Alejandro Brugués e il contrasto tra i cubani che restano e quelli che partono

Articolo di Gordiano Lupi

Alejandro Brugués nasce a Buenos Aires nel 1976 ma è cubano di adozione. Studia pubblicità, filologia e psicologia. Laureato alla Scuola Internazionale di Cinema di San Antonio de los Baños, sceneggia diverse pellicole (Tres veces dos di Lester Hamlet, 2004, Frutas en el café di Humberto Padrón e Bailando Cha cha cha di Manuel Herrera, 2005). Nel 2007 gira il suo primo film: Personal Belongings – Efectos personales, del quale è anche sceneggiatore, una storia d’amore e tentativi di fuga nella Cuba di oggi. Il suo lavoro d’esordio ottiene riconoscimenti nei Festival del Cinema Latinoamericano di Guadalajara, Avana, Utrecht e Miami.

Personal Belogings (2007) è una pellicola originale ambientata all’Avana, ben fotografata da Omar García e Mailín Milanés in suggestivi notturni e in stupende carrellate psichedeliche color seppia. Nelson Rodríguez è autore di un montaggio serrato che il regista intervalla con immagini computerizzate del lungomare girate a velocità maggiore per sottolineare lo scorrere del tempo. La colonna sonora composta da X Alfonso (Havana Blues), Sergio Valdés e Marlon Morato è a base di rock moderno e canzoni d’autore che profumano di vecchi boleri messicani. Il suono è di Javier Figueroa e Osmany Olivare. Direzione artistica di Ludwig Fernández. Gli interpreti principali sono: Caleb Casas, Heidi García e Yasser Vila. Il regista scrive soggetto e sceneggiatura, la casa di produzione è indipendente (Inti Herrera per Producciones de la 5ta Avenida), si tratta di una coproduzione con la Bolivia, ma con il sostegno immancabile del’ICAIC. Il film ottiene diversi riconoscimenti, tra il 2007 e il 2008: Festival del Cinema di Guadalajara (menzione), Festival del Cinema Povero Humberto Solás (Premio Speciale della Giuria) e Festival del Nuovo Cinema Latinoamericano (Miglior opera prima).

La famiglia di Anna scappa da Cuba a bordo di una zattera, ma lei non è d’accordo, vive volentieri nel suo paese dove svolge il lavoro di medico e non fugge con loro. Pare decisa a dimostrare che a Cuba si può vivere, distruggendo i ricordi del passato e tuffandosi nel presente. Ernesto è un cubano che escogita ogni mezzo per scappare dal paese e con la collaborazione di tre amici – due uomini e una donna – il suo unico impegno è finalizzato alla fuga. Gli effetti personali di Ernesto stanno tutti in una piccola valigia che tiene nella sua auto e sono ricordi d’infanzia, lui vive in una vecchia Lada color verde dopo essere stato cacciato di casa perché deciso a scappare. Ana ed Ernesto si conoscono casualmente al pronto soccorso e dopo alcune vicissitudini si innamorano fino a quando lui va a vivere nella grande casa della ragazza. I loro percorsi sono divergenti: la prima ama il suo paese e non lo lascerebbe mai, il secondo vive in funzione della fuga. L’amore mette in crisi la decisione di Ernesto e il finale lascia le cose in sospeso perché il regista – con grande intelligenza – evita l’effetto telenovela e si limita a inquadrare Ana in lacrime di fronte a Ernesto che ha appena ricevuto il visto per partire. Il futuro è nella vita, pare dire Brugués. La triste realtà è il quotidiano dei cubani, fatto di simili situazioni. 

