Giuseppe Valerio Fioravanti, meglio noto con il nomignolo di Giusva, nasce a Roma nel 1958 e comincia sin da piccolo ad apparire sul piccolo schermo. Ha la fortuna di avere un padre che fa l’annunciatore televisivo ed è lui a introdurlo negli ambienti dei caroselli pubblicitari quando ha solo cinque anni. Recita una parte da bambino anche nel bel film Darling di John Schlesinger (1965), come figlio di Julie Christie che si guadagna l’Oscar come miglior attrice protagonista. La sua fortuna televisiva comincia a nove anni con lo sceneggiato La fiera delle vanità di Anton Giulio Majano (1967), storia che mette alla berlina ogni tipo di ipocrisia. Il successo del giovane attore si consolida un anno dopo con il popolarissimo La famiglia Benevenuti, serie ideata e diretta da Alfredo Giannetti. Giusva Fioravanti è Andrea, il figlio simpatico dal viso lentigginoso, la risata spontanea e l’espressione furba. La famiglia Benevenuti fornisce il ritratto della famiglia italiana della media borghesia di fine anni Sessanta, con un padre architetto (Enrico Maria Salerno), una madre casalinga (Valeria Valeri), due figli e una governante. Il successo della serie viene fuori da un ben dosato mix di vita quotidiana e conflitti generazionali, ai quali il piccolo Giusva Fioravanti fornisce il sale della spontaneità giovanile. Una volta cresciuto, ricordiamo Fioravanti interprete di Grazie nonna di Franco Martinelli (1974), uno spassoso film comico-erotico con Edwige Fenech, nel quale interpreta Carletto Persichetti, il nipote terribile, figlio di un impacciatissimo Enrico Simonetti. Il nipote le studia tutte pur di portarsi a letto la bella nonna argentina, giovane vedova di un nonno sposato in punto di morte, e alla fine è l’unico della famiglia che ci riesce. Un altro film interpretato da Fioravanti è Il tormento el’estasi di Carol Reedcon Charlton Heston e Tomas Milian. Nel solito periodo Giusva è molto richiesto anche come attore di fotoromanzi che interpreta per le riviste femminili più popolari. Siamo nel 1977 e Giusva Fioravanti sarebbe lanciato verso la scalata al mondo del cinema che conta, ma la sua carriera si interrompe bruscamente per la sua scelta di passare nelle file del terrorismo nero. Giuseppe Valerio Fioravanti è un ragazzo intelligente, possiede un diploma di maturità scientifica, e ha tante idee pericolose per la testa che vuole mettere in pratica insieme a suo fratello Cristiano. Per il pubblico televisivo è Giusva, il bambino prodigio dello sceneggiato La famigliaBenvenuti, il figlio che ogni genitore avrebbe sognato. Ma quel ragazzino è molto lontano dal vero Giusva e pure il successo televisivo è di breve durata: la sua carriera d’attore, che lui del resto ha sempre osteggiato, finisce con l’arrivo dell’adolescenza e la scelta politica condiziona il suo futuro di uomo. Nel frattempo il clima politico è diventato pesante e a Roma gli estremisti di destra e di sinistra si affrontano quotidianamente in scontri dalla durezza crescente. Fioravanti, intervistato a Mixer, definisce la situazione come “la rissa del sabato sera”, pure se la cosa è molto più grave di una scazzottata in discoteca e spesso vengono uccisi ragazzi dell’una e dell’altra parte. Il 28 febbraio 1975, viene ucciso a Roma lo studente di destra Mikis Mantakas: accanto a lui c’è Cristiano Fioravanti, fratello di Giusva, attivissimo sin da piccolo nelle sezioni del MSI che vedranno il fratello segretario giovanile. Di ritorno dagli Stati Uniti, dove ha trascorso un anno di studio, Valerio si immerge nella politica e avvia una linea progettuale definita come “spontaneismo armato”, svincolato dalle logiche di partito, dal fascismo “in doppiopetto” di Almirante e da quello colluso con i servizi deviati. Nascono i Nuclei Armati Rivoluzionari, cui parteciperanno a vario livello Alessandro Alibrandi, Franco Anselmi, FrancescaMambro, Giorgio Vale, Gilberto Cavallini e Luigi Ciavardini. La lista