Oggi viviamo in un mondo fatto di numeri, di dati, di informazioni che servono per monitorare e codificare ogni istante della nostra vita e che sono essenziali per la nostra esistenza. Numeri come quelli diffusi dalla Banca Mondiale, secondo i quali, nel mondo, di oltre un miliardo di persone non si saprebbe nemmeno chi sono: non si conosce nemmeno la loro identità. Un numero spaventoso. Ancora più impressionante sapere che, secondo le stime, metà di loro sarebbero donne e bambini!
Essere senza identità ha conseguenze a volte difficili da comprendere per tutti: significa non poter fare valere i propri diritti. Niente assistenza sanitaria, niente educazione, nessun aiuto in caso di bisogno. Un fenomeno che li rende simili agli apolidi. Anche loro, spesso, non godono dei diritti fondamentali. Sono condizioni che intaccano quelli che sono riconosciuti come diritti fondamentali di tutti: istruzione, occupazione, welfare sociale, diritto ad un alloggio o alla salute. A volte significa non poter nemmeno circolare liberamente (se fermati può capitare di essere trasferiti in caserma (come dei criminali) in attesa di capire come accertare le generalità). A peggiorare la situazione il fatto che spesso vittime di questo stato di cose sono gli appartenenti a minoranze etniche o a fasce deboli della popolazione o a gruppi minoritari (migranti, rifugiati, profughi). Una situazione che, in certi periodi peggiora rapidamente in seguito ad eventi geopolitici inattesi e incontrollati (si pensi a ciò che è avvenuto in Ucraina e ai flussi di rifugiati diretti nei paesi europei). In tutti i paesi del mondo esistono persone senza identità che vivono in comunità alienate ed emarginate.
Eppure di tutto questo, si parla poco. E si fa ancora meno. La maggior parte di queste persone vivono in Africa o in Asia. Tra i paesi con un numero elevato di persone prive di identità ci sono il Myanmar, il Kuwait, la Costa d’Avorio, la Thailandia, l’Iraq e la Repubblica Dominicana. Una consistente presenza di persone senza identità vivono in tutti quei paesi del mondo che non permettono alle madri di trasmettere la propria nazionalità ai loro figli su base paritaria rispetto ai padri. Ciò può far sì che i bambini risultino senza identità quando i padri siano sconosciuti, assenti o deceduti.
In Europa e in Italia il problema è più diffuso di quanto si pensi. Secondo i dati più recenti della Banca Mondiale le persone prive di identità in Italia sarebbero milioni (un numero analogo in Francia, oltre il doppio in Germania, in Tunisia di una persona su tre non si conosce l’identità)! Di questi numeri si parla poco o niente. Alcune statistiche ufficiali parlano di apolidi. Ma a volte commettendo un errore grossolano: fare riferimento al numero delle persone che hanno ricevuto il riconoscimento di “apolide” (concesso solo a chi ne fa richiesta e dopo non facili procedure).
Molte le cause di questi fenomeni sociali: discriminazione nelle leggi sulla cittadinanza (es. razziale, religiosa o di genere), conflitti e lacune nelle leggi sulla cittadinanza e successione tra Stati. Essere privi di documenti validi non significa essere apolidi. Tuttavia, la mancanza di registrazione alla nascita può porre le persone a rischio di apolidia (il certificato di nascita fornisce la prova del luogo in cui una persona è nata e della sua parentela – informazioni fondamentali per stabilire la nazionalità). A volte la perdita dell’identità deriva da migrazioni forzate. Ad esempio, nel contesto della crisi in Siria, il rischio di apolidia è stato aumentato dalla combinazione di fenomeni discriminatori di genere e dall’assenza di documentazione civile tra la popolazione in fuga. In certi casi anche la distinzione tra identità e identificazione è difficile.
Si tratta di problemi che riguardano non solo gli adulti ma anche molti minori. Nemmeno nei paesi più sviluppati, finora, è stato possibile adottare misure adeguate per porvi fine. Il problema non è solo non avere una identità. È non essere considerato come cittadino da nessuno stato. Non avere riconosciuto il diritto fondamentale alla nazionalità né assicurato il godimento dei diritti ad essa correlati. Tutto questo è difficile da affrontare per un adulto. Ma è ancora peggiore per un minore: chi non ha una identità non può nemmeno dimostrare di essere minorenne! La Convenzione sui Diritti del Fanciullo obbliga tutti i paesi che l’anno ratificata (oltre 196) a soddisfare il diritto di ogni bambino di acquisire una cittadinanza. Eppure, l’apolidia infantile e la mancanza di identità e identificazione continuano ad esistere. Anche nei paesi più sviluppati. Gli Stati stabiliscono norme per acquisire, cambiare (e perdere) la cittadinanza nell’ambito delle facoltà del loro potere sovrano. Ma il loro potere discrezionale circa la nazionalità è in parte limitato dagli obblighi previsti dai trattati internazionali, dal diritto internazionale consuetudinario e dai principi generali del diritto. Ad oggi sono pochi i paesi che hanno firmato e ratificato la Convenzione del 1954 relativa allo status degli apolidi (fornisce la definizione di apolide e stabilisce standard minimi di trattamento delle persone apolidi rispetto a diversi diritti) e la Convenzione del 1961 sulla riduzione dell’apolidia (che impone agli Stati di stabilire nella legislazione delle misure di garanzia per i casi di apolidia che si verificano al momento della nascita o più avanti nel corso della vita oltre a importanti misure di salvaguardia per prevenire l’apolidia a causa della perdita o della rinuncia alla nazionalità o nel caso di successione tra Stati). Anche altri strumenti internazionali (la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, la Convenzione Internazionale sulla Eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, la Convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne, la Convenzione sui Diritti del Fanciullo e la Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti di Tutti i Lavoratori Migranti e delle loro Famiglie, oltre che la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità) fanno chiaro riferimento al diritto ad avere una identità e una nazionalità.
