Ci sono attori che hanno rappresentato l’essenza di un paese. I loro visi, sono entrati direttamente nell’immaginario collettivo del pubblico fino a farne vere e proprie icone. Jean Alexis Gabin Moncorgè è nato a Parigi nel 1904 e come ogni figlio del secolo breve portava con sé la certezza di un destino ineluttabile, quello del “secolo Breve”, ma anche una forza creativa in grado di indirizzare la passione verso l’arte. Lui scelse la recitazione e diventò Jean Gabin. Dotato di un fisico possente e di un’espressività propria della scuola realista Gabin riuscì a eccellere in molti generi narrativi.
L’attore parigino che più ha rappresentato la Francia per tutto il novecento esordì nel teatro di rivista per passare sullo schermo non appena la settima arte raggiunse il suo massimo splendore. Quando il cinema cominciò a reclutare attori Gabin esordì portando in dote tutta l’esperienza del varietà e unendo la sua propensione alla cultura popolare. L’ anima proletaria e il fisico possente lo resero un ottimo interprete dei ruoli drammatici cui alternava la comicità portando in scena personaggi in grado di tramettere al pubblico ogni gamma di emozioni. Dopo un inizio di carriera dove i ruoli si alternavano secondo le necessità dei registi, nacque il mito Gabin.
Nella Francia del 1935 i registi si chiamavano, tra gli altri, Jean Renoir o Julien Duvievier; fu sotto la guida di questi pionieri che Gabin apprese le tecniche che lo portarono a diventare un intoccabile. Durante l’occupazione nazista andò a lavorare a Hollywood ma le sorti del suo paese superavano il contratto che gli Studios americani avevano offerto. L’attore tornò in Europa per combattere agli ordini del generale De Gaulle. Il suo ruolo nella marina francese lo portò a combattere in Marocco e nella campagna di Germania prima di fare ritorno a Parigi .
Quest’esperienza rimase impressa nella mente dell’artista che si impegnò nella caratterizzazione psicologica dei suoi personaggi affinando maggiormente i toni drammatici. Essere stato testimone oculare di un conflitto portò Gabin a esplorare profonde desolazioni dell’animo umano e segnò in maniera indelebile il suo approccio alla recitazione che acquisì maggiore autorevolezza scenica. Sono di questi anni i film che lanciarono definitivamente il personaggio Gabin in una sorta d’innamoramento corrisposto con il pubblico. L’attore lavorava in quello straordinario limbo che prende il nome di polar (poliziesco) dove alle storie di uomini alla deriva s’intersecano i sentimenti di chi conosce la vita. Questa scelta permette all’artista di inanellare una serie di personaggi che sono diventati epici, quali il commissario Maigret e il ladro anziano in Grisbì. La forza nella recitazione di Gabin è sempre stata umanizzare individiui di ogni genere mettendo in scena il lato gentile soprattutto di “carogne” apparenti.
E’ opportuno proporre, senza imporre, alcuni titoli che hanno fatto la storia del cinema transalpino attraverso il viso di un grande attore che è stato ed è fonte d’ispirazione per addetti ai lavori e semplici amanti della setta arte.
Il bandito della casbah Julien Duviver 1937
Pepè le Moko è un criminale braccato costantemente dalla polizia che vive nella casbah di Algeri dove ha appoggi e protezioni che gli garantiscono una vita serenamente reclusa. L’arrivo di Gaby, una ragazza francese, romperà questo precario equilibrio. Pepè rischierà di uscire dalla casbah per raggiungere la sua amata a Parigi. Dopo aver ipotizzato il piano nei minimi particolari, il delinquente innamorato dovrà fare i conti con la realtà che lo porterà a una decisione irrevocabile. Uno dei film più famosi del “realismo poetico” francese Pepè le Moko si ispira ai gangster movie made in Usa come Nemico Pubblico o Scarface aggiungendo alla vicenda una dose di romanticismo. La regia è contraddistinta da movimenti di macchina di estremo spessore che si combinano con un uso massiccio del sonoro, allo scopo di esaltare il ritmo e l’empatia della vicenda. Guardandolo dopo molti anni il film è ancora un melodramma sulla sconfitta, una sorta di western moderno, dove la psicologia dei personaggi gioca un ruolo fondamentale .
