Memorias del desarrollo, la più recente pellicola del giovane regista Miguel Coyula, per la sua importanza avrebbe dovuto inaugurare la XXXII edizione del Festival del Nuovo Cine Latinoamericano dell’Avana. Il film, invece, non è stato accettato in concorso, ma è stato proiettato in sale minori come pellicola collaterale del Panorama Latinoamericano. La promozione è stata minima e la pellicola è stata classificata come una coproduzione Stati Uniti/Cuba.
Il film non ha speranza di ottenere premi o menzioni, anche perché la pellicola vincitrice è sicuramente quella di Fernando Perez incentrata sulla giovinezza di José Martí, molto più vicina ai desiderata dell’ICAIC. Memorias del desarrollo sarà inserito nella Mostra dei Giovani Registi del 2011, che è più immune da pressioni politiche.
Memorias del desarrollo è una pellicola molto liberamente ispirata al romanzo omonimo di Edmundo Desnoes. Orlando Luis Pardo Lazo – con il suo consueto stile poetico – scrive su Diario de Cuba: “Immaginare la storia del paradiso proletario. Storicizzare l’immaginazione di un paese perduto per sempre. Il capitale simbolico di questo tipo di operazioni è infinito. Un’inesauribile miniera a cielo aperto. Collezionare oggetti sopra brandelli di ossa, ritagli di emozioni e cinismi, tradimenti e abbandoni, dialoghi equivoci interrotti per opportunismo o per puro panico. Il bilinguismo come valvola di scarico e resistenza contro il monologo totalitario. Memorie della smemoratezza, l’apoteosi della sconfitta come lucidità. Pensare Cuba è deprimersi. Scavare la sua tomba è l’unico rimedio. Impiego della lente d’ingrandimento o del telescopio (feticcio di Titón), rimpianto più che distacco. Una pellicola antipopolare, personale, sberleffo contro lo stanco concetto di massa. Ma pure una pellicola di una perfezione asettica, scettica, con ambienti vuoti nei suoi freddi fotogrammi in bianco: carta o schermo in bianco, dove vanno a marcire le idee e il desiderio della gente bianca scritta o filmata da gente bianca, tragedia della razza cubana che si è depressa storicamente nel periodo dell’utopia. Foto fossili, album di Alice nella pellicola delle meraviglie: storia di fate per rendere accettabile l’orrore, rovine retoriche del giusto tempo inumano che ci distrusse generazione dopo generazione. L’esilio come una carriera di rilievo che sbadiglia dal miracoloso ventesimo secolo americano: Rivoluzione…”. Orlando Luis Pardo Lazo analizza per fotogrammi e sensazioni una pellicola che non si può criticare diversamente, ma che va gustata soprattutto su basi sensoriali. Il personaggio principale è ancora una volta quel Sergio protagonista di Memorias delsubdesarrollo, stupenda pellicola di Tomás Gutiérrez Alea che incarnava la difficoltà del borghese alle prese con un mondo nuovo. Nel film di Miguel Coyula, Sergio rappresenta la fine di un’ideologia e la lotta contro la demagogia al potere, soprattutto l’incapacità delle nuove generazioni a capire la realtà circostante.
Orlando Luis Pardo Lazo conclude: “Memorias del desarrollo è in termini di messa in scena il nostro tardivo The Wall, è un momento memorabile dell’arte cubana, un’opera di culto, un guru, un potenziale Premio Oscar 2011. All’Avana si vedrà solo nelle sale minori e godrà di poca promozione, ma circolerà su internet e con i mezzi alternativi. Sono molti i Sergio – zombi che sopravvivono a Cuba, pubblico potenziale di un film che li riguarda molto da vicino”.
Il critico cinematografico Rolando Pérez Betancourt ha dedicato una recensione a Memorias del Desarrollo sulle pagine culturali del periodico Granma, pure se la pellicola è fuori concorso e non è passata nelle principali sale della capitale (Payret, Yara, Chaplin).
Si tratta di un film così estremo che persino alcuni cubani residenti nell’esilio non sono riusciti a finire di vederlo, criticando il lavoro del regista come irreverente e antipatriottico nei confronti di Cuba e degli Stati Uniti. Miguel Coyula ha la residenza in entrambi i paesi ed è la persona giusta per raccontare il suo lavoro.
La mia generazione non ha vissuto la rivoluzione nel momento in cui è stata fatta, per questo possiede la necessaria lontananza dagli eventi per vedere la storia come fosse un fumetto. La sequenza iniziale di Memorias del desarrollo possiede un taglio da rivista a fumetti che riduce il suo grado di serietà. Le mie pellicole precedenti non avevano niente a che vedere con la realtà cubana, ma questo film è inserito nel nostro spazio socio – politico, perché ho deciso di tirare fuori tutto quel che sentivo su questo tema. Faccio parte di una generazione politicamente apatica che non crede in nessun ideale, sia di sinistra che di destra, perché non vuole più farsi manipolare.