Alejandro Brugués apprende la lezione di Humberto Solás e si candida come erede del Visconti dei Tropici con una pellicola di esordio che non teme di affrontare i problemi e di raccontare la vita con realismo e senza edulcorazioni. La macchina da presa immortala panoramiche psichedeliche di Centro Avana, si sofferma su luoghi poveri e decadenti, desolate periferie e case distrutte dal tempo. Vediamo L’Avana di notte, Coppelia, calle 23, La Rampa, il Malecón, Miramar, ma anche i quartieri poveri e le periferie polverose. La musica passa dal rock al bolero, sottolineando le parti trasgressive e i momenti romantici. I personaggi principali sono approfonditi psicologicamente, mentre i tre amici rivestono un ruolo di contorno e sono più caricaturali. A un certo punto assistiamo a un colpo di scena da telenovela: si scopre che il capo medico di Ana è il padre di Ernesto e chiede alla ragazza di non farlo partire. Il regista cerca di mantenere il discorso nei limiti del contesto rivoluzionario ma lo spettatore attento riconosce le critiche decise. Ana ed Ernesto guardano il telegiornale e lui afferma: “Non ti infastidisce che le buone notizie accadano tutte a Cuba e le cattive soltanto all’estero?”. Un chiaro appunto alla mancanza di libertà e ai notiziari di Stato che sono veline di regime. Un amico afferma: “L’arma potente della rivoluzione sono le donne. Se ti innamori è finita. Ti fanno dei figli, ti legano e allora devi rassegnarti. Non scappi più”. Vediamo un apagón che lascia la casa al buio illuminata da una stupenda luna piena per sottolineare i problemi energetici. Abbiamo la tematica del matrimonio d’interesse e il cubano che pur di scappare accetta ogni compromesso. Il desiderio di fuga pervade il film come pervade la vita quotidiana, come un momento imprescindibile da tenere in debita considerazione. Per contrasto abbiamo soltanto l’amore che porta a meditare se sia il caso di mollare tutto e fuggire. Il regista non mette altri valori sul piano della bilancia: solo l’amore può convincere a non scappare da Cuba e spesso non basta perché il desiderio di libertà è troppo forte. Ana è il personaggio positivo, la donna rivoluzionaria che brucia i ricordi quando la famiglia fugge, vive in una casa immensa senza quadri e priva di foto, tenta di trattenere il suo amore con tutti i mezzi ma non sa se ce la farà. Il rapporto tra Ana ed Ernesto a tratti ricorda Ultimo tango a Parigi (1972) di Bernardo Bertolucci, perché i due non vogliono sapere niente l’uno dell’altro,visto che le loro strade sono divergenti. Il tono del film è triste, malinconico, tipico cinema povero alla Solás, la pellicola narra una storia d’amore e di fughe, girata in un color seppia tendente al ruggine che rende ancora più decadente il contesto. Il film è romantico ma il taglio è moderno, soprattutto non trascura le problematiche sociali e tiene presente la lezione di registi come Gutiérrez Alea e Juan Carlos Tabío. Si tratta di una commedia sentimentale ma dotata di uno stile proprio, tipicamente cubano. Sono ottime alcune parti erotiche, mai preponderanti sul lato sentimentale che procede come un triste bolero. La giustificazione del titolo Effetti personali sta nella voglia di fuga del personaggio di Ernesto. “Prima di salire sull’aereo non dimenticate i vostri effetti personali”, dicono gli altoparlanti. Ernesto viaggia sempre con la valigetta accanto. 

Alejandro Brugués è interessato a mostrare il contrasto tra i cubani che restano e quelli che partono, le loro imprescindibili ragioni e i motivi che li spingono a scelte divergenti. Ci riesce bene costruendo due psicologie realistiche e diffuse nella Cuba quotidiana.

Nel 2010, Alejandro Brugués gira un nuovo film: Juan de los Muertos  (http://www.juandelosmuertos.com), un’insolita commedia – horror a tema zombi, prima nella storia della cinematografia cubana. La vicenda è ambientata in un’Avana realistica ma notturna e spettrale, invasa da una legione di zombi cannibali. La nuova pellicola di Brugués è coprodotta dalla spagnola La Zanfoña Producciones e dalla cubana Producciones de la 5ta Avenida. Brugués afferma: “Si tratta di un divertimento per tutti e non solo per gli amanti dell’horror”. Ed è proprio vero. La fiction comincia con il panico che serpeggia tra la popolazione per la diffusione di un virus che rende zombi, la televisione di regime accusa – come sempre – i servizi segreti statunitensi e i dissidenti, ma la realtà è ben diversa. 

