Non è neppure il caso di chiedersi se è stato un grande comunicatore. Il fatto che ancora oggi la sua foto e le sue massime vengano riproposte su Facebook o Instagram, non soltanto da uomini e donne che fanno politica, da giornalisti o da dirigenti di partito, ma da semplici cittadini, anche giovani, deve farci riflettere sul valore di quest’uomo.
Lo scorso 25 maggio in tanti hanno celebrato i 100 anni dalla nascita di Enrico Berlinguer. Nel saggio che firmo “Il potere comunicativo di Berlinguer”, contenuto nel libro Prospettiva Berlinguer, a cura di Ivan Buttignon, ho voluto tracciare la sua figura e la sua personalità.
Il suo linguaggio attento e pudico, tanto da fargli guadagnare l’appellativo di “sardo muto”, si trasformava in frasi ad effetto e parole sensazionali (nel senso più etimologico del termine), sicuramente in anticipo sui tempi. Pur conservando in linea di massima un lessico tendenzialmente classico (né era possibile fare diversamente nel periodo pre-Tangentopoli), rifiuta la gestualità teatrale e drammaturgica di Togliatti e la retorica dura e diretta di Longo, per proporre il suo stile: quello che già nel ’44 venne riconosciuto come un misto di distacco e sincerità. Poco esortativo rispetto ai suoi contemporanei, amava però l’uso dell’anafora, figura retorica utilizzata dai più grandi comunicatori politici del mondo.
Non è neppure il caso di chiedersi se è stato un grande comunicatore. Il fatto che ancora oggi la sua foto e le sue massime vengano riproposte su Facebook o Instagram, non soltanto da uomini e donne che fanno politica, da giornalisti o da dirigenti di partito, ma da semplici cittadini, anche giovani, deve farci riflettere sul valore di quest’uomo.
Pensare a come avrebbe vissuto l’era di internet Berlinguer, che non era nemmeno un personaggio televisivo, però può essere un esercizio entusiasmante come pensare a come Ghandi avrebbe trasmesso i suoi messaggi con internet.
Già, oggi che lo stile comunicativo italiano, del dire e non dire, del cambiare idea nell’arco di poche ore, dell’attitudine a confezionare dichiarazioni in formato radiofonico o televisivo, è per nulla utile alla comunicazione veloce dei social network.
Enzo Biagi nel suo libro “I come Italiani” dedica un paio di pagine a Enrico Berlinguer. “Se Togliatti era il migliore, Enrico Berlinguer il più rimpianto. Lo avevano battezzato il sardo- muto perché era nato a Sassari e parlava poco. L’ho intervistato una sola volta: e tra la domanda e la risposta c’era il tempo per andare a prendere il caffè. Non incoraggiava né i discorsi ne l’aneddotica; casa e ufficio, e qualche rara apparizione ai festival dell’Unità. Diceva un amico: è nato vecchio. E un altro: se gli viene da ridere, pare quasi che si vergogni”.
Una descrizione, quella di Biagi che non lascia spazio a molte interpretazioni. Eppure il grande giornalista nel suo racconto lo celebra e lo rende simpatico. Ricorda Biagi: “Era uscito dal Liceo per entrare nel partito. Circolava una celebre battuta di Pajetta: giovanissimo si iscrisse alla segreteria del pci. Non aveva concluso l’università, ma conosceva profondamente i teorici del marxismo e i classici della politica. Dicevano che, per esempio, non sapeva quasi nulla dei poeti. E aveva percorso tutta la carriera senza scosse, e credo, anche senza intrighi. Mi confidò qualcosa della sua vita, con linguaggio, attento e pudico. La ribellione comincia quando è ancora ragazzo, ma nella sua nobile famiglia, che figura anche nel Libro d’oro della Nobiltà Italiana, si contesta quasi per tradizione. Ha alle spalle un bisnonno repubblicano, un nonno che va con Garibaldi e un padre che è contro Mussolini”.