Edmundo Desnoes, autore del romanzo Memorias del desarrollo, non è rimasto soddisfatto della mia impostazione, crede che il mio film volgarizzi la realtà. Ma resto convinto che dovevo comunicare le mie idee in questo modo, perché siamo stati saturati sin dalla scuola primarie con le immagini degli eroi che adesso sembrano figure di cera. Il mio protagonista, Sergio, nel film si comporta come un bambino capriccioso, maleducato, che vuole distruggere tutto e allontanarsi da un vero e proprio bombardamento di simboli. Desnoes non ha apprezzato neppure il linguaggio, perché la mia opera gli sembrava troppo frammentaria, secondo lui le scene selezionate erano troppo rapide e brevi. In realtà volevo creare un discorso che ricostruisse come lavora la memoria, incapace di evocare ricordi completi ma solo ritagli. Solo così il mio protagonista cerca di riconfigurare tanto il passato come il presente della sua vita personale. Ho conosciuto Edmundo Desnoes sei anni fa. Mi ha fatto vedere anche il manoscritto inedito del suo nuovo romanzo. Ho scritto una versione piuttosto condensata della sceneggiatura in tre settimane e ho cominciato a lavorare, cercando di catturare l’essenza da ogni episodio del libro. Lavoro in digitale dai tempi del mio primo corto e in questo modo sono indipendente dai meccanismi dell’industria. Non riesco a lavorare con una troupe molto grande, perché mi interessa girare personalmente, fare il montaggio, controllare al millimetro ogni inquadratura e l’istante esatto per il taglio tra le varie sequenze. Non mi piace lavorare su un piano troppo razionale, preferisco lasciare immagini in sospeso e introdurre una ragione occulta che ognuno può interpretare come crede.
In Memorias del desarrollo c’è una ricerca attenta dell’individuo. Ho voluto mostrare che il personaggio non funziona né a Cuba né negli Stati Uniti. Il conflitto esistenziale di questo “secondo” Sergio, e anche del primo in Memorias del subdesarrollo, è più ampio di quello di un piccolo borghese che non si adatta alla rivoluzione.
Molte cose sono state modificate dal romanzo originale. Il personaggio principale non può avere cinquant’anni come nel romanzo, né ottanta come Edmundo Desnoes, perché mi interessava analizzare i conflitti di una generazione intermedia. Ho dovuto cambiare il copione per adattarlo alla necessità. Per esempio, il fratello di Sergio fugge dal porto di Mariel mentre il protagonista resta a Cuba fino alla caduta del muro di Berlino e del blocco socialista. Il mio Sergio diventa adulto solo dopo il trionfo della rivoluzione, non partecipa in pieno al cambiamento, per questo le sue prospettive generazionali sono diverse. Edmundo Desnoes adesso accetta meglio la mia pellicola, anche se la considera soltanto “un’interpretazione” del romanzo e non una fedele trasposizione cinematografica.
Paradossalmente io mi identifico molto in Sergio. Mi considero un cittadino del mondo, un uomo che non si compenetra in una società ben determinata, ma che può vivere ovunque. Non mi considero un esiliato, ma risiedo senza problemi a Venezia come a Tokyo, pure se non ho molto in comune con certe culture. Vivo il mondo in maniera sensoriale. Riguardo L’Avana per me è molto importante la presenza del mare, forse per il panorama del Malecón che vedevo dalla casa della mia infanzia.
Memorias del subdesarrollo di Tomas Gutiérrez Alea è la pellicola cubana che più mi piace, ma non posso dire che la cultura nazionale mi abbia segnato completamente. Credo che la sensibilità nasca con la persona e che sia indipendente dalla realtà che lo circonda. Per prima cosa sono stato influenzato dai cartoni animati giapponesi, dai videogiochi e infine dal cinema di latitudini lontane (Antonioni, Godard, Tarkovski). Memorias del desarrollo pretende di smontare i miti che all’estero circolano su Cuba. Il mio cubano, come capita a Sergio in una scena del film, viene rimproverato dalla sua amante perché non fuma, non beve e non sa ballare la salsa.
D’altro canto, aver vissuto dentro e fuori Cuba, mi permette una certa distanza al momento di analizzare la storia. Come accade ai nordamericani con il loro paese, noi vediamo la nostra Isola come il centro dell’universo. È triste, però fuori dai suoi confini Cuba viene percepita quasi esclusivamente con l’immagine della rivoluzione, le auto degli anni Cinquanta, La Habana Vieja, il Tropicana, le mulatte, i sigari Cohíba, il rum… Il concetto di individuo è ridotto al minimo nello sguardo internazionale verso Cuba. Per questo motivo il mio film cerca di esplorare l’individualità di un personaggio obbligato a insegnare nelle università straniere un discorso rivoluzionario che ormai non sente più suo e non gli interessa.
C’è una scena del film che ha provocato molte polemiche. Sergio dialoga con Fiddle, un bastone che rappresenta Fidel Castro. È una scena che piace al pubblico, perché a Cuba è una fantasia comune quella di avere un dialogo diretto con Fidel per poter chiedere spiegazioni. Fidel è l’unica figura in qualche modo paterna del film. Il resto dei personaggi sono donne (amiche, amanti, familiari), poi c’è la figura del fratello gay. Il mio film è un’opera contro tutte le bandiere.
Credo che sia importante che una pellicola controversa come Memorias del desarrollo sia stata programmata nel Festival del Nuovo Cinema Latinoamericano del 2010, anche se fuori concorso. Può essere un segnale che ci sono forze interne che stanno operando con tensioni opposte e che qualcosa sta cambiando. Sono sicuro che quindici o venti anni fa un pellicola come questa non sarebbe stata ammessa. Credo che sia importante che la pellicola venga vista dal pubblico cubano che vive sull’isola, anche se la stampa locale non le ha dato grande visibilità. A Miami e negli Stati Uniti il film non ha ancora avuto serie offerte di distribuzione, anche se l’opera racconta i rapporti tra USA e Cuba negli ultimi cinquant’anni. Memorias del desarrollo è una pellicola che mi è costata fatica realizzare perché è parte di me, venuta fuori con un lavoro paziente di ricostruzione di ricordi. Ho impiegato cinque anni per finirla. Adesso sto lavorando a un film di fantascienza, tutto un altro genere, ma non so ancora se lo girerò a Cuba o negli Stati Uniti.