Omaggio a Pier Paolo Pasolini quarantasei anni dopo

Articolo di Pietro Salvatore Reina

Nella notte tra il 1° e il 2 novembre 1975 Pier Paolo Pasolini viene massacrato ed ucciso all’idroscalo di Ostia. Il giornalista ed inviato speciale de Il Corriere della Sera, Ulderico Munzi, racconta sulle pagine del quotidiano di via Solferino che: «Lo scrittore è stato massacrato a colpi di bastone […] a circa duecento metri dal mare. La prima a scorgere il cadavere è la signora Maria Teresa Lollobrigida. Ma non capisce subito. È scesa per scaricare i pacchi dalla macchina del marito. Sono le 6.30 e la luce è incerta» (cfr. U. Munzi, «Pasolini assassinato a Ostia», Il Corriere della Sera, 3 novembre 1975).

Pasolini è una figura eccezionale per come ha vissuto la sua l’esistenza umana e intellettuale; una figura centrale e unica nella Letteratura: la Cultura per PPP ««è in ogni momento presenza nel mondo, intervento nell’attualità» (G. Ferroni). La sua passione intellettuale – a cui lega il senso del dovere e dell’impegno pubblico – non resta «chiusa» nella Letteratura ma impregna anche altre arti come, ad esempio, il Cinema. Ma soprattutto, come ricorda(va) Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini è stato l’unico poeta civile italiano nato dopo Ugo Foscolo (1778-1827), uno dei più grandi del Novecento.

Il mito di Pasolini rimane vivo. In effetti «in Pasolini si tende a vedere un eroe della libertà contro tutte le forme della repressione sociale, un testimone della resistenza morale e intellettuale contro la riduzione del mondo al mercato, magari anche un martire della diversità tanto sessuale quanto artistica, e persino una specie di santo laico (ma non poi troppo)» (E. Gioanola). Pasolini rimane un personaggio eccezionale che ha dato il meglio di sé in ogni campo della cultura (poesia, narrativa, saggistica, cinema) che ha saputo e voluto esplorare e attraversare con «passione personale e responsabilità sociale» (G. Ferroni).

Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna il 5 marzo 1922 da Carlo Alberto Pasolini, un ufficiale di fanteria e da Susanna Colussi, una maestra elementare di Casarsa della Delizia (Pordenone). Nel primissimo periodo friulano – ricorda lo stesso Pasolini – è «cattolico, un cattolicesimo intimamente legato al mondo rurale in cui si trova immerso e che non porterà nel mondo urbano e borghese dove vivrà in seguito». Si laurea a Bologna in Lettere con una Tesi (Antologia della poesia pascoliana), chiesta al professore di Letteratura italiana Carlo Calcaterra, su Giovanni Pascoli. Pasolini è profondamente legato a Giovanni Pascoli, quasi da una «fraternità umana».

Il forte legame con la madre («È difficile dire con parole di figlio / ciò a cui nel cuore poco assomiglio. Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, / ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore», Supplica a mia madre in Poesia in forma di rosa, 1964) e gli studi di Filologia romanza lo spinsero a cercare nel dialetto materno un mezzo col quale esprimere il suo delicato e fantastico mondo poetico: nacquero così le Poesie a Casarsa (1942), poi raccolte e ri-aggiornate in La meglio gioventù (1954). Poesie a Casarsa, fu recensito da Gianfranco Contini.

Nel 1947 si iscrive al PCI; nel frattempo diventa insegnante in una scuola media di Valvasone, un piccolo paese vicino Casarsa, e collabora con numerose riviste locali. Ma nel 1949, in seguito a una denuncia per corruzione di minori e atti osceni, fu sospeso dall’insegnamento ed espulso dal PCI «per indegnità morale e politica». Il poeta fu costretto a lasciare Casarsa e a fuggire con la madre a Roma.

A Roma, dapprima Pasolini e la madre, vissero a Piazza Costaguti, vicino al Portico d’Ottavia (il «ghetto») poi si trasferirono in una casa, in via del Tagliere 3, senza tetto vicino alla prigione di Rebibbia. Tra queste mura e sotto questo cielo romano prendono «vita» i personaggi come Riccetto, Marcello, Caciotta che vivono in Ragazzi di vita, «uno dei migliori libri di prosa narrativa apparsi in Italia» scrive il poeta Giuseppe Ungaretti (1888-1970). È, ancora in questa casa, che comincia a lavorare alla sua prima vera e propria opera poetica: le Ceneri di Gramsci e Poesia in forma di prosa.

Per due anni Pier Paolo Pasolini è, dapprima, un disoccupato disperato che, però, poi trova da insegnare in una scuola privata a Ciampino. Negli anni Cinquanta lavora indefessamente alla stesura delle sue opere in versi e in prosa ed anche con un gruppo di amici fonda la rivista di poesia «Officina», che fu pubblicata dal 1955 al 1959.

Nel 1960 comincia, invece, con il film Accattone la sua esperienza cinematografica. Un’attività a cui lavora con maestria e saggezza fino alla morte e che lo porta alla produzione di venti pellicole tra film e documentari (ad es. Mamma Roma nel 1962, Vangelo secondo Matteo nel 1964, Comizi d’amore nel 1965, Uccellacci e uccellini nel 1966, Edipo re nel 1967, Teorema nel 1968 ecc.). Andrea Zanzotto, nel suo studio Pasolini nel nostro tempo, afferma che il cinema fu per Pasolini uno «sviluppo del suo modo di impostare la parola, la verbalizzazione».

Agli inizi degli anni Sessanta Pier Paolo Pasolini era ormai considerato uno scrittore, un saggista (Passione e ideologia, 1960), un artista di successo. Ma soprattutto un intellettuale che scorgeva una completa «omologazione» della vita sociale: il crollo degli antichi valori autoritari diffondeva i nuovi valori di un edonismo spicciolo, egoistico, tendenzialmente scriminale (G. Ferroni). Tra i maggiori responsabili di questo degrado della società Pier Paolo Pasolini indicava la televisione e la scuola di massa, il Sessantotto ed il suo antiautoritarismo. Ma soprattutto denunciava la classe politica, il Potere, il Palazzo, con i suoi articoli tentava di dare vita a un processo alla classe dirigente italiana corrotta ed incapace che «lasciava marcire un Paese». Per Pasolini l’incipiente diffusione del consumismo – conseguenza del boom economico – causa una mutazione antropologica nell’identità degli italiani, una mutazione che omologa la massa. Un’omologazione che muta i costumi, gli usi le pratiche di vita degli Italiani. Una metamorfosi che sfocia e permea anche il linguaggio.

Soprattutto negli anni Sessanta Pasolini non piace alla «Destra» e al «Potere», ma non è neppure amato (salvo eccezioni) dalla «Sinistra». Di PPP non si accettano la dichiarata omosessualità, l’adesione al marxismo e l’anticonformismo. Ma non solo. Fino alla mattina prima d’essere ammazzato Pasolini scrive e annota «cose», fatti, nomi che nessuno a parte lui ha il coraggio di mettere nero su bianco, di scrivere. Ad esempio, chiede di processare la Democrazia Cristiana, parla delle ingerenze della Cia nella politica italiana, ecc.

L’atroce e terribile morte di Pasolini rimane uno dei «misteri» della nostra storia repubblicana ma soprattutto la sua morte – osserva con acume Giulio Ferroni – rimane nella coscienza comune come un «atto sacrificale» che dà vita al mito di Pasolini. La sua tragica morte – aggiunge il critico – fa di Pier Paolo Pasolini il «martire di un equilibrio per sempre perduto dalla nostra società».

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