Ma che colpa abbiamo noi è uno dei film più interessanti girati da Verdone negli anni Duemila, anche perché alla scrittura c’è ancora quel Piero De Bernardi (purtroppo privo di Leonardo Benvenuti, scomparso nel 2000), mentore della commedia all’italiana e abile narratore per immagini. Il titolo richiama alla memoria la canzone dei Rokes del 1966, una sorta di inno alla diversità dei figli rispetto ai padri, un invito alla contestazione e alla ribellione, ma il soggetto non ha niente a che vedere con quel contesto culturale. Verdone punta il dito sui danni provocati dalla situazione in cui una persona si trova a vivere, imbastendo un film psicanalitico, con veri e propri casi clinici che contribuiscono alla creazione dei personaggi. Commedia corale in senso pieno, basata sulla vita di otto persone che, rimaste prive della loro psicanalista (muore per infarto durante una seduta e nessuno se ne rende conto), decidono di autogestire le riunioni di gruppo nelle rispettive case, ma l’esperimento non funziona.
Carlo Verdone è Gegè, uomo dal carattere debole, succube di un padre direttore d’azienda che non lo stima per niente, separato dalla moglie con un figlio (che vede poco) e una giovane amante spagnola (Raquel Sueiro) che sopporta i suoi sbalzi d’umore. Margherita Buy è Flavia, che compra scarpe in continuazione e manda avanti una relazione senza speranza con un uomo sposato (Rodolfo Cosato). Anita Caprioli è Chiara, studentessa anoressica e bulimica, che ha lasciato il professore con cui aveva una storia e si è innamorata di un misterioso frequentatore di una chat che scrive mail appassionate. Antonio Catania è Ernesto, che la moglie ha buttato fuori di casa dopo un tradimento e riesce a dormire soltanto facendo lunghi viaggi in treno. Lucia Sardo è Gabriella, che cerca ragazzi giovani (anche a pagamento) nei locali che frequenta per avere rapporti che scaccino la paura di invecchiare. Stefano Pesce è Marco, che frequenta il gruppo solo perché innamorato di Chiara, ma si nasconde dietro problemi interpersonali. Massimiliano Amato è un intellettuale omosessuale che riesce a intrattenere rapporti solo con uomini sposati. Luciano Gubinelli è Alfredo, violoncellista obeso che esce dal gruppo e dopo alcuni mesi si suicida, contribuendo a riunire i personaggi che si erano separati. Tutti daranno una svolta decisiva alla loro vita, persino Gegé che riuscirà a mandare il padre a quel paese proprio nella fabbrica. Inutile raccontare la storia nei minimi particolari, anche per non togliere allo spettatore la curiosità di seguire una sceneggiatura ben congegnata, scritta con mestiere e senza punti morti. Non è facile gestire un film con otto personaggi, ma Verdone ci riesce molto bene e consegna alla storia della commedia italiana uno dei suoi ultimi lavori riusciti senza troppe riserve. Da vedere.
Paese di Produzione: Italia, 2003. Durata: 120’. Genere: Commedia. Regia: Carlo Verdone. Soggetto e Sceneggiatura: Piero De Bernardi, Pasquale Plastino, Carlo Verdone, Fiamma Satta. Fotografia: Danilo Desideri. Montaggio: Claudio Di Mauro. Effetti Speciali: Claudio Napoli. Musiche: Lele Marchitelli. Scenografia: Maurizio Marchitelli. Casa di Produzione: Virginia. Distribuzione: Warner Bros Italia. Interpreti: Carlo Verdone (Gegè Tinacci), Margherita Buy (Flavia), Anita Caprioli (Chiara), Antonio Catania (Ernesto), Lucia Sardo (Gabriella), Stefano Pesce (Marco), Massimiliano Amato (Luca), Luciano Gubinelli (Alfredo), Sergio Graziani (Camillo Tinacci, padre di Gegè), Raquel Sueiro (Daria, fidanzata di Gegè), Remo Remotti (maggiordomo), Fabio Traversa (uomo che interrompe il funerale), Barbara Matera (Danka), Rodolfo Corsato (Aldo), Lorenzo Balducci (Manuel), Roberto Accornero (Massimo), Corrado Olmi (parroco), Albano Bufalini (portiere residence).