“It Takes A Nation Of Milions To Hold Us Back”, il rap politico dei Public Enemy

Articolo di Alberto Maccagno

Il 28 giugno 1988, per Def Jam e Columbia Records, uscì It Takes A Nation Of Milions To Hold Us Back, il secondo album in studio dei Public Enemy.

Spiegare cosa abbiano significato i Public Enemy per l’Hip Hop mondiale è molto complesso; innanzitutto, bisogna sottolineare come esista un prima e un dopo rispetto all’ascesa della band.

Infatti, grazie a Chuck D, Flavor Flav, Terminator X, Professor Griff e alla Bomb Squad tutta, la cultura delle quattro arti (dibattito aperto sul fattore numerico di queste*) conobbe una grandissima rivoluzione sia musicale che di contenuti.

Con i Public Enemy prese piede in maniera preponderante il rap politico, scalzando quasi definitivamente l’immaginario colorato dell’Hip Hop di vecchia scuola e figlio della disco music; di un rap socialmente impegnato ce n’erano ovviamente già stati degli esempi, basta citare The Message di Grandmaster Flash (anche se di quest’ultimo non c’è nulla nel pezzo), ma la prepotenza artistica del collettivo nato alla Adelphi University di Long Island fu senza precedenti.

I critici dell’epoca paragonarono la formazione ai Last Poets per via dei contenuti e della complessità lirica, e ai Sex Pistols per l’esuberanza “punk” e per i suoni forti e diretti.

Musicalmente parlando, l’opera è composta da un quantitativo esorbitante di campionamenti che ad oggi renderebbero il disco economicamente insostenibile, i quali attingono a generi vari e differenti tra loro come il funk, il rock, il metal e persino il pop dei Queen.

Questi si fondono donando una potenza e una complessità mai vista prima (per i tempi) alle produzioni e sposando rumorosamente le liriche forti e urlate dai rappers.

I BPM delle canzoni sono di gran lunga superiori a qualsiasi altro album Hip Hop uscito all’epoca, e caratterizzano di una particolare frenesia ribelle il concept sonoro di Nation Of Milions.

Oltre all’importante lavoro di produzione dei brani, però, occorre sottolineare l’incredibile maestria del carismatico e misterioso Terminator X ai piatti, le doti vocali e metriche di Chuck D, l’esuberanza senza confini di Flavor Flav e l’immaginario bellico-rivoluzionario costruito da Professor Griff in quanto coreografo e leader della cosiddetta Security Of The First World (gruppo di ballerini da quest’ultimo guidati) che dà il titolo anche alla tredicesima traccia del lavoro.

La ribellione è la colonna portante delle liriche che compongono il progetto: queste, infatti, hanno modo di toccare argomenti quali il razzismo, l’orgoglio afrocentrico e il bisogno della comunità nera di tornare a scoprirlo (seguendo alla lettera o quasi i dettami della Nation of Islam e di Farrakhan), l’esaltazione di personaggi come il reverendo Jesse Jackson e Martin Luther King e Malcolm X, la brutalità della polizia nei confronti delle persone di colore e la sfiducia nei confronti delle politiche di FBI e CIA, l’epidemia del crack e le condizioni di degrado in cui erano (sono) costrette a vivere le minoranze etniche, l’astensione dalla lotta socio-culturale da parte di alcune radio “black” e la pochezza della televisione generalista.

Questa lunga lista è in realtà solo breve rispetto a quanto asserito e difeso dai Public Enemy, nelle persone di Chuck D e Flavor Flav, all’interno dei propri testi e durante le interviste.

Il gruppo arrivò addirittura ad autodefinire i propri membri come profeti della rabbia, etichetta che più di qualunque altra rende l’idea del peso sociale della crew e che anch’essa dona il titolo a una canzone del disco, ovvero la penultima Prophets Of Rage.

Nation of Milions aprì un feroce dibattito sulla valenza del gruppo, sui messaggi e i modelli proposti da questo e sulle esibizioni live, scomodando opinionisti e politici.

Purtroppo, anche con i Public Enemy il tempo non è stato clemente, portando con sé accuse di antisemitismo nate in seguito ad alcune affermazioni di Richard “Griff” Griffin e l’espulsione di questo dal collettivo, la curiosa svolta televisiva e reality show friendly di Flavor Flav (seriamente compromesso tanto economicamente quanto fisicamente dall’uso smodato di droghe, contro cui il gruppo si era oltretutto sempre scagliato) e l’avvento commerciale del gangsta rap con personaggi quali 2pac e Dr. Dre che ha relegato i New Yorkesi ai margini della scena.

In ogni caso, It Takes A Nation Of Milions To Hold Us Back è entrato e sempre rimarrà nella storia come uno dei dischi più importanti di sempre (non solamente a livello di Urban e affini) consacrando i Public Enemy come i più grandi game changers della storia del rap assieme ai Run-DMC e agli N.W.A..

*Le quattro arti dell’Hip Hop sono notoriamente considerate il rapping (o Mcing), il Writing, il Djing e il Breaking ma, secondo alcuni esperti studiosi e voci autorevoli interne alla comunità, a queste andrebbe aggiunto il Beatboxing.

Inoltre, Afrika Bambaataa considerava la knowledge (la conoscenza) come quinta disciplina cardine, seppur questa sia più una connotazione filosofica che pratica.

TRACKLIST:

01. Countdown To Armageddon

02. Bring The Noise

03. Don’t Believe The Hype

04. Cold Lampin With Flavor

05. Terminator X To The Edge Of Panic

06. Mind Terrorist

07. Louder Than A Bomb

08. Caught, Can We Get A Witness?

09. Show ‘Em Whatcha Got

10. She Watch Channel Zero?!

11. Night Of The Living Baseheads

12. Black Steel In The Hour Of Chaos

13. Security Of The First World

14. Rebel Without A Pause

15. Prophets Of Rage

16. Party For Your Right To Fight

FORMAZIONE:

Produttori – Rick Rubin, Eric “Vietnam” Sadler, Carl Ryder, Hank Shocklee, Bill Stephney (supervisione).

Voce – Professor Griff, Chuck D, Fab 5 Freddy, Flavor Flav, Erica Johnson, Oris Josphe, Harry Allen.

Ingegneri del suono – John Harrison, Jeff Jones, Nick Sansano, Chuck Valle, Greg Gordon, Jim Sabella, Matt Tritto, Christopher Shaw.

Missaggio – Steven Ett, Rod Hui, Keith Boxley, Chuck Chillout.

Scratching – Norman Rogers, Johnny Juice Rosado.

Giradischi – Terminator X, Johnny Juice Rosado.

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