Diritti del fanciullo: a trent’anni dall’approvazione, restano molti lati oscuri

Articolo di C. Alessandro Mauceri

A trent’anni dalla sua approvazione (il 20 Novembre 1989), la Convenzione dei Diritti del Fanciullo (o CRC, come viene comunemente chiamata) rimane il trattato ratificato dal maggior numero di paesi delle Nazioni Unite: ben 195 su 196! Ultimo in termini di tempo, il Sud Sudan, nel 2018. Unico assente (ingiustificato) gli Stati Uniti d’America: pur avendolo siglato l’accordo nel 1989, in oltre trent’anni non lo hanno mai convertito in legge. In Italia, la CRC è diventata legge il 27 maggio del 1991 (l.176/91).

Eppure, in molti paesi, i diritti dei minori sono costantemente violati!

In Italia un gruppo indipendente costituito da un centinaio di Associazioni a tutelare e sorvegliare il rispetto dei Diritti dei Minori: ogni anno dopo un’attenta analisi presenta al Parlamento un report nel quale vengono segnalate problematiche relative all’applicazione della Convenzione dei Diritti del Fanciullo. Diversa la situazione nel resto del mondo. Da diversi anni, proprio allo scopo di valutare il rispetto delle leggi nazionali e degli accordi internazionali sottoscritti riguardanti i diritti dei minori, una organizzazione KidsRights, insieme all’Università di Rotterdam, utilizza venti parametri (13 quantitativi e sette qualitativi, suddivisi in cinque macro-aree: vita, salute, educazione, protezione e “abilitazione dell’ambiente dei diritti dei minori”) e assegna ad ogni paese un “numero” che indica non solo cosa il rispetto degli accordi sottoscritti, ma anche “quanto” è stato fatto sia in termini temporali che in rapporto agli altri paesi.

Un’analisi particolarmente importante in un momento, come quello attuale, in cui anche i diritti dei bambini sembrano essere stati gravemente colpiti dall’epidemia di coronavirus. A sottolinearlo, pochi giorni fa, è stato lo stesso presidente dell’Organizzazione internazionale per i diritti dei bambini KidsRights, Marc Dullaert, proprio in occasione della presentazione del KidsRights Index 2020. “Questa crisi riporta indietro gli anni di progressi compiuti sul benessere dei bambini. Pertanto, è più che mai necessaria una forte attenzione per i diritti dei minori. Tuttavia, finché i governi stanno lottando per mantenere il loro sistema sanitario e l’economia in funzione, è discutibile fino a che punto sono in grado di fornire questo focus”, ha dichiarato Dullaert.

In alcuni casi, le misure adottate dai governi per frenare la diffusione del Covid-19 hanno avuto un impatto disastroso: la chiusura delle scuole in 188 paesi, ad esempio, ha colpito 1,5 miliardi di bambini e adolescenti, e ha reso molti ragazzi e ragazze vulnerabili allo sfruttamento minorile, a matrimoni precoci ed esposti al rischio di essere vittime di violenze domestiche. Ma non basta. In molti paesi, a causa della pandemia, sono stati sospesi i programmi di vaccinazione per malattie come la poliomielite o il morbillo con il rischio di un nuovo aumento dei casi di mortalità infantile dovuti a queste malattie. Le stesse Nazioni Unite hanno previsto un aumento del livello di povertà estrema: sarebbero da 42 a 66 milioni i bambini a rischio di povertà estrema a causa della crisi derivante dal corona virus.

Molti i punti di discussione che emergono scorrendo la classifica pubblicata da KidsRights. Non sorprende trovare al primo posto assoluto l’Islanda, seguita dalla Svizzera e da molti paesi scandinavi. Ottima anche performance di Germania e Olanda (rispettivamente quinta e senta). A sorprendere (in modo positivo) sono l’ottava posizione assoluta della Thailandia e la tredicesima della Corea del Sud.

Non mancano, però, le sorprese, alcune positive, altre meno. La Lituania si è piazzata al 16esimo posto; la Tunisia al 17esimo e il Cile al 19esimo. Per contro desta un certo stupore dover scorrere la classifica fino al 135esimo posto per trovare l’Australia (lo scorso anno 19esima). La causa sarebbe da cercare nei problemi legati alla gestione dei minori richiedenti asilo, i rifugiati e i migranti e nella discriminazione dei bambini aborigeni.

Ma non è questa l’unica “sorpresa”: per trovare la la Nuova Zelanda bisogna scendere ancora più in basso e scorrere la classifica fino quasi alla fine: solo 168esima, seguita dal Regno Unito che occupa un umiliante 167esimo posto (anche a causa della discriminazione e della stigmatizzazione dei bambini rom e zingari). Desta un certo stupore trovare questi paesi “sviluppati” ben al di sotto di paesi come l’Egitto (36esimo nonostante gli scontri in atto) o il Botswana (82esimo) o la Turchia che occupa, non senza sorprendere, la 22esima posizione. Nessuna sorpresa, invece, per le ultime posizioni assolute occupate rispettivamente da Afganistan e Chad.   

In questo quadro sorprendente, fa piacere trovare (per una volta) tra i migliori paesi l’Italia 16esima assoluta. Anzi, nella presentazione del rapporto, i ricercatori hanno voluto rimarcato la performance del Bel Paese esprimendo un giudizio positivo per i progressi significativi in ​​quattro delle cinque macro aree analizzate (“nonostante le campagne diffamatorie contro le organizzazioni che cercano e salvano i migranti, compresi i bambini nel Mediterraneo”).

In generale restano molti lati oscuri nel modo in cui i singoli governi rispettano i diritti dei minori. Una delle maggiori preoccupazioni riguarda la differenza tra i sessi: in 91 dei 182 paesi analizzati, le adolescenti non godono degli stessi diritti dei coetanei di sesso maschile. In alcuni paesi, poi, le ragazze non hanno nemmeno gli stessi diritti ereditari dei coetanei e hanno un livello inferiore di accesso all’istruzione con leggi che le pongono spesso in condizione di disparità.

“Grande assente”, in questa analisi, gli Stati Uniti d’America. Il motivo è semplice: pur essendo stati tra i primi firmatari della Convenzione dei Diritti del Fanciullo, in oltre trent’anni nessuno dei presidenti che si sono succeduti alla Casa Bianca è riuscito a farla ratificare dal Congresso. Per questo motivo, gli USA, i “paladini della democrazia” e dei “diritti umani” (si pensi alle guerre e alle “missioni di pace” condotte in molti paesi) restano l’unico paese delle NU a non aver mai tradotto in legge gli articoli per tutelare i diritti dei minori. Una decisione che non deve sorprendere più di tanto: basti pensare, ad esempio, che in alcuni stati sono state reinserite le pene corporali per gli alunni (in violazione dell’art. 37 della CRC)! Un dato che, insieme con molti altri (come la separazione forzata dei minori appena immigrati dai genitori che viola apertamente gli artt. 7 e 9 della CRC!), avrebbero certamente fatto finire gli USA tra le ultime posizioni di questa classifica.

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