Il nostro eroe nazionale, Giuseppe Garibaldi (Nizza, 1807-Caprera, 1882), venerato anche in Uruguay e in Brasile, è sempre piaciuto a tutti. A leggerne le imprese proviamo la stessa istintiva simpatia che Ippolito Nievo si sforza di descrivere nella poesia «Il Generale» (tratta dagli «Amori Garibaldini»): «Ha un non so che nell’occhio che splende dalla mente e, a mettersi in ginocchio sembra inchinar la gente; pur nelle folte piazze girar cortese, umano, e porgere la mano lo vidi alle ragazze. Sia per fiorito calle in mezzo a canti e a suoni, che tra fischianti palle e scoppio de’cannoni, ei nacque sorridendo, né sa mutar di stile»…
E Garibaldi è stato apprezzato dai liberali (per la libertà dei popoli ha sempre combattuto), dai socialisti, tale si definì, ma anche dai nazionalisti perché non guardava solo all’Umanità, ma anche e soprattutto ai confini della Patria, dai repubblicani e dai monarchici («Saluto il Re d’Italia» disse, ma non a Teano come erroneamente la storia ci ha tramandato, bensì a Taverna Catena, oggi comune di Vairano Patenora), dai militari (era il Generale per antonomasia e la prefazione alle sue memorie si chiude con la frase «La guerra es la verdadera vida del hombre»), ma anche dai pacifisti; fu, infatti, tra gli organizzatori del Congresso della Pace a Ginevra nel 1867, in cui si chiedevano gli Stati Uniti d’Europa con Nizza città libera quale capitale (quanto dolore gli provocò la perdita della città natale!), per questo è stato apprezzato anche dagli europeisti; ma lo apprezzarono pure gli irredentisti (un paio di settimane prima del suo passaggio ad altro stato di esistenza scrisse: «La Corsica e Nizza non debbono appartenere alla Francia: e verrà il giorno in cui l’Italia, conscia del suo valore, reclamerà a ponente e a levante le sue province che vergognosamente languono sotto la dominazione straniera». Anticlericale e Gran Maestro della Massoneria, trovo sempre sacerdoti che lo seguirono: alcuni, come Ugo Bassi, ci lasciarono le penne; altri, come Don Giovanni Verità, rischiarono la scomunica, ma questi sono solo i nomi più famosi, tanti sacerdoti anonimi lo seguirono senza rinunciare ad un briciolo della propria fede, forse intuendo che il Generale, magari suo malgrado, incarnava anche virtù cristiane («Militia est vita hominis super terram» del libro di Giobbe non assomiglia forse alla frase sopra citata che chiude la prefazione alle sue memorie?).
E dopo la sua morte, sempre suo malgrado, viene preso a simbolo positivo da persone che sono avversari politici quando non addirittura nemici. Nel 1932, cinquantenario della morte, viene ufficialmente commemorato dal Presidente del Consiglio S. E. il Cav. Benito Mussolini, mentre nell’esilio parigino lo ricorda il socialista Pietro Nenni (un tempo i due erano stati sodali), così come nel tremendo periodo della guerra civile, tra il 1943 ed il 1945, si scontrano i partigiani «garibaldini» e la Brigata Nera «Cacciatori delle Alpi».
E perché al sottoscritto, ultima ruota del carro, piace Garibaldi? Perché in lui vedo anche un simbolo del politicamente scorretto, un nemico dell’eterna ipocrisia, basti leggere il suo testamento, che qui non riporto perché troppo lungo, ma non è difficile rinvenirlo.
Eh sì, Garibaldi piace a tutti. I Grandi della Storia sono così: devono piacere a tutti o a nessuno. Quando piacciono solo ai molti, probabilmente non sono davvero grandi.