“Che Napoli sia ridotta in cenere e fango”, disse Hitler prima che le truppe tedesche lasciassero la città. Con l’armistizio dell’8 settembre, i tedeschi dichiararono lo stato d’assedio in città; sgomberarono tutte le case sulla costa; catturarono molti uomini dai 18 ai 33 anni destinati ai campi di lavoro tedeschi; saccheggiarono molti negozi, esasperarono i partenopei, ma non si fecero bene i conti, infatti i napoletani non stettero a guardare e non si intimorirono quando il colonnello Hans Scholl dichiarò: “Per ogni tedesco morto saranno uccisi cento napoletani”.
Donne e uomini, anziani, scugnizzi, femminielli, ignoranti e professori, studenti, delinquenti e uomini giusti, attori, vigli del fuoco, operai, la popolazione tutta insorse contro il nemico, gridando a voce alta una sola parola: “Libertà”.
1589 combattenti, alcune centinaia di morti e feriti – tra mutilati e invalidi permanenti – eppure a tutt’oggi i numeri, che caratterizzano le Quattro giornate di Napoli, sono ancora imprecisi; gli schieramenti furono due: da un lato la popolazione; dall’altro l’esercito tedesco; la causa scatenante fu, senza dubbio, l’occupazione nazi-fascista.
Siamo durante la Seconda guerra mondiale e, a Napoli, la popolazione insorge contro le forze armate tedesche e fasciste. Tutto ebbe inizio il 27 settembre – prima giornata – quando i tedeschi ebbero già catturato migliaia di uomini; la risposta dei napoletani non tardò a venire, infatti all’incirca 500 uomini armati, schierati al Vomero, aprirono i combattimenti: venne ucciso un ufficiale tedesco, mentre iniziarono le battaglie in altre zone. I napoletani riuscirono a sottrarre, ai tedeschi, Castel Sant’Elmo, dove ci fu un grande spargimento di sangue e, nelle caserme di via Foria e di via Carbonara, riuscirono ad impadronirsi dei depositi d’armi dei “barbari”.
Il 28 settembre – seconda giornata – nella zona di Materdei i napoletani combattenti crebbero di numero e riuscirono a tenere sotto assedio una pattuglia tedesca per molte ore, pagando con 3 vite. Alcuni soldati tedeschi vennero uccisi e altri catturati in diverse zone: Porta Capuana; Maschio Angioino; Vasto; Monteoliveto. Enzo Stimolo, valoroso militare e partigiano napoletano, a capo di più di 200 uomini, riuscì a liberare molti prigionieri in zona Vomero: “’O vintotto ‘e settembre d’ ‘o quarantatrè se tignettero ‘e russo e giesummine for’ ‘e balcune ‘e Materdei… Ma quà chitarre e manduline,… p’ ‘o Vommero e Pusilleco p’ ‘e Funtanelle e ‘o Ponte ‘a Sanità l’accumpagnamento ‘o faceva ‘a mitraglia e ‘o scugnizzo…strillava, curreva, sparava e mureva… ‘O popolo napulitano cumbatteva pe’ cancellà cient’anne ‘e lazzarune e lazzarunate, francischiello e francischellate, vermicielle, tarantelle, Pulicenella e Culumbina festa forca e farina e tutte sti cazzate che ll’avevano nguaiato”, recita una poesia dal titolo “Napule nun t’ ‘o scurdà!”.
Nella terza giornata – 29 settembre – si elevarono al cielo le voci delle donne, come quella di Maddalena Cerasuolo, ammirevole patriota e antifascista che, insieme ai femminielli napoletani, ai preti, agli scugnizzi – come Gennaro Capuozzo, di soli 11 anni, del centro storico. Bello come il sole; vispo; intelligente e sveglio: “Mammà, nun te preoccupà. Ormai so’ grande… Nun mi aspettà, tornerò quann Napl sarà libera”, diceva a sua madre Concetta – agli studenti e ai professori; agli operai, ai medici e ai vigili del fuoco, combatterono contro i soldati tedeschi, in qualche caso, anche a mani nude, usando pietre e calcinacci – offerti dalle rovine dei palazzi che la guerra buttava giù – a mo’ di arma da lancio. I napoletani insorsero in ogni luogo della città: quartiere San Giovanni; Avvocata; Capodimonte; Chiaia; Duomo; Poggioreale; Corso Garibaldi; Piazza Mazzini; Montecalvario; Museo; Posillipo; Vasto; via Caracciolo; Ponticelli; Capodichino; Piedigrotta e Fuorigrotta; Piazza Carlo III; Mugnano; quartiere Sanità; piazza Bovio e Corso Vittorio Emanuele. Negli scontri morirono molti partenopei, tuttavia qualcosa di straordinario accadde, una cosa che non era mai accaduta prima di allora, che vede Enzo Stimolo e il colonnello Scholl i protagonisti di una trattativa: il colonnello chiese di uscire dalla città senza problemi in cambio della liberazione di prigionieri napoletani. La trattativa tra i tedeschi e il popolo insorto ebbe luogo. Fu la prima volta nella storia che i tedeschi facevano un patto con una miriade di insorti.
