Joel Cano è un regista cubano nato a Santa Clara nel 1966, autore di testi teatrali e ottimo musicista, che si è stabilito a Parigi. La sua opera più interessante è Siete dias siete noches (2003), un affresco della Cuba contemporanea composto attraverso le esistenze incrociate di tre donne avanere. La musica è il leitmotiv della pellicola, sostenuta su tonalità di bolero classico, ma rivista con sonorità contemporanee. Leila canta il motivo della sigla di testa che accompagna le sequenze più importanti: Nada me parece igual, ma sono molti i pezzi di ottima musica che si ricordano dopo la visione delle immagini. Joel Cano produce, dirige, scrive e sceneggia la pellicola, ma soprattutto compone una serie di stupendi brani musicali. È bene dire che il vero mestiere di Cano è la musica, perché la sceneggiatura presenta qualche falla e la storia non scorre in maniera uniforme, restando spesso indecisa su quale strada prendere. Siete dias siete noches è il racconto dell’Avana marginale, dei quartieri poveri, di donne e uomini che popolano L’Avana Vecchia, Centro Avana, Cuatro Caminos, La Vibora e delle loro esistenze disperate. Questa è L’Avana che piace a Yoani Sánchez, la vera Avana, quella che non segue itinerari turistici, non profuma di Chanel numero Cinque e non consuma formaggio parmigiano. Cano descrive L’Avana più vera, dove la santeria, la musica e la danza fanno parte del quotidiano, il Carnevale è un divertimento popolare a poco prezzo, il sesso l’unico modo per affermare la propria esistenza. Il regista non critica direttamente il sistema, ma fa trapelare la sua opinione non conforme alle idee comuniste da alcune frasi pronunciate dai personaggi. Le donne sono il motore della vita cubana, pare affermare il regista, perché tutto resta sulle loro spalle, mentre gli uomini si ritagliano un ruolo da sfruttatori e prosseneti. Il regista rende molto bene la vita cittadina dei quartieri poveri, descrive con partecipazione un’Avana scalcinata e decrepita che cade a pezzi sotto i colpi del degrado e dei cicloni. Sono ottime le suggestive riprese del Cementerio Colón, di Guanabacoa e della Casa della Cultura, dell’Avana Vecchia con i cadenti solar e del lungomare cittadino sferzato dalle onde. Ricordiamo anche i crudeli e realistici combattimenti di galli e di cani, vietati dalla legge ma praticati dalla parte più povera e meno colta della popolazione che è solita scommettere e partecipare alle gare. Il film mostra anche liti tra guappi di quartiere, uomini che sfruttano le donne e le invitano a prostituirsi, scazzottate per dimostrare la propria forza. La recitazione è intrisa di realismo e tutti gli attori parlano come se si trovassero in una strada della capitale, impostati con il tipico slang avanero che non sarebbe facile rendere in una versione italiana. Il film perde molto del suo fascino se non viene visto in lingua originale, tra l’altro l’edizione che si trova in commercio dispone di sottotitoli in francese che traducono solo in parte la spontaneità della recitazione cubana.
Tre sono le donne protagoniste: Normita, una giornalista televisiva depressa, figlia di una madre borghese che lavora per il cinema e per la televisione; Nieves, una ragazza di colore che vive nei bassifondi e vorrebbe sfondare come ballerina; Maria, una donna che viene dalla campagna e ha perduto il figlio perché malata di Aids. La vecchia madre borghese è un coacervo di vizi e nefandezze, se la fa con i ragazzini per denaro e ha addirittura una serva che si è sempre occupata della figlia più di quanto abbia mai fatto lei. Il film è intriso di un crudo realismo anche se non mancano elementi di real maravilloso figlio di una cultura che si è abbeverata ai racconti di Alejo Carpentier e ha assimilato la lezione di Borges. Ricordiamo al proposito la visita di Maria al capezzale di Normita depressa che per rianimarla e convincerla a vivere la vita le regala fiori rubati e intona un languido bolero. Non esiste una vera e propria trama, ma il film si dipana attraversi sette giorni e sette notti vissuti dalle tre protagoniste e si compone di episodi poetici. Nieves viene scartata in un casting di ballerine perché non ha abbastanza grazia, sua madre – un personaggio davvero sgradevole – la caccia di casa dicendole: “Il tuo posto è la strada!”, spingendola a fare la prostituta per turisti. Il regista ne approfitta per immortalare il Malecón Tradiciónal, l’Hotel Nacional, mentre le onde del mare si infrangono sulle vesti di Nieves in lacrime seduta tra le scogliere. La scena è accompagnata dalle note di Nuestra soledad, un suadente bolero