di morti si allunga e gli scontri di piazza si accentuano. Il 30 settembre 1977, viene ucciso a Roma Walter Rossi, simpatizzante di Lotta Continua. Pochi mesi dopo, tra il gennaio e il febbraio 1978, si susseguono gli scontri di Acca Larentiae le morti di Recchioni, Ciavatta e Bigonzetti, studenti di destra che verranno vendicati da Fioravanti e i suoi accoliti. Fioravanti subisce diverse condanne per detenzione abusiva di armi da fuoco e nel 1978 viene accusato di aver fatto parte del commando che uccise a Roma il poliziotto Franco Evangelista. Il 22 febbraio 1980, a Roma, un commando dei NAR, composto da Giuseppe Valerio Fioravanti, Dario Pedretti, Cristiano Fioravanti, Alessandro Alibrandi e Francesca Mambro, uccide lo studente Valerio Verbano appartenente all’area di Autonomia Operaia. Si tratta di un delitto barbaro e spietato, una feroce esecuzione compiuta nell’abitazione del diciannovenne studente romano, sotto gli occhi dei genitori. Verbano stava raccogliendo materiali sulle attività eversive neofasciste e i NAR lo considerano un pericoloso nemico da eliminare. Tra l’altro c’è pure lo spiacevole episodio delle forze di polizia che intervengono nel cimitero del Verano contro gli autonomi che partecipano ai funerali di Valerio Verbano e un carabiniere riduce in fin di vita Antonio Musarella. L’accusa più grave rivolta a Giusva Fioravanti coinvolge anche la terrorista Francesca Mambro ed è relativa alla strage della stazione di Bologna dell’agosto 1980. Nel 1995, i due neofascisti sono ritenuti colpevoli e vengono condannati in via definitiva per strage, cosa che entrambi non hanno mai accettato, visto che in tempi recenti si sono rivolti persino al Papa chiedendo in una lettera come possono ottenere il perdono per un orribile delitto che non avrebbero mai commesso. Giusva Fioravanti e Francesca Mambro per la mattina del 2 agosto 1980 hanno un alibi, perché sono latitanti e in quel periodo hanno trovato rifugio nel Veneto. Nel preciso istante della strage di Bologna sono a Padova, assieme a un altro militante dei NAR, Gilberto Cavallini. Per l’esattezza pare che i due siano al mercato di piazza delle Erbe, in attesa di incontrarsi proprio con Cavallini che doveva andare a un appuntamento con un non meglio identificato zio Otto. Le vicissitudini dell’ex attore prodigio all’interno del terrorismo nero sono state tali da ispirare al giornalista Giovanni Bianconi il libro di successo A mano armata. Vita violenta diGiusva Fioravanti, edito daBaldini e Castaldi nel 1996. Giusva Fioravanti, nell’aprile 2004, ha ottenuto la libertà condizionale, anche se un rientro nel mondo del cinema pare molto improbabile. Va ricordato, visto che oggi è in corso un processo di riabilitazione e quasi santificazione di certi terroristi, che sia la Mambro che Fioravanti sono stati condannati complessivamente a diciassette ergastoli e che la sentenza sulla strage di Bologna è passata in giudicato. Ma anche se lasciamo da parte la strage di Bologna sono molti i delitti di cui i due neofascisti si sono macchiati. Il primo omicidio volontario risale alla sera del 28 febbraio 1978 ed è una delle esecuzioni più spietate ed efferate. Giusva Fioravanti e altri suoi compagni terroristi vedono due ragazzi con i capelli lunghi seduti su una panchina che identificano come appartenenti alla sinistra. Fioravanti scende dall’auto e apre il fuoco verso di loro. Roberto Scialabba, ventiquattro anni, cade a terra ferito e Fioravanti lo finisce con un colpo alla testa. Nell’agguato finisce ferito anche il fratello Nicola Scialabba, poi Fioravanti si gira verso un ragazzo che grida mentre sta fuggendo, le spara, ma non lo colpisce. Sono le dichiarazioni di Cristiano Fioravanti, fratello di Giusva, a far luce sul crimine e a presentarcelo come un’azione inconsulta di stampo neofascista. Tutto viene organizzato al bar dell’Eur dove si radunano i neofascisti per commemorare l’assassinio di