E ancora Enzo Biagi ammette: “A tanti anni dal nostro colloquio, rileggendo le note di allora, trovo che nelle sue misurate dichiarazioni c’era già il senso di quello che avrebbe fatto. Rievocava gli entusiasmi del 1945, la fede nell’Urss e in Stalin, i dirigenti al di sopra di ogni critica, poi si sono poste delle questioni e si sono discusse. Infine lo scossone del XX Congresso. Ma non vedeva più l’Unione Sovietica come un Paese fuori da ogni sospetto. Non nascondiamo la nostra simpatia, ma nep¬pure la nostra posizione, che non esclude il dissenso. In ogni caso il tipo di socialismo che si può e si deve costruire da noi è tutto diverso. Ci sono stati gli errori, che bisogna ammettere, perché non basta la ragione storica a spiegare certe limitazioni a un regime di democrazia. Alcune libertà, come quella di stampa, hanno un valore assoluto. Ma bisogna che ci siano anche i mezzi per renderle effettive. Mi è capitato raramente di ascoltare un politico che mantiene quello che dice: un altro era Willy Brandt”.
Maria Vittoria Dell’Anna dell’Università del Salento in un suo articolo scientifico intitolato “Enrico Berlinguer l’oratore che non diceva io” ne esalta le doti. “Il testo dei discorsi di Berlinguer si distribuisce in periodi e in sequenze ordinate, logicamente distinte. L’argomentazione non tralascia tecniche espressive e figure retoriche tipiche dell’oratoria politica (soprattutto ripetizioni, anafore, polittoti temporali), ma spesso sembra cedere il passo ai modi dell’esposizione, del commento, della spiegazione. La prosa è pulita, sobria, poco incline all’aggettivazione ridondante o esornativa (e riflette in ciò il carattere schivo e riservato del personaggio); una prosa quasi indifferente alla ricerca del consenso attraverso forme comunicative suasive così tanto praticata in altre esperienze di retorica politica nel Novecento (un solo esempio, il fascismo) o alla tendenza a dire “io” e a personalizzare il discorso che già si faceva strada, con tratti innovativi rispetto alla tradizione, in alcuni leader politici del periodo (pensiamo a Craxi). Inoltre, “se ne ricava – scrive – un’impressione di pulizia linguistica, che nell’esecuzione orale – specie nelle cornici comunicative di maggiore formalità – è confortata da un flusso prosodico scandito con scrupolosa nitidezza”.
Enrico Berlinguer era capace di comunicare anche con l’espressione del volto, con il suo fisico. Scrive di lui ancora Biagi: “Quell’uomo taciturno, dalla faccia scavata e dai capelli grigi, aveva sfidato i fulmini di Mosca. Si era staccato dal modello sovietico per cercare una terza via, tra i socialdemocratici e le esperienze di Oltrecortina. Credo gli siano costati fatica e dolore dovere dire ai suoi che lo spirito della Rivoluzione del 1917 non bastava e che molte delusioni lo avevano soffocato”.
Di lui si narra un episodio. Un giorno gli chiesero se era vera la voce che circolava con insistenza negli ambienti politici di un suo tifo appassionato per la Juventus. Un gruppo di giovanissimi un giorno glielo chiese. Nemmeno in quell’occasione fu capace di mentire. Poteva conquistarsi agevolmente il consenso. Poteva tentare di guadagnare simpatie.
Invece confessò: “ho una piccola simpatia per il Cagliari”. La squadra della sua regione. Era questo Berlinguer. Capace di stupire con la sua semplicità che poteva apparire ingenuità, ma invece era onestà. Un’onestà che si percepisce rileggendo i suoi discorsi. Anche rivedendo le immagini dei momenti più difficili della sua carriera politica. La sua grande forza comunicativa si ricava anche da semplici affermazioni che vengono periodicamente riportate, che girano ancora oggi vorticosamente sul web.
L’universalità del pensiero di Enrico Berlinguer sta nel fatto che su questioni importanti spesso si ricorre ai suoi scritti ed ai suoi discorsi. Sulla questione morale da tempo viene citato da più parti e questo conferma la straordinaria capacità di comunicazione anche molti anni dopo la sua morte.
Tra le citazioni più ricorrenti sul web quella che, ancora oggi, risulta attualissima è questa: “Noi siamo convinti che il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi può essere conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al servizio dell’uomo, del suo benessere, della sua felicità. La lotta per questo obiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita”. In queste parole è racchiusa l’importanza del messaggio di Berlinguer: bisogna combattere sempre e incessantemente affinché questo mondo, così difficile e complicato, possa cambiare e migliorare per garantire alle nuove generazioni un futuro migliore.