Il 6 gennaio, nel calendario gregoriano, si celebra la grande solennità dell’Epifania (dal greco ἐπιϕανής «visibile» che deriva da ἐπιϕαίνομαι «apparire»]. È la grande solennità della manifestazione del Signore; l’adorazione dei Magi è narrata solo nel Vangelo secondo Matteo: «nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco alcuni Magi vennero da Oriente a Gerusalemme […] abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo […] entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro incenso e mirra» (Mt 2, 1-11). Il Vangelo secondo Matteo secondo la maggioranza degli studiosi va datato tra il 70 e la fine del I secolo. È il primo dei quattro Vangeli, detti «canonici» perché inseriti dalle Chiese cristiane nel «canone» delle scritture. Il «canone» è l’elenco dei testi approvati dalle Chiese cristiane, che si formò alla fine del II sec., come effettiva espressione della parola di Dio. I Vangeli – docet lo storico Andrea Giardina – sono scritti religiosi, e non documenti storici in senso stretto: il loro fine era quello di edificare il popolo cristiano raccontando la vicenda terrena di Gesù Cristo, il figlio di Dio.
Nel brevissimo brano evangelico dell’adorazione dei Magi sopra riportato l’evangelista Matteo non ci dice che i Magi sono «re» e non ci fornisce alcun «nome», alcun «numero». L’origine tradizionale del numero «tre» sta nel fatto che il testo dell’evangelista parla di «tre» doni (oro, incenso e mirra): è stato facile – osserva il Professore Emerito di Storia Medievale Franco Cardini (I Re Magi. Leggenda cristiana e mito pagano tra Oriente e Occidente, Marsilio, 2016) – scivolare dal dono al donatore. Il termine evangelico «oriente» ha una designazione molto generica: si può pensare alla Persia, a Babilonia o alla rabbia del Sud. Il Regno di Erode (37- 4 a.C.) comprendeva la Giudea, l’Idumea, la Samaria, la Galilea, la Perea e altre regioni dell’Auranitide.
A parte il Vangelo secondo Matteo dei Magi ce ne parlano abbondantemente i Vangeli definiti «apocrifi» tra i quali il Vangelo arabo-siriaco, il Vangelo armeno dell’infanzia (testi redatti dal V secolo in poi) e il Protovangelo di Giacomo scritto però pochi decenni dopo il Vangelo secondo Matteo.
Ma chi sono i Magi? Se usiamo la «m» minuscola i magi sono gli antenati degli attuali Curdi: un popolo montanaro che nel VI a.C. furono sottomessi dai Persiani. Il greco Erodoto dice che interpretavano i sogni e studiavano gli astri. I maghi – continua il professore Cardini – sono i sacerdoti dell’antica religione mazdaica, la religione dell’antica Persia pre-islamica. Una religione molto complessa molto vicina al buddhismo, all’induismo che vedeva il mondo come interessato a una lotta eterna tra due principi (uno solare e uno notturno). I magha erano una tribù del popolo dei Medi, un popolo indo-iranico molto vicino ai Persiani ma non identificabile con i Persiani, ed erano quelli che davano al mazdaismo la classe sacerdotale. Questi sacerdoti studiavano le stelle, e nelle stelle aspettavano i «segni del tempo», attendevano un loro «salvatore», una reincarnazione del dio Mitra. «Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti …» la stella, le stelle li guida verso il loro «salvatore».
Nel Medioevo un grande personaggio come Federico Barbarossa, Imperatore del Sacro Romano Impero dal 1155 al 1190, ha incentivato il culto dei Magi e delle loro reliquie. Per onorare adeguatamente il culto dei Magi è stata fondata, al tempo di Federico Barbararossa, la grande Cattedrale di Colonia (https://www.koelner-dom.de) che ancora oggi ospita delle reliquie come anche altre reliquie sono conservate nella Cappella dei Magi della Basilica di sant’Eustorgio a Milano (https://chiostrisanteustorgio.it/luogo/basilica/basilica-cappella-dei-magi/).