Mikis Mantakas avvenuto tre anni prima. Il gruppo di neofascisti decide che devono essere vendicati Mantakas, Ciavatta e Bigonzetti, tutti “camerati” uccisi dai comunisti. Obiettivo della rappresaglia sono i rossi che hanno la sede nella casa occupata di via Calpurnio Fiamma, a Cinecittà. Il commando neofascista si dirige in via Calpurnio Fiamma, ma la casa è chiusa, dei rossi nemmeno l’ombra, al portone ci sono i sigilli della polizia, l’edificio è stato sgomberato proprio quella mattina. Sono oltre le dieci, l’anniversario sta per scadere, occorre fare in fretta, bisogna trovare qualche “rosso”, di sicuro ce ne sono in giro. Comincia la ronda per le strade del quartiere, arrivano in piazza Don Bosco, c’è un gruppo di ragazzi che parlano tra loro, seduti su alcune panchine, sono “compagni”, si vedono come sono vestiti, hanno i capelli lunghi, i giubbotti, i jeans sdruciti, la barba lunga e i giornali in tasca. L’eccidio comincia e questo crimine lo racconta Cristiano Fioravanti, il fratello di Giusva, in modo preciso e circostanziato: “… Dalla macchina scendemmo io, Valerio e Anselmi, Io ero armato di una Flobert calibro 6 modificata in modo da sparare colpi calibro 22, Valerio aveva una Franchi Liama 6 pollici e Anselmi una Beretta calibro 7,65. Scesi dalla macchina, abbiamo percorso alcuni metri a piedi andando di fronte al gruppo delle persone che avevamo visto. Mi sembra che abbiamo fatto subito fuoco. Io sono sicuro di aver colpito una delle persone verso la quale avevamo sparato uno o due colpi, e non potei spararne altri perché la pistola si inceppò. Anselmi scaricò tutto il suo caricatore ma credo che non colpì nessuno, essendo lui un pessimo tiratore.Valerio invece colpì uno dei ragazzi che cadde a terra. Visto ciò Valerio gli salì a cavalcioni sul corpo sempre rimanendo in piedi e gli sparò in testa uno o due colpi. Quindi si girò verso un ragazzo che fuggiva e urlando sparò verso questi senza però colpirlo. Io credo di aver colpito una delle persone al torace o al ventre, non so dire se si trattasse del ragazzo rimasto ucciso o di quello ferito. Non si era parlato espressamente in precedenza di quello che si voleva fare, ma quando tornammo alle auto nessuna delle tre persone che ci attendevano ebbe a mostrarsi dispiaciuta”. Il 9 gennaio del 1979, Fioravanti e altre tre persone assaltano la sede romana di Radio Città Futura dove è in corso una trasmissione gestita da un gruppo femminista. I terroristi fanno stendere le donne sul pavimento, danno fuoco ai locali e quando divampa l’incendio e le impiegate tentano di fuggire, scaricano su di loro colpi di mitra e pistola. Quattro donne rimangono ferite, di cui due gravemente. Il 16 giugno 1979, Fioravanti guida l’assalto alla sezione comunista dell’Esquilino, a Roma. All’interno si stanno svolgendo due assemblee e sono presenti più di cinquanta persone. La squadra terrorista lancia due bombe a mano, poi scarica alla cieca un caricatore di revolver. Si contano venticinque feriti. Dario Pedretti, componente del commando, viene rimproverato da Fioravanti perché, nonostante fossero ben armati, “non c’era scappato il morto”. Fioravanti è il capo del commando, come viene accertato dalle testimonianze dei feriti, degli altri partecipanti all’azione, e da una sentenza passata in giudicato. Nonostante tutto Fioravanti ha sempre negato questo suo pesante precedente stragista. Il 17 dicembre 1979, un gruppo capitanato da Fioravanti tenta di uccidere l’avvocato Giorgio Arcangeli, ritenuto responsabile della cattura di Pierluigi Concutelli, leader neofascista. Fioravanti non conosce bene la vittima e tende l’agguato sotto lo studio dell’avvocato, ma uccide il giovane geometra Antonio Leandri, vittima di uno scambio di persona e colpevole di essersi voltato al grido: “Avvocato!”, lanciato da Fioravanti. Il 6 febbraio 1980, come già accennato, Fioravanti uccide il poliziotto Maurizio Arnesano, che ha solo 19 