Daniel Díaz Torres è un regista, critico, insegnante di cinema, nato all’Avana nel 1948 e morto nel 2013. Nel 1961 entra a far parte delle brigate per la lotta all’analfabetismo che insegnano a leggere e a scrivere ai contadini della Sierra dell’Escambray. Nel 1978 si laurea in Scienze Politiche all’Università dell’Avana e attualmente fa parte dell’Unione degli Scrittori e degli Artisti di Cuba (UNEAC). Dal 1968 lavora nell’Istituto Cubano dell’Arte e Industria Cinematografica (ICAIC). Scrive articoli di critica cinematografica per le principali riviste e periodici, spesso partecipa alla direzione di seminari sul cinema nelle Università di Oriente e dell’Avana. Nel 1971 intraprende il suo lavoro come assistente regista e al tempo stesso realizza alcuni programmi televisivi. Nel 1975 comincia la carriera di documentarista girando Libertad para Luis Corvalán (1975), mentre – tra il 1977 e il 1981- come vice direttore realizza circa un centinaio di edizioni del Noticiero ICAIC Latinoamericano, molte delle quali ricevono riconoscimenti da parte della critica nazionale specializzata. Il suo debutto come regista di lungometraggi di fiction avviene nel 1984 con il film Jíbaro. La notorietà internazionale di Daniel Díaz Torres si deve alla satira pungente e surreale di Alicia en el pueblo de Maravillas (1990), che suscita polemiche e divide la critica cinematografica cubana. Daniel Díaz Torres è membro del Comitato dei Cineasti dell’America Latina e Membro Fondatore del Consiglio Superiore della Fondazione Nuovo Cinema Latinoamericano. Dal 1986 lavora presso la Scuola Internazionale di Cinema e Tv di San Antonio de los Baños, della quale è uno dei fondatori. Ha partecipato come giurato a molti eventi cinematografici internazionali in Spagna, Ungheria, Russia, Germani, Colombia Messico e Svizzera.
Vediamo in breve alcuni suoi lavori fondamentali.
Tra i documentari segnaliamo Madera (1980), premiato tra i più significativi dell’anno, che racconta la vita dei lavoratori forestali nelle montagne di Baracoa, nella parte orientale di Cuba, un paesaggio selvaggio e incontaminato dove si confondono alberi, uomini e macchine. Vaquero de montaña (1982) è abbastanza simile come struttura perché ricostruisce il difficile e rischioso lavoro dei vaqueros cubani che portano al pascolo il bestiame sulle montagne dell’Escambray.
Jíbaro (1984) è il primo lavoro di fiction, premiato al Festival di Bogotà (1986) per il miglior montaggio e per il miglior suono, ma anche al Festival di Mosca dalla rivista Pantalla Sovietica (1985). La pellicola racconta i primi anni della Rivoluzione, caratterizzati da trasformazioni sociali e lotta di classe. Al tempo stesso la pellicola descrive la sfida tra l’uomo e l’animale e la vita di un cacciatore che – abituato al suo mondo – non si adegua facilmente a un contesto in rapida evoluzione. Un conflitto personale contribuirà ad approfondire le sue contraddizioni e anche le sue virtù come cacciatore saranno messe a dura prova. Il film è scritto da Norberto Fuentes che lo sceneggia insieme al regista. Interpreti: Salvador Wood, René de la Cruz, Adolfo Llauradó, Flora Lauten, Ana Viña, Alejandro Lugo e Miguel Gutiérrez.
Otra mujer (1986) è un altro interessantelavoro di fiction, scritto da Jusús Díaz, che riflette la trasformazione di una donna di fronte alla crisi di realizzazione personale che investe il marito. All’interno di un complesso processo, intriso di contraddizioni e insuccessi, crescerà ed esprimerà la sua indipendenza come essere umano. Sarà un’altra donna, decisa a continuare la difficile e anonima lotta quotidiana. Interpreti: Mirta Ibarra, Jorge Villazón, Susana Pérez, Raúl Pomares, Alejandro Lugo e Dagoberto Gainza. Nel 1987, Mirta Ibarra ha vinto il premio per la miglior interpretazione femminile assegnato dalla sezione arti sceniche dell’UNEAC.
