Diverse organizzazioni, associazioni e sindacati tunisini lo scorso giugno hanno denunciato gli autori di atti di tortura avvenuti in Tunisia per mano della Guardia nazionale e in primis il ministro dell’interno Hichem Mechichi, con l’accusa di violenza adoperata dalle forze di polizia.
Le suddette associazioni, fra cui l’Unione nazionale dei giornalisti tunisini (SNJT), l’Unione generale del lavoro tunisina (UGTT), la Lega tunisina per i diritti umani (LTDH), l’Associazione delle donne democratiche (perché in Tunisia ce ne sono, eccome!), e la Rete euromediterranea dei diritti dell’uomo, hanno invitato Mechichi a dimettersi e il presidente della Repubblica, Saied, a scusarsi con il popolo tunisino per crimini di stato, omicidio e tortura.
Questo è un fatto di cronaca, segnale forte ma isolato, la quotidianità, invece, va oltre il rigurgito del momento e la routine è ben diversa. Il Governo tunisino assiste da tempo agli abusi del proprio corpo di polizia. L’atteggiamento nell’affrontare le potreste degli ultimi tempi non è stato lassista.
I movimenti pacifici che hanno tentato di esortare la società civile tunisina a far pressione per ottenere i diritti basici di ogni costituzione, sono stati ripagati con la violenza.
Al centro degli obiettivi dei manifestanti è l’istituzione di una forza di polizia repubblicana che non ceda alla nota tara della corruzione. Ma la realtà è ben distante da queste mete.
La Tunisia è di nuovo in preda alla crisi.
La crisi politica come riflesso del disfacimento del sistema post rivoluzione.
La crisi sanitaria come risposta all’inadeguatezza governativa nel ragionare in termini di Stato.
Il decennio di montagne russe, che lasciavano ben sperare i fautori del cambiamento, è alla sua ultima stazione.
Il parlamento ha interiorizzato, di volta in volta il braccio di ferro, o meglio di piombo, fra il presidente della Repubblica e il capo del Governo, ereditato da un copione sempre uguale, che enfatizza i disastri del Paese.
La Tunisia si è arenata e paga un alto prezzo in termini di frustrazione dei suoi cittadini, schiacciati da meccanismi aberranti nella gestione del potere e da una burocrazia antiquata e stagnante.
Inutile flagellarsi per l’imperante corruzione quando il leitmotiv è l’insoddisfazione.
Il dramma del Paese è il fallimento della transizione democratica a cui adesso manca persino un ideale. Senza obiettivi il Paese è una barca che non governa, in balia di mire e interessi altrui, flagellato da un senso di colpa eccessivo.
Un piccolo Stato strangolato a est e a ovest, un tempo all’avanguardia e modello orgoglioso da imitare in quanto canale di emancipazione per i popoli del Maghreb, oggi è bloccato al capolinea di una anticipata fine carriera.
Una governance degna di autorevolezza solitamente si fregia di buone condotte in economia, ma a Tunisi l’impunità, il clientelismo e la corruzione, master fra le linee guida del “buon governo”, hanno azzerato le politiche economiche, logorando le fasce medie e più a rischio della popolazione.
Uguali cause generano medesimi effetti.
Chi governa il Paese in tali frangenti? Nessuno reclama il principio di responsabilità. Manca il pensiero, manca la sostanza stessa del miglioramento. Senza riflessione la barca non governa e va in deriva. Nel mentre aumentano vertiginosamente gli imbarchi illegali verso l’Europa.
Dispersione scolastica, disoccupazione, immigrazione clandestina, terrorismo (locale o importato?), minorenni che cedono alle lusinghe di Daesh nel pieno della pandemia, arrivata come un colpo di grazia a far disperdere speranze ed energie e allontanare la ripresa.
Si rischia un’insurrezione. Il popolo si attanaglia inutilmente, orfano di sé stesso, vittima dell’irresponsabilità di politici opportunisti obnubilati dalle proprie pretese.
Dove è finito lo spirito guerriero e combattivo della vecchia generazione? Stufa del vittimismo e pronta al cambiamento? É morto il garante dell’indipendenza, è morto lo spirito di rivalsa e non si scorge prospettiva.
Il popolo si torce su sé stesso e si addormenta, il coprifuoco aiuta la dipartita dalla vita attiva, sempre più presto si abbandona la battaglia, sempre più presto ci si rassegna.
E mentre il Paese sonnecchia l’economia crolla, le potenze straniere approfittano della situazione e non mancano né disordini, né violenza. In questo marasma di inconcludenza aleggia un sentore di sconfitta, un sentimento che prima d’ora, in Tunisia, non prosperava.