Il protagonista di questa originale versione del mito zombi è l’attore Alexis Díaz de Villegas, che interpreta Juan, sterminatore di morti viventi a prezzi modici. Juan ha quarant’anni, passati vivendo a Cuba senza impegnarsi in nessuna attività. Questo è il suo stile di vita ed è disposto a fare qualsiasi cosa per difenderlo, in compagnia dell’amico Lazaro, altrettanto vagabondo ma più stupido. Il suo unico legame affettivo è con la figlia Camila, una bella ragazza che non vuole rapporti con il padre, perché lo ritiene capace solo di mettersi nei guai. A un certo punto le persone diventano violente e si attaccano le une contro le altre. I mezzi di comunicazione ufficiali non trovano di meglio che accusare i dissidenti, definiti agenti al soldo degli Stati Uniti. Ma gli attacchi continuano, un semplice morso contagia altre vittime e l’unico sistema per eliminare la persona infetta è distruggere il suo cervello. Juan decide da buon cubano ingegnoso che il miglior modo per affrontare la situazione è costruire un businnes dall’emergenza. All’insegna dello slogan: “Juan de los muertos, uccidiamo i vostri cari”, compone un piccolo gruppo di ammazza zombi composto da Lazaro, il figlio Vlady e Camila, sobbarcandosi il compito di uccidere a prezzi modici i familiari zombi. La piaga sembra incontrollabile e alla fine la sola soluzione sembra quella di gettarsi in mare per scappare dall’isola. Juan de los muertos non si arrende, rifiuta l’idea della fuga, si mette alla guida dei suoi concittadini e diventa un eroe che lotta per la salvezza della patria.

Molte le letture sociologiche di questa commedia – horror che fa pensare a un capovolgimento della vecchia lettura dello zombi in funzione anticapitalista. Nel film cubano il popolo fugge da un’isola infestata da zombi e non è difficile identificare nei morti viventi la gerontocrazia la potere. Il protagonista del film è Alexis Díaz de Villegas, ma tra gli attori ci sono anche i cubani Jorge Molina, Andros Perugorría (figlio del grande Jorge Perugorría interprete di Fresa y chocolate, Miel para Oshún, Barrio Cuba…), Jazz Vila, Eliecer Ramírez e la spagnola Andrea Duro. In questa coproduzione cubano – spagnola si segnalano: ICAIC (Instituto Cubano del Arte e Industria Cinematográficos), Canal Sur, Televisión Española, la Giunta dell’Andalusia e i progetti Ibermedia, Cinergia e Latinofusión. In passato gli unici esempi di cinema horror cubano sono stati due lungometraggi a disegni animati di Juan Padrón: Vampiros en La Habana (1985) e Más vampiros en La Habana (2003). Juan de los muertos è stato presentato al Festival del Cinema Latinoamericano dell’Avana nel dicembre 2011, dove gareggia nella categoria miglior lungometraggio di fiction (Premio Coral).