Nell’ultima giornata – 30 settembre – i tedeschi, posti a Capodimonte, bombardarono la zona tra Porta Capuana; Port’Alba e Materdei, mentre gli alleati sbarcavano a Nocera Inferiore. I tedeschi iniziarono a lasciare Napoli, incendiando tutto quello che era sulla loro traiettoria: si perdono per sempre, in queste ore, tutte le pergamene originali della Cancelleria Angioina, data in pasto alle fiamme. I nemici furono cacciati dai napoletani. Difatti, quando il primo ottobre arrivarono in città gli alleati – alle ore 9:30 del mattino – tutto il popolo li accolse con il sorriso poiché il nemico era già andato via. I festeggiamenti potevano iniziare: Napoli è la prima città del mondo che si è liberata da sola dai nazisti. Da sola, senza esercito, usando anche strane armi da guerra: materassi, vasche da bagno, mobili; insomma andava bene qualsiasi cosa per cacciare via l’acerrimo nemico: “Jatevenne, fetiente, carugnune, jatevenne”. Bisogna dire, però, che le armi più potenti, che la popolazione napoletana usò, furono tutt’altre: la non-collaborazione, il boicottaggio, il sabotaggio, il rifiuto della militarizzazione della vita civile e la creazione di organismi paralleli si rivelarono infatti necessarie alla liberazione.
Mi sembra giusto, a questo punto, celebrare i comandanti delle zone della città che insorsero contro il nemico: Antonio Tarsia in Curia e Giovanni Abbate; Ermete Bonomi; Carmine Musella; Carlo Bianco e Aurelio Spoto; Stefano Fadda; Francesco Cibarelli, Amedeo Manzo e Francesco Bilardo; Gennaro Zengo; Francesco Amicarelli, Mario Orbitello; Salvatore Amato; Alberto Agresti; Raffaele Viglione; Tito Murolo. Oggi le pietre del centro storico di Napoli conservano ancora la voce di quel Gennaro Capuozzo, di soli 11 anni, bello come il sole, vispo, intelligente e sveglio che, armatosi di bombe, gridava insieme ad altri scugnizzi: “Adesso vi facciamo vedere noi chi sono i napoletani”. Purtroppo Gennarino venne colpito da una granata e morì, ma il suo sacrificio, che poi è il sacrificio di un eroe, diede molto buon frutto! A Napoli – e alla mamma di Gennarino – fu data la medaglia d’oro al valore militare.
“Ma il Ventotto dello stesso mese il popolo insorse contro il massacro e il sopruso e c’ero anch’io… ragazza piena di amor di patria… Trovai una mitraglietta e sparai… contro le camionette”, disse più tardi la medaglia d’oro al valore militare, Maddalena Cerasuolo, donna innamorata della sua gente, della sua città, della libertà, della vita. Dopo questa maledetta “Guerra Totale” diede al mondo quattro figli, ai quali trasmise l’amore per la patria. Morirà alla fine del secolo, nel 1999, in quella sua Napoli che difese con i pugni e con i denti e a Napoli riposa eternamente soddisfatta. Oggi il Ponte della Sanità – che anch’ella difese quando i tedeschi volevano farlo saltare in aria perché venisse meno una via d’accesso – a lei è dedicato: “Ponte Maddalena Cerasuolo. Partigiana. 1920/1999. Già detto Ponte della Sanità”. Con quanta dignità questo popolo, con quanta dignità questa Italia!
Chapeau!