sua denominazione. Le tensioni per una crisi politica ormai costante sono aumentate, acuite da anni di instabilità sociale e dalla pandemia, e persino dalla recrudescenza del virus ebola nella zona est dell’enorme territorio congolese. Quella zona dove operano impunite le milizie hutu delle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda, FDLR, fondata nel 2000 dai fuoriusciti hutu del genocidio ruandese del 1994.
Da vittima a carnefice il passo è breve, prepotenza e supremazia si abbeverano nello stesso stagno. Nonostante le prime elezioni parlamentari libere del 2006 ci abbiano fatto sognare, in quanto europei che si confortano al suono della parola democrazia, il Congo ha continuato a marcire sotto l’egida dell’ONU, delle grandi potenze che si spartiscono il suo “capitale” e del mondo intero, indifferente ad un conflitto tanto incancrenito quanto rimosso, che in quelle zone viene vissuto come perenne terza guerra mondiale.