Oggi, in tutti paesi europei continuano ad essere molti, troppi i minori senza identità. Molti hanno ereditato questo status dai genitori. Altri sono i primi nella loro famiglia a sperimentare cosa ciò significhi, vittime ignare di una lacuna o di un conflitto nelle leggi sulla nazionalità.
Non avere una identità rende difficile proteggere questi bambini da abusi e fenomeni di sfruttamento come la tratta, il lavoro minorile e i matrimoni precoci e infantili. La stragrande maggioranza dei bambini coinvolti non hanno mai conosciuto la protezione o il senso di appartenenza che deriva da una nazionalità. Eppure porre fine a tutto questo (come prevedono gli Obiettivi Sostenibili dello Sviluppo delle Nazioni Unite) non sarebbe impossibile. In diversi paesi sono già stati sperimentati sistemi che potrebbero permettere di eliminare del tutto questa piaga e permettere ai governi la registrazione alla nascita di tutti i bambini, indipendentemente dallo status o dall’identità dei loro genitori. Non basta che ad ogni bambino venga rilasciato un certificato di nascita che stabilisca la sua identità legale e i legami familiari: è necessario migliorare o introdurre garanzie legali complete nella propria giurisdizione per garantire che questo riconoscimento sia riconosciuto valido anche negli altri paesi. Oggi questo non sempre è possibile: la maggior parte dei bambini migranti giunti in Europa acquisisce la nazionalità di uno o entrambi i genitori. Ma alcuni di loro potrebbero non essere in grado di godere di questo diritto (a volte sono apolidi o vittime di discriminazione di genere o quando hanno bisogno di registrare la nascita presso le autorità del loro paese di origine e sono rifugiati). Per questi bambini il rischio di crescere senza una identità è elevatissimo.
Gli sforzi condotti dalle ONG e dalle Istituzioni europee, finora non hanno ottenuto i risultati sperati. Il briefing politico realizzato in collaborazione con Child Circle e PICUM (Nessun bambino dovrebbe essere apolide: garantire il diritto a una nazionalità per i bambini migranti in Europa) ha evidenziato alcune criticità, fornito raccomandazioni chiave per l’azione a livello nazionale e regionale e promosso la registrazione universale delle nascite in tutta Europa. Ma non è bastato. Ancora oggi molti bambini, in Europa, rischiano di rimanere o perdere la propria identità a causa di barriere fisiche e non fisiche.
Una realtà che sembra discostarsi non poco dalle indicazioni della Commissione Europea. Secondo la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, l’istituzione di una garanzia europea per l’infanzia potrebbe far sì che “tutti i minori a rischio di povertà o di esclusione sociale in Europa abbiano accesso ai diritti più elementari, come l’assistenza sanitaria e l’istruzione”. Vi è, infatti, una forte correlazione tra l’esclusione sociale dei minori e la mancanza di accesso ai servizi fondamentali. Anche negli Stati membri dell’Unione europea dove tali servizi sono disponibili, i rapporti evidenziano forti disparità di accesso. Secondo i dati Eurostat, in Italia, i minori a rischio di esclusione sarebbero circa un terzo (poco più del 30%) del totale dei minori. Ben otto punti percentuali più della media europea (22.5%). A questo si aggiunge un altro aspetto non trascurabile: il divario tra le varie regioni italiane segnalato alle autorità con il rapporto sul rispetto della CRC presentato a dicembre 2021 dal Gruppo CRC (di cui Kiwanis Distretto Italia San Marino è parte attiva). L’obiettivo della garanzia europea per l’infanzia è quello di prevenire e combattere l’esclusione sociale garantendo l’accesso dei minori a una serie di servizi fondamentali. A patto, ovviamente, che le autorità sappiano che questi minori esistono e che si compiano azioni concrete per risolvere questo problema. A settembre 2021, il documento presentato dal Tavolo Apolidia (di cui Kiwanis Distretto Italia San Marino fa parte) ha fatto il punto sulla situazione attuale e ha presentato specifiche proposte di intervento. L’Italia ha ratificato sia la Convenzione relativa allo status degli apolidi del 1954 che la Convenzione sulla riduzione dell’apolidia del 1961. Ha inoltre firmato, ma non ancora ratificato, la Convenzione europea sulla nazionalità del 1997. L’Italia è uno fra i pochi Paesi al mondo ad avere istituito delle procedure per il riconoscimento dello status di apolide. Ma tutto questo non basta. Ostacoli burocratici e assenza di informazione spesso rendono difficile l’accesso alle procedure attuative di queste norme. Per questo sarebbe opportuno adottare una legge organica efficiente e trasparente in grado di garantire il rispetto dei diritti umani in base agli standard internazionali anche grazie all’identificazione delle persone apolidi presenti sul territorio. A dirlo sono i numeri: secondo le stime dell’ISTAT, la popolazione apolide in Italia sarebbe di 558 persone. Secondo le stime al momento disponibili, sempre in Italia, le persone apolidi o a rischio apolidia sarebbero tra i 3.000 e i 15.000. E molte di più (oltre tre milioni) le persone (adulte) prive di identità o identificazione (stando ai dati della Banca Mondiale).
