“Le mura di Sana’a”, l’ennesimo attacco di Pasolini a un potere conservatore

Articolo di Gordiano Lupi

Un documentario breve ma intenso che in passato avevo colpevolmente trascurato, utile per conoscere l’altra faccia di Pasolini, del poeta che non canta solo la morte della borghesia, ma anche la fine del Terzo Mondo con tutta la sua spontanea genuinità e le sue grandi ricchezze culturali. Le riprese de Le mura di Sana’a (13 minuti e 20 secondi) durano una sola mattina (18 ottobre 1970), una pausa di lavoro del Decameron, mentre Pasolini sta girando un episodio escluso dal film in fase di montaggio (Alibech), con un ritaglio di pellicola (365 metri). Il documentario, girato in forma di appello all’UNESCO, rappresenta l’ennesimo attacco a un potere conservatore incapace di conservare, buono solo a distruggere la bellezza e la cultura del passato. Pasolini compie un breve riferimento italiano – inserito in fase di montaggio – riprendendo la città medievale di Orte, in Umbria, deturpata nel suo antico splendore dalla costruzione di palazzine moderne che cozzano contro il comune senso estetico.

Un appello – denuncia che parte dallo Yemen del Nord appena liberato, che ha vissuto una Rivoluzione, una guerra civile tra monarchia e repubblica, con la vittoria della seconda, permeata da motivi socialisti, appoggiata da Unione Sovietica e Cina Popolare. Tutto questo non basta, dice Pasolini, i negozi cominciano a esibire prodotti del consumismo più povero, mentre si sta pensando di abbattere le mura di San’a, di costruire case moderne al posto di una bellezza senza eguali che proviene dal passato. Pasolini si rivolge all’UNESCO affinché venga protetta la bellezza selvaggia di Sana’a contro l’avanzata di calcestruzzo e modernità che renderebbe inutile e farebbe morire un sito che ricorda un’antica Venezia senza il mare, una città di Urbino cinquecentesca, un luogo ebbro di antichità e splendore, di sconvolgente bellezza del passato. Pasolini vede quelle periferie degradate che stanno per nascere al posto di un antico splendore in uno Yemen che fino a dieci anni prima era un paese medievale, mentre sta lasciando il posto a un’orrenda modernità consumista.

La vittoria repubblicana ha consegnato a una gioventù decimata il compito di ricostruire dalle macerie di una guerra fratricida, adesso un esercito di ragazzini deve modificare antichi palazzi in moderne strutture governative. L’eredità più pesante resta il pericolo della perdita di valori culturali del passato, a vantaggio di un nuovo che molto spesso equivale ad assenza di estetica e mancanza di cultura. Pasolini teme che si perda quella bellezza irreale ed esaltante che faceva parte del mondo antico in cambio di speculazioni edilizie e di baraccopoli dove alloggiare i poveri. L’invocazione all’UNESCO viene fatta (sono parole del regista) in nome della vera se pur ancora inespressa volontà del popolo yemenita, in nome degli uomini semplici che la povertà ha mantenuto puri, in nome della grazia dei secoli oscuri, in nome della scandalosa forza rivoluzionaria del passato.

La dedica in apertura di documentario è molto esplicita: all’uomo yemenita che lavora come spaventapasseri e fa schioccare sotto il sole, nei campi di grano, la sua frusta contro il vento, nelle sue silenziose movenze per cacciare via gli uccelli. Pasolini dedica il suo lavoro all’uomo del Terzo Mondo, come lui lo vede, in forma poetica, un uomo che conduce una vita pura, incontaminata, elementare, quasi fanciullesca. Il suo timore – ormai divenuto certezza – è che tutto questo scompaia, fagocitato dalla bruttezza di un’ordinaria modernità. Tredici minuti intensi, fotografati benissimo da Tonino Delli Colli in un giallo antico che mette in risalto il senso cromatico del tufo dei palazzi e il colore della sabbia del deserto, montati con passione poetica e sostenuti da un commento vigoroso, potente, a suo modo rivoluzionario.

(documentario in forma di appello all’UNESCO) regia e commento: Pier Paolo Pasolini. Fotografia: Tonino Delli Colli. Montaggio: Tatiana Casini Morigi. Produzione: Rosima Amstalt. Produttore: Franco Rossellini. Pellicola: Kodak Eastmancolor. Formato: 35 mm., colore, 1:1.33. Macchine da Presa: Arriflex. Sincronizzazione: Cinefonico Palatino. Riprese: domenica 18 ottobre 1970. Esterni: Sana’a (Yemen del Nord), Adramaut (Yemen del Sud), Orte (Italia). Durata: 13’ 20” (365 m).

Related Articles