«L’accesso a fonti di finanziamento è l’elemento chiave per accelerare la decarbonizzazione del settore aerospazio. Il pubblico deve necessariamente affiancare gli operatori del settore per dare impulso alla ricerca e identificare le tecnologie del cambiamento. È una collaborazione che oltre a essere necessaria è anche virtuosa perché conduce alla definizione di una road map chiara e a strategie, anche politiche, esplicite – presupposto fondamentale di attrazione per i fondi di private equity quando si investe in Ricerca e Sviluppo e tecnologie pionieristiche. La collaborazione stretta con governo da una parte e investitori dall’altra, può dare la forza necessaria agli operatori tradizionali, e ancor più alle start up, per consolidare una readiness tecnologica e trasformarla in readiness per il mercato».
Ad affermarlo è Francesco Legrottaglie, Aerospace & Defense Leader e partner di Deloitte Italia, nel presentare il paper “Decarbonizing aerospace – A road map for the industry‘s lower-emissions future” sul blog di Deloitte Italia.
«Il settore aerospaziale», spiega Legrottaglie, «è uno dei più complessi da decarbonizzare, in primis per dimensioni e costi, ma anche per le rigidità regolatorie rispetto alla apertura a nuove tecnologie per l’aviazione o, in generale, per il traffico aereo. Ad esempio, se si considera la fonte di energia dei velivoli, vediamo che un volo di andata e ritorno da Londra a New York genera più di 1 tonnellata di CO2 a passeggero – quasi quanto ne produce un cittadino in un anno in un Paese in via di sviluppo. La sola aviazione commerciale pesa il 2-3% delle emissioni globali di CO2 e nel quinquennio 2013-2018 queste sono cresciute del 32%. Entro il 2050 si attende un incremento delle stesse pari a 2,5 volte il livello raggiunto nel 2019 e, conseguentemente, il raggiungimento di un peso pari al 22% delle emissioni globali», prosegue l’esperto di Aerospazio.
Se per abbattere l’impatto del settore venissero approvate normative relative agli oneri legati alle emissioni di carbonio (in Italia già in parte vi sono), stime Deloitte valutano un decremento dei ricavi pari a 40 miliardi di dollari e una perdita di posti di lavoro che potrebbe toccare oltre 110.000 addetti.
E mentre è «ormai chiaro l’impatto ambientale e il rischio di business derivante da un eventuale immobilismo degli operatori sul tema clima, non è invece così immediata la comprensione della difficoltà per gli stessi operatori del settore ad aderire al cambiamento. Infatti, l’identificazione delle soluzioni tecnologiche adatte, che possano avere diffusione industriale e, quindi, scalabilità degli impatti sui processi produttivi e sulle infrastrutture per conseguire l’accesso a fonti di finanziamento privato, richiede l’indispensabile supporto pubblico in particolare sotto forma di incentivi», sottolinea Legrottaglie.
«Se consideriamo le aree a maggiore impatto lungo l’intera catena del valore, le soluzioni più interessanti sono la rivisitazione del design dei prodotti e l’uso di tecniche quali digital twin e rapid prototyping; l’utilizzo di materiali sostenibili nella produzione; le smart factory alimentate da energia verde e tecnologie smart; la riconfigurazione della logistica. Quest’ultima, per esempio, necessita dell’impegno congiunto dei diversi attori presenti all’interno della stessa catena del valore, con forme di collaborazione nuove per dar seguito alla possibilità di implementazione delle soluzioni sopra menzionate e al funzionamento delle stesse fino alla conclusione del processo produttivo», prosegue l’esperto di Deloitte.
«Se invece pensiamo alla riduzione delle emissioni derivanti dall’effettivo utilizzo dei velivoli saranno cruciali design innovativi per aumentare l’efficienza nei consumi; motori a propulsione elettrica o a idrogeno; utilizzo di carburanti non fossili; sviluppo conseguente di infrastrutture a supporto dei carburanti non tradizionali; rivisitazione della gestione del traffico aereo».
Un altro capitolo fondamentale è quello dei carburanti: secondo Deloitte entro il 2050 si può ottenere una riduzione del 75% delle emissioni dei voli a lungo raggio grazie all’utilizzo di carburanti alternativi e una riduzione pari al 60% per i velivoli leggeri e voli a corto raggio grazie all’utilizzo della propulsione elettrica.
Ma «per diffondere l’utilizzo di carburanti alternativi non fossili a basso impatto sul clima», spiega l’esperto, «è dirimente una struttura di incentivi a favore sia delle compagnie aeree, sia delle società che producono e distribuiscono energia. La propulsione elettrica rappresenta addirittura una soluzione a emissione zero, applicabile tuttavia limitatamente al corto raggio e che richiede la reingegnerizzazione dei sistemi di propulsione e dei velivoli stessi oltre a investimenti in batterie e fonti di ricarica. La soluzione dell’idrogeno, da parte sua, sebbene allettante dal punto di vista dell’impatto ambientale, porta dietro complessità tali da limitarne la commerciabilità».
«La nuova era», conclude Legrottaglie, «presenta scenari nuovi e sfidanti per i player consolidati nel settore, ma apre anche porte a newcomers, per esempio, nella produzione di velivoli leggeri e a pilota automatico e semiautomatico oltre che alla mobilità urbana attraverso gli eVTOL (elettric Vertical Take Off and Landing). Anche le università, da parte loro, devono considerare la necessità di incentivare e coltivare nuove competenze per fronteggiare le sfide tecnologiche: la disponibilità di nuovi talenti sarà un elemento chiave in questa sfida, come sempre quando si vuol navigare un cambiamento».