A metà del 1936 il federale Comini riceve da Starace l’ordine di sorvegliare Gabriele D’Annunzio ritiratosi da molti anni al Vittoriale. Il poeta appare dubbioso su alcune scelte del Duce e il partito non vuole perdere d’occhio un uomo di tale intelletto e personalità. Comini eseguirà il compito con zelo, riferendo ogni pass di D’Annunzio.
Il cattivo poeta è un esordio di grandissimo spessore. Gianluca Iodice riesce a ricostruire le atmosfere del periodo con grande rigore formale e adattando dialoghi carichi dei dubbi che accompagnavano D’Annunzio negli ultimi anni. Una regia che evoca senza imporre la dittatura limitandosi ad accompagnare gli attori nel mostrare i tempi.
D’impianto teatrale, il cinema di Jodice cita Avati e Bellocchio ma anche Sukorov e lo fa con il rispetto e l’esigenza di dare alla narrazione storica un suo tocco personale. Il risultato è un film interessante e ricco di spunti intimisti, come la scelta di mostrare i lati umani del protagonista. Il poeta avvertiva che il suo tempo si stava esaurendo e il furore cominciava a lasciare il posto a una spaventata riflessione.
La fotografia è rigorosa e carica di rispetto per l’ambiente, dove inquadrature bilanciate accolgono attori molto disciplinati. La recitazione di Sergio Castellitto appare priva di qualsiasi manierismo, l’attore sceglie di non marcare le tinte essendo così ancora più credibile. Un visionario formale è questo il D’Annunzio che il regista vuole rappresentare e lo fa secondo gli stilemi di un cinema polveroso e per questo molto affascinate.
Il pensiero è la riflessione che il Poeta lascia in dote al giovane federale che, plasmato dalle considerazione Dannunziane, comincia a dubitare dell’ideologia fascista. Iodice riesce a reiventare il cinema della tradizione raccontando una pagina di amaro trionfo e lo fa attraverso immagini e parole in grado di arricchire qualsiasi spettatore.