La città del cordoglio è il mio romanzo sul perdono. Un libro scritto per far piangere, non per sgomento, ma per liberazione.
È la storia di Ninetto Cordoglio, detto Ninù, nato e cresciuto nel Real Albergo dei Poveri, il Serraglio. Ninù-bambino si salva dalla miseria per qualche anno lavorando a bordo di navi cargo. Fugge, insomma. Finché un giorno riceve la notizia della morte di entrambi i genitori ed è costretto a tornare a casa. In quel momento inizia la storia di Ninù-adulto. Una storia di oppressione e anche di liberazione. Che è anche la storia di Napoli.
Quando era poco più di un bambino, Ninù, è stato violentato. Le conseguenze di questo episodio, sempre taciuto, lo perseguitano lungo i vicoli del Centro Antico, il cuore pulsante e imperscrutabile di Napoli. Nel suo vagabondare, si circonda di esclusi, di emarginati, si lascia coinvolgere in attività ai limiti dell’illegalità. E quando gli viene offerta una salvezza, la rifiuta.
Sullo sfondo, una Napoli sfarinata, testimone di un perdono che arriva all’improvviso, come un’epifania, una presa di coscienza dei propri sbagli.
Dietro la storia di un uomo e della sua disgraziata esistenza, si cela quella più antica di un popolo di oppressi, di dimenticati, tutti privati simbolicamente di qualcosa, i denti, una gamba, la voce. Devoti ai santi e ai numeri, alla provvidenza e alla speranza.
Il libro è costruito su due binari paralleli, l’infanzia e l’età adulta, la memoria e il presente. Infatti, è ambientato nella Napoli degli Anni ’50, povera, reduce dalla guerra, e quella negli Anni ’90, sporca e spietata. Molti luoghi descritti sono spariti o totalmente cambiati oggi. Mi sono basato perlopiù sul ricordo che ho di questa città, sulla mia infanzia e quella di membri della mia famiglia. È stato come parlare di una persona che hai visto solo una volta nella tua vita ma che ti sembra di conoscere intimamente.
Gli italiani sparsi in giro per il mondo mi capiranno. A loro non ho bisogno di dare spiegazioni. Chi invece non ha avuto la vigliaccheria di partire come ho fatto io, rimarrà disorientato forse nel vedere questa città ritratta in maniera un po’ inusuale. Non è poetica come la dipinge la retorica romantica. Non celebra l’amore delle serenate di quelle innumerevoli “voci ‘e notte” inascoltate. E non è così cruenta e hollywoodiana come la interpreta certa fiction. È una Napoli dell’insofferenza spirituale di quegli esclusi, quegli incompresi, schiacciati dalla coltre di nebbia del successo spietato e del riscatto sociale che offusca la mente della maggior parte di noi. Una città ancora capace di provare sentimenti come la pietà, la compassione, l’empatia che ho cercato di analizzare in questo libro.
Ninù si fa interprete di questi sentimenti, ma non solo. Io credo che questo antieroe sia un interprete ideale anche di qualcos’altro: del nostro bisogno disperato di amare e di essere amati.