Le chat, l’implacabile uomo di Saint Germain Pierre Granier Deffere 1972
Coppia di anziani vive da separati nel medesimo appartamento. I due mangiano in tavoli separati e limitano al minimo qualsiasi tipo di conversazione continuando per apparente pigrizia la convivenza. Un giorno il marito torna a casa con un gatto randagio, la donna indispettita dall’animale decide di ucciderlo. L’uomo perde la pazienza e va a vivere in una pensione per sfuggire alle angherie della sua signora.
Un film erroneamente poco considerato dove Gabin, in coppia con Simon Signoret, dimostra tutta la sua capacità riflessiva nel costruire un personaggio stanco che non riesce più a parlare con la donna di una vita. Pellicola giocata sulle pause e sulle intenzioni sopite di una coppia che si ama ancora, ma non riesce a dirselo. L’ingresso del gatto è una metafora per il bisogno d’affetto dell’uomo che scatena la gelosia della moglie. Le chat è film prettamente teatrale recitato da due artisti in grado di trasmettere emozioni anche facendo silenzio. I dialoghi sono crudi e ridotti all’osso e creano un’empatia diretta con lo spettatore attraverso parole e alcuni silenzi propri della vita. Un film meno conosciuto di quelli di Jean Gabin ma molto interessante per la sua capacità di approfondire un anziano che non ha più nulla da chiedere alla vita tranne essere benvoluto.
3 La fredda alba del commissario Joss Georges Lautner 1967
L’anziano commissario Joss indaga sull’assassinio di un suo vecchio amico portando alla luce una Parigi criminale, sommersa e senza scrupoli. Il film è un poliziesco intimista come raramente se ne trovano. Riflessivo e scorretto si sviluppa su una recitazione, quella di Gabin, in grado di bastare per travolgere lo spettatore con la sua misurata desolazione.
Il protagonista è un uomo d’altri tempi che non riesce a convivere con le trasformazioni della società e si attacca a valori in disuso come l’onore. La sceneggiatura di Micheal Audiard è da applausi a scena aperta. Dialoghi che potrebbero essere scomposti e riletti per apprezzare a pieno la loro onestà poetica.
Un quadro fintamente a tinte fosche di una Parigi in piena rivoluzione sessantottina, dove i cambiamenti sociali sono usati non sempre in maniera lecita e dove i sentimenti si moltiplicano senza saldarsi mai. La fredda alba entra direttamente in quelle pellicole nascoste che hanno fatto di Gabin il viso di un mondo passato attraverso due guerre e ultimo depositario di un sapere intuitivo.
Due contro la città Jose Giovanni 1973
Poliziotto in pensione è amico di un ex galeotto poco fortunato. Uscito dalla prigione Gino (Delon) prova a rigare dritto con l’aiuto dell’anziano Germain. Dopo aver rifiutato l’offerta di un colpo, da alcuni amici, Gino è braccato da un ispettore che lo crede colpevole. Alain Delon e Jean Gabin (due nomi che bastano da soli) in un noir che racconta la cronaca di una deriva annunciata. Trama classica che i due attori recitano in maniera eccellente grazie anche alla sceneggiatura solida e a una regia poco invadente. Un film di sentimenti (buoni e cattivi) che s’inserisce nella collezione dei personaggi irrisolti molto cari a Gabin.
Colpo grosso al casinò 1963 Henri Verneuil
Malinconico e anziano rapinatore vuole andare in pensione con un ultimo colpo. L’uomo, appena uscito dalla prigione, decide di mettersi in società con un giovane alle prime armi. Riusciranno a non farsi arrestare ma, sottratti i soldi, arriveranno gli imprevisti. Primo film recitato da Delon in coppia con il “maestro” Jean Gabin è un prodotto perfetto. Precorre i tempi nel ritmo (la preparazione chirurgica del colpo) e supera l’oggi con una sceneggiatura così bella da non poter essere descritta. Il regista lascia carta bianca ai due attori che recitano in maniera contenuta ed esplosiva allo stesso tempo. Michel Audiard, lo sceneggiatore, incanta con le parole.