“Squid Game” non è la prima produzione a portare alla ribalta sullo schermo – grande o piccolo che sia- il tema del sociale. Sono sempre di più, infatti, le pellicole che abbracciano il tema delle fatiche socio-economiche che la classe povera deve affrontare nella vita quotidiana. Tutto è iniziato nel 2019, con l’uscita in sala dei pluripremiati “Joker” e “Parasite”. Il primo, diretto da Todd Phillips, con protagonista il poliedrico attore Joaquin Phoenix, esplora un antagonista di Batman diverso dalle precedenti controparti interpretate da Heath Ledger e Jack Nicholson; un Joker dal volto più “umano”, verso il quale lo spettatore può empatizzare. Un eroe antieroe che senz’altro affascina – come i suoi predecessori- ma che ha delle fallibilità umane – e non una crudeltà bestiale e disumana-, che lo portano a fare i conti ( dapprima come vittima, poi come carnefice) della società dentro cui è immerso. La trama ruota attorno alla vita di Arthur Fleck, giovane alienato che soffre di depressione e sindrome pseudobulbare, che gli impedisce di controllare la mimica facciale durante i momenti di forte tensione. Questa è, a tutti gli effetti, una patologia invalidante che condiziona la sua vita in negativo. Il giovane, per guadagnare qualche soldo, lavora come Clown, in un locale dovebviene costantemente deriso dai suoi stessi colleghi e ha una vita sociale compromessa, quasi assente. È proprio il sociale il vero protagonista del film: in due ore lo spettatore assiste ad una trasformazione lenta ma graduale che portano Arthur alla follia, trasformandolo nel “Joker” per eccellenza. Dopo un iniziale pestaggio, ad Arthur viene consegnata da parte di un collega, per autodifesa, una pistola, che gli cadrà dalla tasca durante uno spettacolo all’ospedale davanti a dei bambini.
L’episodio gli costa il posto di lavoro e, quella stessa notte, viene brutalmente aggredito da tre giovani borghesi e si difende uccidendoli. Questo episodio segna l’innesco che lo porterà alla follia: ed emblematica è la scena della lenta danza nel bagno pubblico, dove il protagonista sembra, in qualche maniera non ordinaria, ritrovare se stesso. E, non solo lui, ma anche la parte povera della società, vessata dagli stessi borghesi che hanno picchiato Arthur, sembra risvegliarsi e dare inizio a dei disordini interni che rasentano la follia, ma anche la stanchezza di coloro che vengono costantemente schiacciati sotto il peso del denaro – sporco-. Un altro film che si è fortemente impegnato nel tema sociale, è il pluripremiato agli Oscar, sudcoreano Parasite. Diretto da Bong Joon-ho, Parasite affronta il tema della lotta alla sopravvivenza della classe povera, che combatte ogni giorno non solo per emerge, ma anche per riuscire a sfamarsi. E il film lo fa in maniera esplicita, dimostrando le forti differenze che intercorrono tra la classe sociale povera, rappresentata dalla famiglia protagonista del film, i Kim, e la famiglia ricca proveniente da una classe di dirigenti, i Park, la “nemesi”. La prima – palese- disuguaglianza che emerge, è il modo di vivere delle due famiglie: se la prima sopravvive a malapena dentro un seminterrato infestato dagli scarafaggi, e ha problemi ad arrivare a fine mese; la seconda vive in una lussuosa villa che possiede tutti gli agi della moderna tecnologia.
La ruota della fortuna sembra girare in favore della famiglia Kim, quando il fratello maggiore viene assunto come insegnante di inglese per la figlia maggiore della famiglia Park. Il ragazzo, a sua volta, riuscirà tramite stratagemmi a fare assumere anche gli altri suoi familiari. Ed è allora che salterà all’occhio un’altra divergenza lampante: la prima famiglia, benché povera, ha una capacità di adattamento unica, sa come affrontare le difficoltà con l’uso della furbizia, ed è resiliente. E, a dimostrarlo, è stata proprio dalla figlia di mezzo dei Kim che, leggendo articoli su internet riguardo all’arteterapia, riesce a fare calmare il figlio minore della famiglia Park, iniziando a lavorare da loro in maniera brillante. La prima parte del film sembra dare un futuro luminoso e meritocratico alla famiglia Kim, ma subito dopo un interludio dove vengono poste domande fondamentali del tipo: “chi è il vero parassita? La famiglia Kim, che tramite stratagemmi ed inganni, è riuscita a farsi assumera dalla famiglia Park o la famiglia Park che non è capace di fare semplici cose da soli? O lo sono semplicemente entrambi, ma in modo diverso?”. Un riferimento, quindi, alla dialettica hegeliana del servo-padrone. Nella seconda parte del film, le cose andranno male, i trucchi e le furbizie di ritorceranno contro gli stessi Kim, fino ad arrivare al finale, che rappresenta il culmine in cui il padre della famiglia Kim pugnalerà il padre della famiglia Park, poiché più interessato a proteggere se stesso che non la figlia Ki-jung, dall’attacco di un pazzoide. E la morte di Ki-jung, è una metafora: rappresenta la morte della meritocrazia. Dall’uscita in sala di Parasite, tantissime persone sulla soglia della povertà si sono rivisti nei protagonisti, tanto che il film ha scatenato delle proteste pacifiche a lieto fine: il governo sudcoreano ha, infatti, stanziato dei fondi per aiutare chi vive nei seminterrati, così da migliorare il benessere dei meno agiati. Ed ultima, ma non per importanza: Squid Game, la serie TV Netflix più vista al mondo.
Uscita in streaming nel settembre 2021, nel giro di 17 giorni sono stati “solo” 142 milioni gli utenti a guardarla. È un vero e proprio fenomeno culturale quello che l’accompagna. La serie parla al pubblico su quello che è un problema molto serio in Corea del sud: i debiti. Com’è risaputo, i debiti sono la fonte di “schiavitù” moderna, e nel paese di origine della produzione, vengono presi talmente sul serio che i debitori sono impegnati nel donare i propri organi, qualora non riuscissero a restituire in tempo la somma di denaro chiesa in prestito. La trama, come si evince dal titolo, ruota attorno ad un gioco a cui coloro che hanno bisogno di un ingente somma di denaro, in extremis, partecipano. Si tratta dello Squid Game, un gioco ad eliminazione che consiste in sei prove pericolose. E l’eliminazione, per i 455 partecipanti, nel gioco, vuol dire morte. Il protagonista, Seong Gi-hun, è un uomo sudcoreano divorziato e pieno di debiti, e partecipa al gioco proprio per “riscattarsi”. E, non solo lui, ma anche tutti gli altri partecipanti hanno debiti simili ai suoi; e le prove faranno appello non solo alle loro capacità fisiche, ma anche psicologiche. Inoltre è possibile notare, nell’arco della serie, un richiamo alla “legge del contrappasso” dantesca. Proprio come per “Parasite”, la produzione è servita ai lavoratori sudcoreani frustati per scendere in piazza a Seoul – e non solo- per protestare per delle migliori condizioni di lavoro.