Nel Duecento il «Cristianesimo costituisce un punto di riferimento essenziale per le esperienze che hanno luogo in tutti gli strati della società. Forse mai come in questo secolo la società medievale -e in particolare quella italiana – ha voluto ricavare dal messaggio di Cristo una sollecitazione a rigenerarsi […] ad una renovatio: cioè̀ a un ritorno dell’umanità ai valori del Cristianesimo delle origini e a quelli universali dell’impero di Roma e della cultura latina» (G. Ferroni, Profilo storico della Letteratura italiana, pp.10, 68 e sgg.).
Il 15 luglio 1274 nella città francese di Lione muore Bonaventura da Bagnoregio: una delle figure più prestigiose del Duecento, il «dottor serafico», l’uomo dal «potere mistico della parola» (G. Ferroni).
Nasce, in realtà, con il nome di Giovanni Fidanza in una data incerta compresa tra il 1217 e il 1221 nella cittadina di Bagnorea/Bagnoregio (un toponimo che probabilmente deriva da Balneum Regis, in riferimento alla presenza di acque termali dotate di particolari proprietà terapeutiche che secondo una leggenda avrebbero guarito da una grave malattia il re longobardo Desiderio).
Lo stesso filosofo narra che, ammalatosi gravemente da bambino, fu risanato dallo stesso san Francesco in persona il quale, segnandolo con il segno della Croce, che avrebbe pronunciato le seguenti parole: «Bona ventura». Da allora, il padre che era un medico e tutta la famiglia, lo chiamarono Bonaventura.
All’età di diciotto anni va dapprima a studiare e poi a insegnare nella celeberrima università parigina, dove ha per maestro Alessandro di Hales. Nel febbraio del 1257, a soli quarant’anni, fu eletto Ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori. Una carica che conserva fino alla sua morte.
All’inizio, circa, del 1260 scrive la Legenda Maior – una nuova biografia del Poverello di Assisi – una biografia che sostituisce tutte le altre vite esistenti e che si pone l’obiettivo di rinsaldare l’unità dell’Ordine, lacerato dalle lotte tra Spirituali e Conventuali. Alla Legenda Maior si ispira e intinge – come se fosse una tavolozza – i suoi colori Giotto per dipingere il ciclo delle storie di san Francesco nella Basilica superiore.
Bonaventura fu canonizzato da papa Sisto IV nel 1482, mentre, il 14 marzo 1588 il papa francescano Sisto V lo annovera tra i dottori della Chiesa latina (Ambrogio, Agostino, Girolamo e Gregorio Magno) accanto all’amico san Tommaso d’Aquino.
In estrema sintesi, il pensiero filosofico di Bonaventura muove da sant’Agostino. Bonaventura subordina la Filosofia alla Teologia, in quanto l’oggetto di quest’ultima è Dio. Ergo, la filosofia può solo aiutare la ricerca umana di Dio riportando l’uomo alla propria dimensione interiore. Bonaventura si oppone alla tradizione aristotelica – che conosce bene e alla quale presta molta attenzione. Nel suo sistema filosofico, di matrice agostiniana e neoplatonica, Bonaventura, considera tutta la realtà una «scala» per ascendere a Dio. L’universo, agostinianamente inteso, è un «libro» in cui è custodito, racchiuso il vestigium, l’impronta, la traccia della sapienza divina.
Tra le numerose opere ricordiamo soprattutto il famosissimo Itinerarium mentis in Deum, un vero manuale di contemplazione, che indica le tappe del viaggio intellettuale per giungere alla visione di Dio.
Nel XII canto del Paradiso il francescano Bonaventura ricorda la vita e le opere di san Domenico di Guzman (vv. 46-72) e rimprovera i francescani (vv.115-120) che hanno dimenticato l’esempio e gli insegnamenti del Poverello d’Assisi:
La sua famiglia, che si mosse dritta
coi piedi a le sue orme, è tanto volta,
che quel dinanzi a quel di retro gitta;
e tosto si vedrà de la ricolta
de la mala coltura, quando il loglio
si lagnerà che l’arca li sia tolta.
(I suoi seguaci, che prima seguivano dirittamente coi piedi le orme di Francesco, ora sono tanto deviati che camminano a ritroso; e presto ci si accorgerà del raccolto di questa cattiva coltura, quando il loglio (= i francescani degeneri) si lagnerà di non essere messo nel granaio [coi francescani fedeli]).