anni, per impadronirsi del suo mitra M.12. Da una dichiarazione processuale di Cristiano Fioravanti, si legge una terribile confessione indiretta: “La mattina dell’omicidio Arnesano, Valerio mi disse che un poliziotto gli avrebbe dato un mitra; io, incredulo, chiesi a che prezzo ed egli mi rispose: “gratuitamente”. Fece un sorriso e io compresi”. Il 23 giugno 1980 Fioravanti e Francesca Mambro uccidono a Roma il sostituto procuratore Mario Amato che da due anni conduce le principali inchiesta sui movimenti eversivi di destra. Amato aveva annunciato che le sue indagini lo stavano portando “alla visione di una verità d’assieme, coinvolgente responsabilità ben più gravi di quelle stesse degli esecutori degli atti criminosi”. Il 9 settembre 1980 Mambro e Fioravanti con Soderini e Cristiano Fioravanti, uccidono Francesco Mangiameli, dirigente di Terza Posizione in Sicilia e testimone scomodo in merito alla strage di Bologna. Il 5 febbraio 1981 Mambro e Fioravanti tendono un agguato a due carabinieri: Enea Codotto, 25 anni e Luigi Maronese, 23 anni. Dagli atti del processo emerge che durante l’imboscata Fioravanti finge di arrendersi, poi grida alla Mambro, nascosta dietro un’auto: “Spara, spara!”. La parabola criminale di Valerio Fioravanti è alla fine, perché il terrorista uccide i due giovani carabinieri ma resta a terra ferito ed è abbandonato dai complici e arrestato. Non ha neanche ventitré anni. Pochi mesi dopo viene arrestato suo fratello Cristiano, che comincia subito a collaborare con gli inquirenti. Rivela fatti, date, nomi: accusa Valerio e lo implica persino in omicidi da cui in seguito verrà completamente scagionato, come quello del giornalista Mino Pecorelli o dell’esponente democristiano Pier Santi Mattarella. Beneficiario della legge sui pentiti, Cristiano Fioravanti ha scontato una breve condanna ed è oggi in libertà.Né pentito né dissociato, Valerio Fioravanti è stato condannato con sentenze rese ormai definitive dalla Cassazione a numerosi ergastoli, che ha scontato nel carcere romano di Rebibbia (1). Francesca Mambro e Giusva Fioravanti nel 1985 si sono sposati in carcere, la sua compagna ha messo al mondo una bambina e da quando è madre gode dei benefici di legge che poco a poco le hanno procurato la libertà. Dopo ventitré anni di carcere lo stesso Valerio Fioravanti, nonostante parecchi ergastoli sulla spalle, ottiene la libertà condizionata dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Fioravanti è adesso un uomo libero, pur con qualche limitazione. Durante il giorno può continuare a lavorare presso l’organizzazione radicale “Nessuno Tocchi Caino” in pieno centro a Roma, come già fa da quando ha ottenuto il permesso per il lavoro esterno al carcere. Non può però allontanarsi dal comune di Roma, dove risiede insieme alla moglie Francesca Mambro, condannata all’ergastolo, ma pure lei in libertà condizionata. Interpellato sulla concessione del regime di semilibertà all’ex terrorista, Paolo Bolognesi, Presidente dell’Associazione Vittime della strage di Bologna, ha detto: “Si tratta di una decisione squallida. Questi terroristi hanno ammazzato tanta gente, non si sono mai pentiti, tanto meno hanno chiesto perdono. E ora sono ben protetti dallo Stato che concede loro di ricostruirsi una vita. E ai famigliari delle vittime chi pensa?”. Per Bolognesi “siamo davanti a un chiaro esempio di come questa nazione non solo non protegga le vittime ma, in un momento in cui si fa un gran parlare di lotta al terrorismo, non fa che aiutare fino in fondo i terroristi” (2). Alla fine di marzo 2005 Giusva e Francesca tornano alla ribalta della cronaca per aver ricevuto un invito da parte di Maurizio Scelli per la convention “Italia di Nuovo”, alla quale partecipa Silvio Berlusconi. Una kermesse elettorale del premier del centro destra che li avrebbe visti in primo piano per raccontare la drammatica esperienza da terroristi cresciuti seguendo ideologie