La necessità di sprecare sempre di meno sta portando molti a proporre soluzioni alternative discutibili. Qualche anno fa, in Svizzera, qualcuno propose di raccogliere il metano contenuto nei rutti e nelle flatulenze (le scoregge) delle mucche per riutilizzarlo ed evitare che finisse nell’atmosfera. A supportare questa decisione il rapporto “Raising the Steaks: Global Warming and Pasture-Raised Beef Production in the United States”, pubblicato qualche anno fa dall’Union of Concerned Scientists (Ucs). Secondo i ricercatori, il bestiame produce grandi quantità di metano, un potente gas serra, sia attraverso l’apparato digerente che con il letame.
Il processo, noto come fermentazione enterica, rilascia anidride carbonica e metano nell’atmosfera ogni volta che uno di questi animali digerisce. Per questo motivo, secondo i ricercatori, “pratiche di produzione di carni bovine climate-friendly ridurrebbero le emissioni di metano e protossido di azoto, aumentando il sequestro del carbonio”. Diversi i suggerimenti contenuti nel rapporto, ma nessuno vi dedicò troppa attenzione. Al massimo un sorriso. Più di recente a occuparsi di questo fenomeno è stata addirittura la NASA. Secondo l’agenzia spaziale USA, in media una mucca è in grado di produrre in un solo giorno tra i 200 e i 300 litri di metano, pari all’anidride carbonica emessa da una comune autovettura. E dato che in Europa si stima che vi siano circa 30 milioni di mucche (circa 1,4 miliardi nel mondo che rilasciano fino a 500 litri di metano al giorno) il problema potrebbe essere serio: le loro esalazioni rappresenterebbero una percentuale non indifferente dei gas serra emessi. Secondo i dati pubblicati nel 2020 dal New York Times, “se fossero un paese, le mucche sarebbero al sesto posto per emissioni al mondo davanti a Stati come la Germania e il Brasile”. Per cercare di risolvere il problema un produttore svizzero suggerì di cambiare la dieta dei bovini e integrarla con mangimi a base di alghe e piante acquatiche, un mix di sostanze da inserire nell’alimentazione quotidiana delle mucche. Ma questa soluzione non sarebbe in grado di abbattere le emissioni di CO2 di oltre il 10%.
Cosa fare allora? Invece di eliminare il problema alla radice (basterebbe ridurre i consumi di carni rosse che da tempo si sa essere eccessivo e causa di enormi problemi oltre che di salute anche ambientali – pure per ciò che riguarda l’impronta idrica e l’impronta ambientale), c’è stato chi ha pensato bene di tassare le scoregge delle mucche.
In Nuova Zelanda, il governo ha presentato una bozza di legge che prevederebbe di tassare gli allevatori che non controllano la quantità di flatulenze prodotte dalle proprie mucche. La nuova legge è stata presentata come una novità positiva per migliorare le condizioni di vita dei bovini. Le entrate fiscali raccolte, infatti, sarebbero reinvestite nella ricerca e nei servizi di sostegno alle aziende agricole.
Un problema serio che non poteva non finire sul tavolo della Commissione UE che, già nel 2015, aveva parlato di un piano per intervenire sulle flatulenze e i rutti bovini. Senza poi fare niente di concreto. Almeno fino allo scorso anno quando è stato proposta l’ennesima norma inutile: a gennaio 2021, c’è stato chi ha proposto di introdurre sussidi per gli allevatori che ridurranno l’emissione di gas inquinanti del loro bestiame.
Tanta attenzione sulle flatulenze delle vacche e nemmeno una parola sulle emissioni causate da guerre, missioni di pace ed eserciti. Eppure anche lì ci sarebbe molto da dire. Avete mai sentito parlare di classi energetiche e marmitte catalitiche per un carro armato? O di emissioni di un aereo da combattimento? Secondo una nota pubblicata qualche anno fa, un aereo militare tipo F-15 Eagle consumerebbe circa 16.200 litri di benzina speciale ogni ora, un bombardiere B-52 12.000 litri/ora, un elicottero Apache 500 litri/ora. Un F-35 (come quello appena consegnato all’aeronautica militare italiana nei giorni scorsi), può portare 8900 kg di carburante. Secondo alcune stime, una missione che svuotasse il serbatoio produrrebbe circa 21mila kg di anidride carbonica, ovvero una quantità di emissioni di 1000 persone in Italia. In un mese di guerra aerea si emetterebbero 3,38 milioni di tonnellate di CO2, l’equivalente delle emissioni con effetto serra di una città di 300mila abitanti in un anno! E visto il numero delle guerre e dei bombardamenti che vanno avanti da decenni in molti paesi del pianeta le conseguenze sul riscaldamento dell’ambiente sono evidenti.
Secondo alcune stime, le attività militari comporterebbero il 5% delle emissioni di CO2 globali. Un inquinamento notevole. Ma del quale si preferisce non parlare mai. Anche ora che, grazie alla guerra in Ucraina, la corsa agli armamenti ha avuto una notevole impennata, nessuno ne parla.
Si preferisce parlare delle flatulenze delle vacche e del “danno” che queste causano ogni volta che scoreggiano…
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