scritto dal regista. Molto suggestiva anche la parte onirica che vede Maria in un povero bohío della campagna cubana mentre tiene in braccio il corpicino del figlio morto, ma ancora più poetica è la parte che si svolge nel piccolo funerale di campagna dove la madre sparge al vento le ceneri del bambino. Le storie delle tre donne cominciano a intrecciarsi. Maria incontra Nieves in un bar dell’Avana, le offre una birra, confessa di aver ucciso suo figlio perché ha il sangue infetto e ha i giorni contati, insieme vanno da un amico transessuale, si sfogano con lui che in ogni caso pensa bene di sfruttarle. Nieves frequenta il trans e impara a ballare, ma il fidanzato finisce per malmenare entrambi perché non la donna non ha seguito il suo ordine di mettersi a fare la puttana. La telenovela si completa con la madre borghese di Normita e la serva mentre cantano boleri e si raccontano vecchie avventure amorose. Nieves incontra uno straniero, ci fa l’amore selvaggiamente dentro a un bagno avvinghiata al suo corpo durante una scena erotica convincente e credibile. Normita viene dimessa dall’ospedale ma la depressione è ancora profonda e intorno a lei non c’è nessuno che la comprende, anche se le amiche provano a portarla a una festa. Si ritrovano tutte e tre a ballare, donne sole a caccia d’amore, come per affermare che la sola cosa capace di risolvere i problemi è il sesso, l’esperienza erotica. Forse un po’ banale ma fa parte della filosofia cubana, basta leggere i romanzi realistici di Pedro Juan Gutiérrez (Il re dell’Avana, Trilogia sporca dell’Avana…) che sembrano la base di questa sceneggiatura. A un certo punto Maria e Normita vanno al mare verso Santa Maria e fanno il bagno senza togliersi i vestiti nella tranquillità di una spiaggia non turistica, anche se Maria si sente male. Fa da sfondo a questa serie di avventure quotidiane la situazione politica, la televisione che racconta immancabilmente dei cinque eroi prigionieri dell’impero, si vede la marcia del popolo combattente del 26 luglio 2001 e si ricorda l’inizio della battaglia delle idee. Maria non vuol sentire. Normita sì. A un certo punto piangono insieme. La critica al sistema è velata ma si sente.
La pellicola spesso ha la profondità di una telenovela poco riuscita, ma si riscatta per l’interpretazione spontanea e per la perfetta ricostruzione dei bassifondi avaneri. Nieves va con gli uomini che il fidanzato le procura ma a un certo punto si ribella e si vendica baciando di fronte a lui tutti gli amici del compagno. Un vero affronto per un macho cubano. Nieves è il classico personaggio della cubana volgare che vive in un solar, persona priva di cultura, rozza nei modi e arida di sentimenti. Normita, invece, è troppo sensibile e non regge le pressioni della realtà. Tenta ancora il suicidio mentre la madre se la fa con i ragazzini che le spillano denaro e finisce ancora in ospedale. A un certo punto vediamo Maria fermata dalla polizia come jinetera perché viene sorpresa in una casa con uno straniero. Il regista immortala il suo cranio rapato a zero, perché così vuole le legge cubana: la prostituta che va con i turisti è privata dei capelli e rinchiusa in carcere. Normita muore, questa volta il tentativo di suicidio va a compimento, e il regista ci mostra la madre in lacrime tra le tombe del Cementerio Colón. Il finale riserva un nuovo omaggio musicale a tempo di bolero con Nieves che rientra a casa, accarezza la madre che sta dormendo e subito dopo parte il tema della pellicola Nada me parece igual.
La storia racconta la vita quotidiana di tre donne problematiche costrette a vivere in una realtà ancora più difficile. Sette giorni e settenottidi tre giovani donne cubane, le loro vite incrociate, accanto le esistenze dei familiari, madri, amici e fidanzati. Ma la vera protagonista del film è L’Avana, immortalata in stupendi notturni sul lungomare e in rapide sequenze cittadine immerse nel calore dei tropici. Gli interpreti non sono personaggi noti, ma sono tutti degni di menzione perché spontanei e naturali: Orisel Gaspar (Maria), Eruadye Muñiz (Nieves), Ludrila Alonso (Normita), Xiomara Palacios (Antonia) e Ingrid Gonzalez (Marisol). Joel Cano fa un po’ di tutto: regista, sceneggiatore, musicista e persino produttore. Il montaggio è di Adeline Yoytte-Husson e il suono di Laurent Bailly. La produzione è italo – francese, ma il film è uscito in spagnolo (meglio dire cubano – avanero) sottotitolato in francese e inglese. Nel 2007 Joel Cano ha girato un nuovo film: Así de simple, ma non è stato ancora distribuito e la pellicola risulta irreperibile sul mercato.