Accade di tutto, ma proprio di tutto. C’è anche il boss mafioso, ovviamente latitante, che dice a voce alta: “siamo arrivati al punto che è la politica a nominare i candidati elettorali, e siamo pure costretti a votarli, turandoci il naso”. Durante le feste, abbiamo visto un po’ tutti la nuova serie dal titolo “Incastrati” di Ficarra e Picone, in onda su Netflix dal primo gennaio 2022. Netflix, ormai lo sappiamo tutti, è una piattaforma che trasmette in streaming a livello globale, accessibile tramite abbonamento. Una serie diventata “cult” in pochissimi giorni, perché il pubblico si è appassionato a vederla e sui social non ha perso l’occasione per commentarla. La serie tv italiana si è piazzata al primo posto in classifica, superando Cobra Kai e Leonardo Di Caprio con Don’t Look Up. Un risultato che non era affatto scontato.
La storia è ambientata in diverse parti della Sicilia ed in particolare a Palermo. Gli attori si sono spostati anche Piana degli Albanesi, un comune della provincia palermitana situata sul versante orientale del monte Pizzuta. Tanti luoghi meravigliosi hanno fatto da set cinematografico alle diverse scene. Ovviamente, due siciliani d’eccellenza non potevano non scegliere la Sicilia come sfondo alla loro narrazione. Un racconto che mette insieme “humor e crime” in modo perfetto. La trama è anche piuttosto chiara: Ficarra e Picone, riparatori di elettrodomestici, si trovano intrappolati e coinvolti in un omicidio di mafia. Costretti ad affrontare mille peripezie per dimostrare di essere innocenti e per mettersi in salvo dai criminali.
Probabilmente, ci sarà un seguito della serie anche se Netflix non ha ancora ufficializzato la nuova stagione. Il pubblico vorrebbe rivedere nel cast, insieme a Ficarra e Picone, anche: Tony Sperandeo, Maurizio Marchetti, Marianna di Martino, Anna Favella, Filippo Luna, Sergio Friscia, Leo Gullotta, Sasà Salvaggio. Insomma, Ficarra e Picone sono loro e non sono cambiati rispetto ai film che hanno prodotto, diretto e scritto. Hanno fatto tutto loro diventando: autori, registi e sceneggiatori, dimostrando la loro bravura e le loro capacità. Insieme ad un gruppo di attori siciliani, e altri no, sono riusciti ad interpretare con ironia quella che rappresenta una piaga della nostra terra.
Più volte ho ricordato, anche durante interventi in convegni o conferenze, sia in Sicilia che in altre parti d’Italia, che ho avuto il privilegio di intervistare il giudice Paolo Borsellino per un quotidiano regionale agli inizi degli anni ’90. Un’intervista tra quelle che non dimenticherò mai nella mia esistenza. Incancellabile. Piena di vita, anche se annunciava la morte. Un’altra intervista che mi porto dentro è quella fatta al giudice Antonino Caponnetto, Capo del Pool Antimafia. Negli ultimi anni mi sono occupato di come è cambiata la comunicazione della mafie, attraverso molte letture e approfondimenti.
Le mafie che hanno impostato il loro sistema sui nuovi modelli relazionali, hanno anche imparato ad utilizzare nuovi codici e nuovi linguaggi per confondersi, con quel loro fare camaleontico, nel fluire della società liquida. E lo hanno fatto attraverso un uso appropriato delle nuove tecnologie come risorse per la gestione dei propri flussi finanziari e per lo sviluppo delle attività criminose, muovendosi con disinvoltura sui social e WhatsApp. Il codice comunicativo si è evoluto e, se in una precisa fase storica, è stata sfruttata la spettacolarizzazione, in seguito è tornato ad essere impiegato come veicolo di messaggi, riappropriandosi della sua identità.
Controversa si presenta ancora oggi la figura del mafioso, in cui convivono due nature contrapposte: sono santi e benefattori per alcuni, demoni per altri. Oggi i mafiosi sono capaci di usare bene le potenzialità delle nuove tecnologie. Comunicano e commettono i loro delitti attraverso il web. Possono permettersi di assoldare esperti. La mafia rurale ha lasciato il posto a quella ipertecnologica. Ho avuto modo di appurare, grazie ad attività di ricerche, come Cosa Nostra sia passata con disinvoltura dai pizzini ai nuovi canali social, dando vita alla narrazione mediatica del linguaggio mafioso. La percezione distorta del reale viene, infatti, enfatizzata dai mezzi di comunicazione, che insistono sui particolari, su quel “feticismo del dettaglio”, che accresce la curiosità, tanto che sempre più spesso i casi di cronaca nera diventano sempre più eventi televisivi, per mezzo dei quali alzare l’audience grazie alla morbosa cura dei dettagli angoscianti.
C’è poi un altro aspetto che è di tipo sociale, che riguarda la nostra società, ed è la mafia che non spara e che non semina cadaveri per strada. Questa è una mafia che dà l’idea di una minore percezione di paura. Non ci fa paura la mafia che non spara. E allora abbassiamo la guardia, ma anche il “silenzio” della mafia dovrebbe farci riflettere. Le fiction sono diventate realtà. Anzi la realtà ha superato ogni finzione scenografica. E se si vuole scrivere insieme un nuovo copione, è necessario imparare a conoscere le nuove modalità di interazione e di comunicazione impiegati dalle criminalità organizzate, in modo da formare adeguatamente anche le nuove generazioni. La serie di Ficarra e Picone è arrivata in un momento difficile, visto che la pandemia che ci ha travolti non arretra e non rallenta. Ecco, quindi, che l’ ilarità e l’umorismo di Ficarra e Picone ci sono serviti per essere critici sulla nostra Sicilia, ma anche autoironici con la speranza che tutto possa cambiare al più presto.