“Col cuore in gola”, un cinema pop allo stato puro, dalle chiare atmosfere sessantottine

Articolo di Gordiano Lupi

Col cuore in gola non è cinema di genere e non può essere definito un noir, come molti critici hanno equivocato. Si tratta di cinema pop allo stato puro, dalle chiare atmosfere sessantottine, a partire da musica, scenografie e personaggi. Lo definirei un fumetto pop psichedelico, dove il significante conta molto di più del significato, anzi, rappresenta la vera ragion d’essere. Vediamo la trama in rapida sintesi.

   Bernard (Trintignant) è un attore francese che si trova a Londra per motivi di lavoro, conosce l’affascinante Jane (Aulin) in una discoteca, se ne innamora e la protegge dopo averla scoperta davanti al cadavere di un uomo. Jane finisce in una serie di situazioni pericolose che Bernard cerca di evitare, altri delitti si succedono e alla fine l’uomo si rende conto che è lei l’assassina. Troppo tardi.

   Col cuore in gola è girato a Londra, culla dei fermenti culturali sessantottini e patria adottiva di Brass dopo l’innamoramento parigino. Il regista parte da un thriller scritto da Sergio Donati, ma lo rielabora al punto di non dare importanza al contenuto e alla storia, ma facendo attenzione soprattutto alla forma. A Brass non interessa girare un giallo, non ha dimestichezza con la materia, il suo scopo è quello di sperimentare un nuovo modo di fare cinema, portando alle estreme conseguenze un’idea già abbozzata con Yankee.

   I titoli di testa scorrono sullo stile dei fumetti pulp, l’azione ci conduce in una discoteca fine anni Sessanta dove si balla lo shake, la colonna sonora di Trovajoli è composta da ritmi in gran voga come Love Girl, interpretata da Mel Ryder. L’atmosfera è psichedelica, da figli dei fiori, tra ragazze affascinanti in minigonna e scenografie fantastiche a base di manifesti beat e hippie. Brass passa dal colore al bianco e nero senza soluzione di continuità e pare anticipare una scelta tecnica che in tempi recenti è stata realizzata in Sin City (2005) di Frank Miller e RobertRodriguez. In realtà tutto è dovuto a puri motivi economici, perché in alcuni casi manca la luminosità necessaria per girare a colori, ma la soluzione escogitata rende ancora più fumettistica la pellicola. Guido Crepax – creatore di Valentina – è un consulente d’eccezione, realizza gli story board e le scenografie, disegna una serie di tavole per i movimenti d’azione, uno dei pochi lavori a colori del disegnatore. Brass sceglie un grande musicista come Trovajoli che realizza una colonna sonora molto pop, ricca di suggestioni giovanilistiche in tema con la contestazione studentesca. Il regista abbonda con soluzioni tecniche innovative, segue la lezione di Sergio Leone, confeziona una serie di inquadrature di occhi e di volti in primissimo piano. I fumetti spuntano fuori da ogni scena, assistiamo a scazzottate da cartone animato, ricche di onomatopee come crash, bang, gulp, sbam, rese da Crepax con colori sgargianti e scritte a caratteri cubitali. Alcune parti erotiche sono molto soffuse, girate con fotografia flou e colorazione rosso porpora, ma sono rapide sequenze che costano al film il divieto (eccessivo) ai minori di anni diciotto. Il rapporto sentimentale è descritto con elementi di tenerezza, lei è una bambina che non vuole crescere e la storia d’amore va avanti in Hyde Park, tra uccellini che cinguettano e suadente musica d’epoca.

   La fotografia di Silvano Ippoliti è ottima, descrive una Londra umida e polverosa, dai bassifondi al centro storico, passando per scuderie di cavalli e personaggi sopra le righe, da cartone animato. Non mancano i tipici taxi inglesi, gli autobus rossi a due piani e le caratteristiche cabine telefoniche. Vediamo scenari decadenti, tra le tombe del cimitero, case dai vetri rotti e porte cigolanti, ma soprattutto molte azioni si svolgono con esagerazioni tipiche del fumetto. Tutto è ricostruito come se fosse un cartone noir grottesco, stile Alan Ford di Magnus e Bunker, anche se non manca un’ispirazione al Diabolik delle sorelle Giussani. Londra è una location adatta per via degli strani personaggi che popolano Piccadily Circus e Hyde Park. Indimenticabile uno Charlot che vaga per strada recitando il suo personaggio, ma anche un pazzo che declama sull’angolo del Parco i motivi di scontento. Brass inserisce cinegiornali d’epoca che ricordano i conflitti del periodo storico (Israele – Egitto, Vietnam), ma anche la presenza dei movimenti pacifisti. Brass tira stoccate al perbenismo riprendendo chi osserva i protagonisti che amoreggiano, ma subito dopo torna al fumetto eccessivo con Trintignant che si getta tra teli di plastica e grida come fosse Tarzan. Brass cita Blow Up (1966) di Michelangelo Antonioni e accenna al colore nero di uno studio fotografico, ideale per il corpo di una donna. Si cita persino Mao e la sua rivoluzione che raddrizza le schiene.