Negli ultimi mesi sono state diverse le iniziative avviate (alcune delle quali già portate a termine altre in fase di valutazione). A luglio 2020, la Commissione Europea aveva già avviato una fase pilota di sperimentazione di due anni, in sette paesi membri (tra i quali l’Italia). Questo progetto dovrebbe concludersi proprio nel 2022. Tra gli obiettivi, elaborare possibili modelli per risolvere il problema in Italia e – perché no? – negli Stati membri dell’Unione Europea.
É il momento di fare una analisi dei risultati raggiunti e per definire nuove iniziative che potrebbero risolvere il problema. Senza mai perdere di vista il “Piano d’azione sul pilastro europeo dei diritti sociali” della Commissione europea pubblicato lo scorso anno. E al tempo stesso valutare i benefici che potrebbero derivare dall’adozione di strumenti innovativi per il riconoscimento dell’identità dei minori. Misure la cui fase sperimentale è già conclusa e che (specie se adottate a livello internazionale) potrebbero fornire una risposta definitiva a questo problema. A cominciare dal riconoscimento dei minori scomparsi.
Oggi c’è un gran bisogno di riflettere sul problema della mancanza di identità. Di un confronto tra i principali soggetti coinvolti per valutare la reale possibilità di realizzare questo percorso comune. La nostra iniziativa è proprio questo: un momento per condividere i risultati raggiunti ma, anche per definire l’iter da seguire. Il tutto allo scopo di poter fornire alle autorità (e a tutti i soggetti coinvolti) una opportunità concreta per porre fine alla piaga dei minori privi si identità. Per evitare che diventino minori scomparsi dei quali non si sa nemmeno che sono scomparsi. Il nostro progetto prevede il coinvolgimento di tantissimi partner sia in Italia che all’estero. La sede principale per l’incontro è stata in Sicilia (la Regione dove si verifica il maggior numero in assoluto di minori scomparsi, secondo i dati ufficiali del Ministero dell’Interno). Ma è prevista la partecipazione in videoconferenza e in streaming di numerosi relatori da altre regioni e alcuni interventi anche dall’estero.
L’evento si è svolto il giorno 21 Maggio 2022, con inizio lavori alle ore 09.30, Hanno partecipato autorità locali, regionali e nazionali (tra gli invitati, il Commissario Straordinario del Governo per le Persone Scomparse e un deputato dell’Assemblea Regionale, On. Vincenzo Figuccia, membro della Commissione regionale interessata, il quale ha immediatamente condiviso l’impegno a farsi carico di portare in Commissione il problema per realizzare iniziative concrete), ricercatori e docenti universitari di diversi atenei, rappresentati di Associazioni e Enti attivi nel settore (molti dei quali hanno già dato la loro disponibilità a condividere con noi in passato tematiche analoghe), psicologi, sociologi e rappresentati delle maggiori organizzazioni internazionali (tra le quali Croce Rossa Italiana, Missing Children Europe, UNHCR del Tavolo Apolidia e altre).
L’iniziativa, come ogni anno, non è stata una semplice “celebrazione” di un giorno (il 25 Maggio di ogni anno le Nazioni Unite celebrano la Giornata Mondiale dei Minori Scomparsi), ma l’ennesimo tassello di un percorso già avviato da anni. Un momento importante per fare finalmente qualcosa di concreto, tutti insieme, per fornire un’identità a tantissimi bambini. Per fare in modo che non debbano più vivere senza un documento (riconosciuto) che attesti la loro identità. Per fare in modo che non debbano più essere INVISIBILI.
Foto: kiwanis.it