violente. Ci sono state molte polemiche e alla fine il giudice non ha autorizzato la partecipazione alla convention dei due ex terroristi dei NAR. Giusva Fioravanti ha detto al giornalista Giovanni Bianconi del Corriere dellaSera (una sorta di biografo ufficiale) che se avesse saputo che c’era Berlusconi non avrebbe mai chiesto di partecipare alla convention. “Non mi sento allineato politicamente con Forza Italia e a me interessa partecipare a un percorso di volontariato che stia fuori dalle formazioni politiche”. Giusva Fioravanti e Francesca Mambro sono da tempo militanti del Partito Radicale soprattutto come debito di riconoscenza verso Marco Pannella, il solo uomo politico ad averli sostenuti pure nei momenti di grande difficoltà. Giusva Fioravanti afferma che lui e sua moglie si sono dati una sorta di pena accessoria che consiste nel non partecipare più alla vita politica attiva. “Venticinque anni fa abbiamo combinato disastri per come abbiamo ritenuto di farla, attraverso scelte militari e criminali, ed è bene che ora ne restiamo lontani. Anche se la faremmo in modo diverso”, conclude Fioravanti (3). Fa piacere sapere che la lezione gli è servita e che adesso l’ex attore prodigio ritiene suo dovere parlare con i giovani di un’esperienza sbagliata che lo ha visto protagonista. Può servire a evitare che altri cadano nei suoi stessi errori. Giusva e la moglie però si ritengono discriminati rispetto ai terroristi di sinistra, nei confronti dei quali, secondo loro, ci sarebbe maggiore apertura. “Non tutti i buoni stavano da una parte e non tutti i cattivi dall’altra”, dice Fioravanti citando la strage di Primavalle (4). Sulla vicenda Fioravanti – Mambro, ad aprile 2007, esce un libro innocentista scritto da un comunista come Andrea Colombo, nonostante una condanna più volte confermata che non lascia spazio a repliche. A lasciare le due valige con dentro venticinque chili di esplosivo nella sala d’aspetto della stazione di Bologna e a provocare la morte di ottantacinque persone fu Valerio Fioravanti. Andrea Colombo, ex di Potere Operaio, giornalista del Manifesto, portavoce di Rifondazione Comunista, sostiene il contrario e lo fa ricostruendo la vicenda rileggendo tutte le carte processuali. La tesi descrive Valerio e Francesca come fascisti anomali, anarchici neri dediti a rapine e omicidi, non certo dei bombaroli, ma soltanto dei ribelli in rotta con la vecchia guardia fascista. Erano dei ragazzini isolati e sarebbe stato proprio il Sismi a depistare le indagini portando i magistrati verso una montatura resa credibile dal clima antifascista di quei tempi. Colombo espone tutti i suoi dubbi sulla colpevolezza di Fioravanti, anche perché esistono molti indizi ma nessuna cettezza. Giusva non metteva le bombe, ma non era neanche un puro, era legato a personaggi come Alibrandi e Cavallini, compagni di sparatorie e vicini alla banda della Magliana. Per Colombo esiste un alibi che scagionerebbe Fioravanti per la mattina del 2 agosto, anche se lui e la Mambro si contraddissero molto in sede processuale. Il libro di Colombo è interessante, offre spunti nuovi di riflessione su una vicenda intrigata e su un periodo oscuro della nostra storia, ma non va letto come se fosse il racconto di una verità rivelata (4).
Note
(1) Il racconto circostanziato delle gesta criminali di Giusta Fioravanti è contenuto in: Giovanni Bianconi – A mano armata. Vita violenta diGiusva Fioravanti – Baldini e Castaldi, 1996. Giovanni Bianconi è diventato il biografo ufficiale dell’attore – brigatista.
(2) Redazionale “Fioravanti in semilibertà” – da “La Repubblica.it” del 13 luglio 1999
(3)Giovanni Bianconi “Fioravanti: lontano dalla politica dopo i miei disastri” – dal “Corriere della Sera” del 31 marzo 2005
- Ibidem – articolo citato sopra
- Giorgio Gazzotti – “Mambro e Fioravanti stragisti? No, solo dei ragazzini isolati” – da “La Nazione – Quotidiano Nazionale” del 22 aprile 2007