Oggi nel mondo ci sono circa 13.400 (dati SIPRI 2020) armi nucleari. Di queste ben 3.720 sono dispiegate con forze operative e quasi 1800 addirittura in stato di massima allerta operativa. In altre parole, per utilizzarle, basterebbe premere il famoso “bottone”. Il 90{4b17928d5b020eda99092df6404d8c5fed75328874c76bb9411b476d5f081a38} di questi ordigni nucleari sono in mano a Russia e Stati Uniti (oltre 6000 ordigni nucleari ciascuno). Gli altri sono in mano a Cina (290 testate), Francia e Regno Unito (rispettivamente di 300 e 200), India e Pakistan (ciascuno di oltre 150 ordigni), e poi Israele, Corea del Nord e altri.
Meno di quanti erano nel 1986, quando l’arsenale atomico mondiale arrivò a contare più di 69mila testate nucleari. Ma pur sempre troppi. E i trattati sottoscritti per bloccarne la produzione o addirittura per eliminare definitivamente queste mostruose “invenzioni” rischiano di diventare carta straccia.
L’1 luglio 1968, i paesi membri dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite firmarono il Trattato di Non-Proliferazione Nucleare, NPT. Entrato in vigore nel 1970, è stato ratificato finora da 188 stati membri delle NU. L’accordo prevede che i paesi “che hanno sviluppato e fatto esplodere armi nucleari prima del 1 gennaio 1967” non incrementino il proprio arsenale e che gli altri paesi non si dotino di armi nucleari tutto sotto il controllo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (cui è dato il potere di effettuare ispezioni anche negli stabilimenti nucleari degli stati non-nucleari).
L’accordo prevede la possibilità di effettuare una verifica ogni 5 anni. Ma l’ultimo riesame, che si è svolto tra aprile e maggio 2015, si è concluso senza l’adozione di un documento finale consensuale (pare per il mancato accordo sulle parti del testo riguardanti la zona libera da armi di distruzione di massa in Medio Oriente, la cui Conferenza non è mai stata convocata per disaccordi fondamentali sull’agenda).
E oggi sono in molti a pensare che potrebbe essere cancellato definitivamente. “Stiamo vivendo un momento in cui la diplomazia come strumento di promozione degli interessi americani è più importante che mai. Eppure, nel corso dei tre decenni e mezzo in cui sono stato diplomatico professionista, non ho mai visto un momento in cui è stato più alla deriva”, ha dichiarato l’ex diplomatico americano William J. Burns. Chiaro il suo riferimento al proprio presidente Donald Trump. Il rischio è che le scelte anacronistiche del Tycoon della Casa Bianca e le spinte verso il riarmo (non solo degli USA ma anche di molti altri paesi) possano portare indietro di decenni.
Anche la trasparenza prevista dal Trattato di Non Proliferazione Nucleare pare essere diventata una chimera: “Gli Stati Uniti hanno divulgato importanti informazioni sulle proprie scorte e capacità nucleari, ma nel 2019 l’amministrazione statunitense ha posto fine alla pratica di divulgare pubblicamente le dimensioni delle scorte statunitensi”, ha dichiarato Hans M. Kristensen, del SIPRI Nuclear Disarmament, Arms Control e direttore del progetto di informazione nucleare presso la Federation of American Scientists (FAS). La Russia, dal canto suo, pare non aver reso disponibile una suddivisione dettagliata delle forze conteggiate in New START (le condivide solo con gli Stati Uniti). Altri adottano politiche ben diverse: Israele, ad esempio, semplicemente non dice nulla del proprio arsenale nucleare. Perfino Regno Unito e Francia, paesi europei dotati di un pericoloso arsenale nucleare, hanno rilasciato poche informazioni. E gli sforzi del consorzio dell’UE per la non proliferazione e il disarmo non sembra aver sortito gli effetti sperati. Almeno finora.