Alicia en el pueblo de Maravillas (1990) segna il successo internazionale del regista che scrive soggetto e sceneggiatura della pellicola insieme a un non ben definito Grupo Nos-y-Otros. Il film è una satira surreale della società cubana che comincia con una ragazza che lancia da un altissimo ponte un uomo, ma il supposto cadavere scompare. A partire da questo evento entriamo nella storia di Alicia, una ragazza che si reca a Maravillas de Noveras per insegnare teatro. Nel fantasioso paese le situazioni più assurde vengono accettate come normali, ma soprattutto ogni abitante si trova in quel luogo perché ha commesso un presunto crimine contro i valori della patria. Maravillas è abitato da una serie di persone destituite dai loro incarichi e confinate in un mondo surreale sempre percosso dal vento e sottoposto agli incitamenti che provengono da altoparlanti. Una commedia singolare, a metà strada tra l’assurdo e l’orrore, ma che realizza una critica pungente della realtà. Interpreti: Thais Valdés, Reynaldo Miravalles, Alberto Pujol, Carlos Cruz, Raúl Pomares, Alina Rodríguez, Jorge Martínez ed Enrique Molina. L’argomento del film è così scabroso che in patria non ottiene nessun riconoscimento, ma viene premiato con menzioni speciali al Festival di Berlino (1991) e al Festival di Montevideo (1993).
Kleines Tropicana (1997) è un lavoro scritto e sceneggiato da Eduardo del Llano e Daniel Díaz Torres con la partecipazione di Jorge Goldenberg e Manuel Pérez. Il cadavere di un turista tedesco compare in un centrale quartiere avanero. Un ambizioso poliziotto di provincia, in visita nella capitale, cercherà con ogni mezzo di farsi assegnare lo strano caso che considera l’occasione ideale per scappare dal suo remoto paesino. Si tratta di una storia poliziesca e di spionaggio la cui origine risale a un piccolo cabaret degli anni Quaranta. Interpreti: Peter Lohmayer, Vladimir Cruz, Corina Mestre, Thais Valdés, Enrique Molina e Tamara Morales. Segnaliamo, tra gli altri, il Premio del pubblico al Festival di Innsbruck (1998), anche se questo film ha avuto riconoscimenti anche in patria durante il Festival del Nuevo Cine Latinoamericano (1997).
Camino al Edén (2007) è una produzione molto ricca realizzata dalla spagnola Antenna 3. Il film è scritto e sceneggiato dal regista insieme ad Arturo Infante e si tratta di una lavoro di argomento storico. Ci troviamo a Cuba alla fine del 1895, in piena Guerra di Indipendenza. Leanor è una donna spagnola con la vita segnata da un matrimonio infelice, una precaria situazione economica e adesso, dalle insistenze di un vecchio pretendente. Trova sollievo solo nella sua amicizia con la giovane schiava che svolge mansioni di domestica. Nella dura realtà la comparsa di un rivoluzionario ferito farà risorgere in lei illusioni amorose che la condurranno verso un paradossale destino che segnerà in modo drammatico tutti coloro che la circondano. Daniel Díaz Torres afferma nel corso di un’intervista: “Il film consta di due parti, la prima Camino al Edén e la seconda El Edén perdido, diretta dal regista spagnolo Manuel Estudillo. Nessuna delle due dipende dall’altra, perché si possono vedere in modo indipendente, ma entrambe si completano. La prima storia si sviluppa all’interno del paese nel 1896 e la seconda si svolge al principio degli anni Trenta, due periodi effervescenza rivoluzionaria nella storia di Cuba. I due film sono girati in 16 mm. e sono concepiti come telefilm. La fiction comincia quando la guerra si estende in tutta l’Isola. Leanor e Cándido – una coppia di spagnoli – prendono possesso della fattoria El Edén, insieme alla serva Natividad. Il film si sviluppa tra sentimenti contrastanti e tipiche situazioni umane che vengono fuori quando Leanor rimane vedova e accetta come compagno il vecchio Don Antonio, importante proprietario della zona. Leanor vuole proteggere e far crescere tranquilo il bambino che porta nel ventre, figlio di un rivoluzionario mambí. La parte più interessante del film arriva quando la donna decide di consegnare il mambí alle autorità spagnole. La guerra sconvolge anche la fattoria El Edén; Don Antonio e Leonor vengono espropriati dagli umili contadini spagnoli e durante la fuga sono scoperti dai rivoluzionari. Don Antonio finisce impiccato. Leanor si redime da una vita piena di errori restando come infermiera nell’esercito mambí e si trasforma nella celebre Flor de Manicuripe. Non è un film sulla Guerra di Indipendenza, ma racconta in forma intimista la vita dei tre protagonisti: una spagnola, la sua serva e un mambí. Si basa sui sentimenti umani e può essere definito una storia d’amore, pure se troviamo altri sentimenti come la lealtà e il tradimento. Il tema bellico è visto secondo la personale prospettiva di ogni personaggio. Per me sono importanti le contraddizioni psicologiche e voglio che si percepisca la profonda incomprensione culturale tra cubani ed europei. La sceneggiatura di Arturo Infante si ispira ad alcuni parti di un libro scritto dal General Enrique Loynaz del Castillo, in cui compare un personaggio per certi elementi simile alla nostra protagonista, anche se abbiamo cercato di attingere ad alte fonti. Il film è stato girato in tempi record, nonostante sia una pellicola in costume e non sia stato facile ricostruire ambienti e situazioni d’epoca”.
