La donna del fiume è il primo lavoro nel mondo del cinema che porta la firma di Pier Paolo Pasolini, da poco approdato a Roma, come sceneggiatore e collaboratore ai dialoghi, su invito di Giorgio Bassani, che insieme a Mario Soldati e Florestano Vancini stava scrivendo la sceneggiatura, basata su un soggetto di Alberto Moravia ed Ennio Flaiano. Non so se mi spiego, mezzo panorama letterario italiano del secondo Novecento, mica Luca Bianchini e Chiara Gamberale. Protagonista del film – prodotto da Ponti e De Laurentiis, in collaborazione con la Francia – una giovanissima e affascinante Sophia Loren, già molto brava, ben calata in una parte che ricorda la Silvana Mangano di Riso amaro. La donna del fiume si inserisce nel filone del melodramma, permeato di neorealismo, in questo caso non rosa ma d’appendice, cinema strappalacrime d’autore, con un Soldati in gran forma dietro la macchina da presa, che riprende il lavoro degli operai nelle paludi malsane di Comacchio, tra fabbriche che lavorano il pesce e taglio delle canne sul delta del Po. Sophia Loren è la bella Nives, contesa tra Gino Lodi (Battaglia) – un poco di buono che fa il contrabbandiere -, ed Enzo Cinti (Oury) – una guardia di finanza innamorata -, ma è il primo a conquistare il suo cuore, anche se abbandona la donna dopo averla messa incinta. Il melodramma si fa intenso quando Gino viene arrestato, subito dopo fugge di galera, mentre Nivers è costretta a tagliare canne sul fiume e il figlio muore in un incidente, cadendo nelle acque, trascinato dalla corrente. Il finale, imprevedibile, molto pasoliniano, vede il malfattore ravvedersi, partecipare al funerale di quel figlio perduto e sconosciuto, sostenendo la madre sconvolta dal dolore. I carabinieri mostrano un volto umano e consentono al delinquente di partecipare alla cerimonia prima di riportarlo in galera. La donna del fiume gode di un’ottima ambientazione tra le paludi di Comacchio, riproduce in maniera perfetta gli ambienti di lavoro malsani ed è un documento d’epoca più importante di tanti libri di storia. Girato in quattro colori (Eastmancolor), con una fotografia color pastello, spesso non realistica, è cinema neorealista corretto al melodramma sentimentale che si caratterizza per un andamento intenso, con molta suspense soprattutto nella parte finale. Ottima la colonna sonora strumentale di Lavagnino, corretta al pop dal maestro Trovajoli che inserisce alcuni pezzi di mambo, apprezzati anche in alcune coreografie d’epoca durante un’improvvisata festa da ballo. Sophia Loren è molto giovane, ma dimostra una bravura straordinaria sia nella parte sentimentale (con sporadiche concessioni al sexy), che in quella melodrammatica, prima da donna coraggio capace di crescere da sola un figlio, poi da donna disperata che deve piangerlo e seppellirlo. Il film mostra tutti i limiti tecnici del tempo con alcune parti a bordo di una moto girate in studio con riprese a mezzo busto, ma riesce a ricordare anche i miti degli anni Cinquanta: fare 13 alla Sisal e sistemarsi, comprare una casa, sposarsi, vivere con la propria famiglia un’esistenza serena. Ricostruzione eccellente delle case povere sul fiume dove vivono gli operai e si recano a lavoro in bicicletta, con turni massacranti, così come la macchina da presa inquadra le case cadenti di Comacchio che recano ancora i segni del conflitto mondiale. Si parla di contrabbando, al tempo uno dei reati più comuni, gli autori stigmatizzano la situazione femminile negli anni Cinquanta, con una donna costretta ad abbandonare il paese per la vergogna di essere una ragazza madre. Il personaggio interpretato da Sophia Loren è molto moderno, persino anticonformista, ritrae una donna che non vuole sottomettersi a regole che non condivide, che sceglie la strada più difficile e si assume tutte le sue responsabilità. La coproduzione francese impone due attori come Lisa Bourdin – Tosca, l’amica di Nives – e Gerard Oury (in seguito regista e sceneggiatore interessante), nei panni del finanziere che vorrebbe sposare Nives e che cerca di proteggerla. Mario Soldati riprende con dovizia di particolari tutta la durezza di un lavoro condotto nelle zone umide del delta del Po, inquadrando la Loren vestita con stivaloni e pantaloncini, proprio come le mondine di Riso amaro. Un’altra nota interessante sono i bambini, lasciati da soli a giocare mentre i grandi lavorano, affidati alla custodia della ragazzina appena un poco più grande. Vediamo un tragico nascondino (gioco di gran moda), detonatore del dramma, quando Tonin, il piccolo figlio di Nives, cade nel fiume e muore. La parte melodrammatica è girata con grande esperienza del cinema di tensione, mentre il colpo di scena finale rispecchia le idee di Pasolini sul dolore come momento redenzione e sulla naturale bontà dei poveri. Fa sorridere rileggere oggi quanto scriveva Paolo Mereghetti: “un mediocre melodramma pensato da Ponti per costruire il successo della Loren”. Certa critica ha fatto (e continua a fare) più danni di tanto mediocre cinema italiano contemporaneo. Va da sé che La donna del fiume è un piccolo gioiello di melodramma sentimentale, cinema di genere con ambizioni d’autore che oggi abbiamo abbandonato.
Regia: Mario Soldati. Soggetto: Ennio Flaiano, Alberto Moravia. Sceneggiatura: Basilio Franchina, Giorgio Bassani, Pier Paolo Pasolini, Florestano Vancini, Antonio Altoviti, Mario Soldati. Dialoghi: Giorgio Bassani, Pier Paolo Pasolini. Fotografia: Otello Martelli (Eastmancolor/Technicolor). Operatore alla Macchina: Roberto Gerardi. Montaggio: Leo Catozzo. Assistente alla Regia: Florestano Vancini. Costumi: Anna Gobbi. Coreografie: Leo Coleman. Scenografia: Flavio Mogherini. Direttore di Produzione: Giorgio Adriani. Produttore Esecutivo: Basilio Franchina. Organizzazione Generale: Antonio Altoviti. Musiche: Angelo Francesco Lavagnino, Armando Trovajoli. Produttori: Carlo Ponti, Dino De Larentiis. Case di Produzione: Excelsa – Les Films du Centaure. Distribuzione (Italia): Minerva Film. Genere: Melodramma. Durata: 105’. Interpreti: Sophia Loren (Nives Mangolini), Gerard Oury (Enzo Cinti), Lise Bourdin (Tosca), Enrico Olivieri (Oscar), Maria Conventi, Ed Fleming, Franco Pelegatti, Nino Marchetti (maresciallo), Rick Battaglia (Gino Lodi), Mimmo Palmara.