   Jean-Louis Trintignant è il protagonista maschile, attore al massimo della popolarità internazionale, anche se la sua recitazione rientra nei canoni del genere e non si adatta bene al film grottesco che ha in mente il regista. Ricordiamo qualche frase sopra le righe e tentativi poetici come “L’acqua sul corpo di una donna è come la rugiada su un fiore”.

   Ewa Aulin è la bella comprimaria femminile che non lesina qualche nudità sotto la doccia e una sequenza hot da prigioniera in seducente bikini, ma legata con nodose funi. Ha un bel sorriso intrigante, occhioni azzurri e capelli biondi, anche se è lontana mille miglia dalla bellezza tipica del Brass contemporaneo, incarna bene la femminilità giovanile del Sessantotto. Ewa Aulin è una svedese di Landskrona, Miss Teenager e Miss Teen International, concorso che la fa conoscere ai talent scout italiani, a caccia di bellezze nordiche da importare. Ewa trasloca armi e bagagli e si stabilisce nel nostro paese, dove la sua aria da ragazzina ingenua e maliziosa piace. Nel 1966, a soli diciassette anni, debutta nel cinema con Don Giovanni di Sicilia di Alberto Lattuada, regista noto come scopritore di bellezze giovani e talentuose. La carriera di Ewa Aulin pare proiettata nelle alte sfere del cinema italiano perché da Lattuada passa a Tinto Brass che un anno dopo la vuole per Col cuore in gola (1967). La morte ha fatto l’uovo di Giulio Questi (1968) è il terzo film della bella svedese che esplicita un personaggio appena abbozzato nei due film precedenti. Il suo ultimo film, italiano è Quando l’amore è sensualità (1973) di Vittorio De Sisti, pure se tutti la ricordiamo per La morte ha sorriso all’assassino (1973) di Aristide Massaccesi.

   Col cuore in gola è un noir ironico – fumettistico con venature erotiche che risente tutto il peso del tempo passato, poco attuale come gran parte della cinematografia sessantottina e non consigliabile, a meno che lo spettatore non sia preparato a storicizzare. Resta un film lento, girato con poco brio e montato con spazi dilatati, la storia è esile e gonfiata per arrivare ai tempi canonici, troppo blanda per un giallo convincente e poco spinta per un buon erotico.

   Tinto Brass consiglia di guardare Col cuore in gola senza badare troppo al significato, perché non è la vera sostanza, ma di fare attenzione al significante, cioè alla forma, al modo in cui è stato girato. Non ha tutti i torti. La pellicola conserva intatta la cultura pop del periodo storico e i suoi fermenti visivi, ma soprattutto racconta una storia usando il linguaggio del fumetto. Luigi Chiarini vuole Col cuore in gola al Festival di Venezia, anche se non è in sintonia con gli schemi dell’epoca, per l’utilizzo di un linguaggio pop che privilegia la forma. “Il vizio della critica italiana è contenutistico, non guarda la forma, ma solo il contenuto” si lamenta Brass. In effetti il film va salvato per una questione semantica, grazie alle insolite invenzioni visive, formali e linguistiche. Siamo in totale accordo con Brass quando accusa la televisione di desertificare ed eliminare ogni tipo di invenzione formale. Col cuore in gola è un film di sensazioni, da godere come cinema che conserva una cultura pop più che da capire.

   Marco Giusti su Stracult afferma che Brass mette in piedi la sua visione ipermontata del pop, ma reputa il film molto strano e fresco. Per Paolo Mereghetti vale una stella e mezzo e si tratta di uno sconfinamento di Brass nella commedia gialla, con un film non memorabile ma che si lascia vedere. Lui però non l’ha visto perché Col cuore in gola è tutto fuorché una commedia gialla… 

Regia e Soggetto: Tinto Brass, liberamente ispirato al romanzo Il sepolcro di carta di Sergio Donati. Sceneggiatura: Tinto Brass, Francesco Longo e Pierre Levy Corti. Fotografia: Silvano Ippoliti. Musica: Armando Trovajoli. Montaggio: Tinto Brass. Scenografia: Carmelo Patrono. Consulente grafico: Guido Crepax. Costumi: Bice Brichetto. Produzione: Ermanno Donati e Luigi Carpentieri per Panda Cinematografica (Roma) e Les Films Corona (Parigi). Distribuzione: Rank. Interpreti: Jean-Louis Trintignant, Ewa Aulin, Roberto Bisacco, Charles Köhler, Luigi Bellini, Monique Scoazec, Enzo Consoli, Vira Silenti.

Related Articles