Lisanka (2009) è un lavoro di argomento storico – fantastico, una commedia ambientata a Veredas, paese immaginario della Cuba al principio degli anni Sessanta, dove sono stati installati missili sovietici. Due giovani, Sergio e Aurelio, si contendono l’amore di Lisanka, la ragazza più bella della zona. La Crisi dei Missili sta per cominciare quando arriva sul posto un gruppo di soldati sovietici, tra di loro c’è anche Volodia che diventa un pericoloso rivale dei due cubani. La vita quotidiana di Veredas e la stessa esistenza di Lisanka non saranno più le stesse. Il regista afferma: “Questo film vuole riuscire a trasmettere tutto lo spirito di meravigliosa follia che si viveva in quel periodo storico. Ho scritto la sceneggiatura insieme a Eduardo del Llano e Francisco García”. Miriel Cejas, nei panni di Lisanka, si è meritata il premio per la miglior interpretazione femminile al Festival Iberoamericano che si è tenuto a Fortalezza, in Brasile, nel 2010. Si tratta di un film importante e interessante che ripercorre i tempi della guerra fredda con il dovuto distacco.
La pelicula de Ana (2012) vince il premio come miglior lungometraggio di ficton assegnato dall’ dall’Associazione Cubana della Stampa Cinematografica. La protagonista, Laura de la Uz, interpreta un’attrice che interpreta solo ruoli mediocri, avventure per adolescenti, telenovelas per casalinghe e pellicole senza spessore. La necessità di comprare un frigorifero e i numerosi problemi economici la convincono a interpretare una prostituta per un documentario girato da una produzione austriaca. Non sarà uno dei soliti ruoli, pieno di stereotipi e di eccessi, ma la sua miglior interpretazione. Abbiamo il parere critico di Yoani Sánchez: “Come un gioco di specchi, il film sovrappone realtà e finzione, emozione e interpretazione. Neppure l’umorismo e le battute scherzose tolgono gravità al dramma della doppia personalità come strumento di sopravvivenza. Ana si complica la vita, si trova coinvolta completamente in un mondo che in realtà non conosce, ma che la esalta e la attrae fino in fondo. Fa posare i familiari a loro insaputa; filma i vicini di casa per dare corpo a un’improvvisata sceneggiatura e mente in continuazione. Diventa la vera e propria regista di una pellicola realizzata su diversi piani, pensati per assecondare le aspettative dei produttori stranieri. Tuttavia, a ogni luogo comune si unisce la durezza della sua vita, priva di affetti, senza bisogno di essere troppo drammatizzata. La película de Ana ci provoca una vergogna femminile, nazionale, umana. Un senso di fastidio quando pensiamo a tutte quelle persone che cercano di farsi passare per altre. L’uomo che fuma un sigaro – anche se non gli piace – perché i turisti lo fotografino e lo paghino per quel gesto. Il funzionario che indossa la maschera della simulazione ideologica ormai divenuta una cosa sola con il suo volto. Persino coloro che alimentano la simulazione, perchè hanno perso la capacità di distinguere tra la parte di storia che si sono inventati e la realtà. Proprio come Ana che, tolto il trucco e spenta la macchina da presa, continua a recitare e a fingere”. Un film da vedere.