Anche l’accordo New START è a rischio. Siglato nel 2010, prevedeva di ridurre e limitare le armi offensive strategiche. Anche questo accordo scadrà tra poco, a febbraio 2021 (a meno che entrambe le parti non decidano di prorogarlo). E, come per l’NPT, anche in questo caso non c’è molto….accordo tra i paesi firmatari: la proposta di estendere New START o di negoziare un nuovo trattato è fallita. “La situazione di stallo per New START e il crollo del trattato sovietico-americano del 1987 sull’eliminazione dei missili a raggio intermedio e a corto raggio (trattato INF) nel 2019 suggerisce che l’era degli accordi bilaterali di controllo degli armamenti nucleari tra Russia e Stati Uniti potrebbe sta per finire”, ha dichiarato Shannon Kile, del SIPRI, “La perdita dei principali canali di comunicazione tra la Russia e gli Stati Uniti, intesa a promuovere la trasparenza e prevenire percezioni errate sulle rispettive posizioni e capacità delle forze nucleari, potrebbe potenzialmente portare a una nuova corsa agli armamenti nucleari”.
Il generale americano in pensione Michael Hayden, già capo della CIA e della National Security Agency, ha rilasciato dichiarazioni pesanti e ha espresso il timore che questa scelta azzardata potrebbe avere ripercussioni negative anche sul rinnovo del trattato (New START). E non solo su quello.
Il Trattato Inf (Trattato sulle forze nucleari intermedie) che aveva portato alla distruzione di ben 2692 missili, 846 americani e 1.846 russi, lo scorso anno non è stato rinnovato. I sei mesi entro i quali il Trattato avrebbe potuto essere salvato sono scaduti senza che gli sforzi politico-diplomatici e le minacce portassero alcun beneficio. Ufficialmente a causa delle accuse mosse dal presidente americano Donald Trump nei confronti della Russia e i suoi missili da crociera 9M729.
Lo stesso vale per il Trattato Cieli Aperti, un accordo considerato essenziale per la sicurezza tra gli stati della NATO e la Russia, firmato a Helsinki nel 1992 (in vigore dal 2002, consentiva a uno dei suoi 34 paesi firmatari di condurre una sorveglianza aerea disarmata sul territorio dell’altro con un preavviso di 72 ore) sarebbe a rischio: a maggio scorso, Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo motivandolo con il mancato rispetto degli accordi da parte della Russia.
Il fallimento di questi accordi comporterebbe rischi inimmaginabili per la sicurezza di tutto il pianeta: Russia e Stati Uniti nei rispettivi piani militari avrebbero deciso concedere al settore “armi nucleari” più importanza che in passato (secondo il SIPRI, entrambi avrebbero nuovi e costosi programmi per sostituire e modernizzare il proprio arsenale nucleare, i sistemi di trasporto dei missili e gli impianti di produzione di armi nucleari) e anche altri paesi dotati di arsenali nucleari starebbero sviluppando nuovi sistemi d’arma o avrebbero annunciato l’intenzione di farlo.
Tutto questo rende più che concreto il rischio che si possa tornare verso una proliferazione del nucleare bellico. Il 7 luglio sarà un altro anniversario importante (ma del quale, chiaramente e significativamente, nessuno ha parlato): quel giorno, nel 2017, le Nazioni Unite approvarono un documento che prevedeva non solo la non proliferazione delle armi nucleari ma di “sviluppare, testare, produrre, fabbricare, acquisire, possedere o immagazzinare armi nucleari o altri dispositivi esplosivi nucleari”. In altre parole non solo non produrre nuove testate nucleari ma smantellare quelle esistenti! Ad oggi a firmare quel documento sono stati 81 paesi.
Ma per diventare esecutivo l’accordo dovrebbe essere ratificato da almeno 50 paesi. E dopo tre anni, ad aver trasformato in legge questo accordo sono stati “solo” 37 paesi. E, la cosa più significativa è che tra questi non ci sono molti dei paesi dichiaratamente “pacifisti” (anche nella propria Costituzione, come l’Italia). Ad oggi tra i paesi europei, solo Austria e S.Marino hanno ratificato questo accordo. Tutti gli altri, (Italia compresa) non lo hanno fatto. Dicendo in questo modo SI al proliferare delle armi nucleari.
Nei giorni scorsi, riferendosi al coronavirus, il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres, ha parato di “un virus microscopico ci ha messo in ginocchio”. Un altro virus, più che microscopico assolutamente invisibile ma dagli effetti potenzialmente molto più letali si sta diffondendo in tutto il mondo: l’indifferenza verso il ritorno al nucleare.