Il fascino e la forza della classicità nella vita e nell’opera di Ugo Foscolo

Articolo di Pietro Salvatore Reina

Il 10 settembre 1827 Ugo Foscolo (nato col nome di Niccolò, solo nel 1795 preferirà quello di Ugo) muore amorevolmente assistito solo dalla figlia Floriana, dopo avere dovuto abbandonare Londra per il misero sobborgo di Thurman Green e viene sepolto in un cimitero di periferia. Solo molti anni dopo, nel 1871, i suoi resti saranno trasportati nella città di Firenze, al termine di una vera e propria campagna popolare di riabilitazione. Le sue spoglie nel sepolcro della chiesa di Santa Croce (celebrata dallo stesso poeta nel carme Dei sepolcri, vv. 180-181: […] in un tempio accolte / serbi l’itale glorie») riposano, non «all’ombra dei cipressi», ma dentro un’urna sormontata da una statua di marmo bianco che lo ritrae bello, elegante e inquieto nel pieno degli anni e degli impeti.

Rispetto agli altri letterati italiani Foscolo ha un’origine davvero eccezionale: figlio del medico veneziano Andrea e di una donna greca, Diamantina Spatis nasce a Zante il 6 febbraio 1778: «Né più mai toccherò le sacre sponde / Ove il mio corpo fanciulletto giacque, / zacinto mia ….»

Sul e nel grande modello di Vittorio Alfieri Foscolo legge e colloca l’assoluta identità tra letteratura e vita. La poesia di Ugo Foscolo insegna e osserva il professore e critico letterario Giulio Ferroni «nasce e si svolge sotto il segno della Rivoluzione francese […] la poesia vive la rottura e la disintegrazione degli antichi sistemi di valori. Nella poesia soffia un nuovo anelito verso una libertà priva di confini e vede questa nuova libertà trascinata subito da una crisi, che sembra lasciare gli uomini alla deriva, nudi di fronte alla violenza della natura della storia. La poesia trova nel mondo classico, nello splendore delle sue forme, nella luminosa nitidezza dei suoi miti, nella sua tragica coscienza dei limiti e del valore dell’uomo, nella sua civiltà armoniosa e virile (espressa dal culto della bellezza, della patria, degli affetti familiari) il modello di una sdegnosa opposizione alla confusa disgregazione del presente. I valori recuperati in questo modo per Foscolo sono «illusioni» che danno un senso alla vita individuale e sociale […] e la suprema illusione è data proprio dall’arte e dalla poesia che trasformano le «illusioni» soggettive in forza civile e collettiva.

«La poesia di Foscolo – conclude con acume Ferroni – si trova a compiere una vera «archeologia» del passato classico, è il tentativo di una ricostruzione che resta incompiuta. La grandezza della poesia di Foscolo sta proprio nell’essere incompiuta, frantumata, aperta».

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