“Sono sopravvissuto al periodo delle fuga dal porto di Mariel, alla guerra d’Angola, al Periodo Speciale e a tutto quel che è venuto dopo”, così si presenta il protagonista del film, facendo capire subito  le intenzioni ironiche del regista. Juan de los muertos non è un horror drammatico, ma un’irriverente commedia macabra che ironizza sui problemi del quotidiano.  Brugués gira una pellicola ricca di elementi tipici del genere horror (azione, sangue, corpi in decomposizione…), ma il soggetto e la sceneggiatura sono legati alla realtà cubana: di fronte all’invasione di zombi il protagonista inventa il modo di “sfruttare la situazione” e mette in piedi un’attività contrassegnata dallo slogan: “Juan de los muertos. Uccidiamo i vostri cari”. Juan (Alexis Díaz de Villegas) diventa cacciatore di zombi a capo di una squadra singolare: la figlia, il miglior amico, il figlio dell’amico, un travestito e un compare muscoloso che ogni tanto sviene perché non sopporta la visione del sangue. Juan affronta gli zombi affamati di carne umana in un’assurda avventura che mette in primo piano tematiche cubane come l’esilio, la separazione delle famiglie e la mancanza di aspettative tra i giovani. Brugués realizza un lavoro di graffiante satira politica: i morti viventi sono presentati dalla televisione di regime come “gruppuscoli di dissidenti al servizio del governo degli Stati Uniti”. Juan de los muertos ironizza persino sulla sanità pubblica, uno dei vanti della rivoluzione cubana, quando un anziano vicino del protagonista si trasforma in un morto vivente e la moglie incolpa “le medicine scadute che gli hanno dato in ospedale”. Brugués realizza una pellicola ricca di umorismo, portando la macchina da presa a scoprire scenari simbolici dell’Avana come il Malecón, dove si verifica una strage di morti viventi accanto alla Sezione d’Interessi degli Stati Uniti, e Piazza della Rivoluzione, che si riempie di teste mozzate da un “religioso yankee” in visita a Cuba.  Il pubblico avanero non è abituato agli effetti speciali nelle pellicole cubane, ma ha accolto con entusiasmo la scena della distruzione del Capitolio, colpito da un elicottero, e il crollo del Focsa, uno degli edifici più alti della città. Nella seconda sequenza il regista inserisce un elemento umoristico quando i protagonisti si dicono soddisfatti di poter vedere finalmente il tramonto. Juan de los muertos è una pellicola politicamente coraggiosa, perché fa satira su argomenti pericolosi. Alcuni spettatori non sembrano sorpresi: “Negli ultimi tempi assistiamo a maggiori aperture in tema di libertà di critica”, dice uno studente di informatica. Altri compagni di corso concordano con la sua idea, affermano di essersi divertiti molto, perché il film presenta momenti esilaranti. All’Avana si attendeva con ansia il debutto di questa pellicola e soprattutto i giovani hanno preso d’assalto il cinema. Alejandro Brugués si dice un appassionato del genere zombi, del cinema di intrattenimento di fine anni Settanta e del regista nordamericano Steven Spielberg. “Per me aver girato questa pellicola è la realizzazione di un sogno infantile. Oltre tutto ho potuto parlare di come siamo fatti noi cubani e com’è la nostra realtà quotidiana, ha detto Brugués. A nostro parere nel film sono presenti molte citazioni del cinema di Quentin Tarantino, soprattutto in alcune scene d’azione all’arma bianca e nelle sequenze acrobatiche che vedono decapitare gli zombi con machetes affilati. 

Juan de los muertos è uscito in Europa a gennaio 2012, ma in Italia non ha ancora trovato produttori. Proiettato nel corso dei festival del cinema di Sitges (Spagna), Toronto (Canada) e Leeds (Gran Bretagna), dove ha ottenuto il premio del pubblico. In cartellone al Festival di Mar del Plata, in Argentina, al Festival di Chicago e al Fantastic Fest negli Stati Uniti. A febbraio 2013 vince il Premio Goya, riservato alla miglior pellicola ispanoamericana, un vero e proprio Oscar del cinema spagnolo.  Brugués, molto emozionato, ritira il premio nel Centro Congressi Principe Felipe de Madrid e afferma: “Questo riconoscimento apre una porta per il cinema indipendente cubano che nessuno potrà chiudere”. Il regista riceve il premio insieme agli attori Alexis Díaz de Villegas e Jazz Vilá. “Ringrazio e saluto con calore tutti i cubani, soprattutto coloro che rendono possibile fare cinema a Cuba, dove non abbiamo niente ma facciamo di tutto”, ha detto Vilá. Il regista dedica il premio alla moglie: “Ogni mattina fa in modo che mi alzi con la voglia di raccontare storie. Mi sono sempre piaciute le pellicole di zombi, inoltre avevo voglia di utilizzare l’umorismo nero presente nella realtà cubana”.

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