Alessandro Quasimodo, figlio del poeta italiano, Salvatore Quasimodo, con il Prof. Francesco Pira
Il Premio Nobel siciliano merita di essere ricordato per la sua denuncia sociale: si rivolge ai giovani e agli uomini affinché non commettano più gli stessi errori compiuti durante i due conflitti mondiali, dai quali è emersa la ferocia dell’essere umano che affonda le sue radici nella notte dei tempi.
Ci sono emozioni che provocano più che brividi nella schiena. E così accade che nella città dove hai vissuto la tua infanzia ed adolescenza, dove a scuola hai studiato un grande scrittore e poeta, Premio Nobel della Letteratura, come Salvatore Quasimodo, lo stesso, viene celebrato. Ed a scoprire una lapide a suo nome è il figlio Alessandro, regista e attore, anche lui poeta. Il merito di questa celebrazione 54 anni dopo la sua morte, e 100 anni dopo la sua permanenza a Licata, in provincia di Agrigento, una bella manifestazione e la scopertura, appunto, di una lapide permettono di condividere per alcune ore la sua grandezza, grazie anche alla presenza del Presidente del Parco Letterario intitolato al Nobel a Roccalumera, l’avvocato Carlo Mastroeni, che ha brillantemente relazionato. Anima dell’evento la professoressa Carmela Zangara, docente di lettere e appassionata di ricerca Presidente dell’Associazione Memento, che ha concluso i lavori dell’incontro e che con l’amministrazione comunale di Licata, grazie all’Assessore professoressa Violetta Callea (all’evento era presente anche il sindaco dottor Giuseppe Galanti) e i Club Service Lions, con la Presidente locale avvocato Gloria Incorvaia e la Presidente di Zona, dottoressa Angela Licitra, e officer e presidenti di club della provincia e Rotary con il Presidente dottor Gioacchino Inguanta ha reso orgogliosa Licata del fatto che per un periodo lo scrittore ha vissuto nella città del mare.
Prima della scopertura della lapide e la declamazione di una poesia del padre da parte di Alessandro Quasimodo, si è svolto un salotto culturale, coordinato dal professor Giacomo Mulè dell’Università Kore di Enna, a cui ho partecipato insieme ai professori Calogero Carità (Dirigente Scolastico e Direttore Scientifico di Memento), AnnaMaria Milano (Docente e Responsabile Comunicazione dell’Istituto Marconi), Maurizio Cellura (Università di Palermo e del Comitato Scientifico di Memento) e all’avvocato Carlo Mastroeni anche Past Presidente del Lions Club Roccalumera- Quasimodo.
Fatta questa premessa mi piace ritornare sui temi che ho brevemente proposto durante il mio intervento che sottolineano la grande attualità del pensiero di Salvatore Quasimodo.
Nato a Modica (Ragusa) nel 1901, Salvatore Quasimodo trascorre l’infanzia e la giovinezza in Sicilia, spostandosi in diverse città in cui veniva trasferito il padre ferroviere. Tra le città in cui visse, per qualche anno, c’è anche Licata.
Si iscrive alla facoltà di Ingegneria a Roma, ma le difficoltà economiche lo costringono a interrompere gli studi. Nel frattempo studia da solo il greco e il latino e scrive le prime poesie. Nel 1930 viene invitato dal cognato Elio Vittorini a Firenze, dove entra in contatto con i poeti ermetici. Proprio Elio Vittorini sposò Rosa, sorella di Quasimodo, nata a Licata nel 1905.
La prima raccolta poetica di Quasimodo, Acque e terre (1930), cui seguirà Oboe sommerso (1932). Nel 1934 si stabilisce a Milano e nel 1941 ottiene la cattedra di letteratura italiana presso il conservatorio. In questi anni la creazione poetica è accompagnata da un’intensa attività di traduttore. Nel 1942 esce una nuova edizione dei suoi versi con il titolo Ed è subito sera. L’esperienza della guerra provoca nel poeta un profondo cambiamento che lo induce a prendere le distanze dalla poetica dell’Ermetismo e ad assumere posizioni impegnate sia in campo politico sia letterario. Una coscienza sociale caratterizza le poesie delle raccolte successive come ad esempio Giorno dopo giorno (1947). Nel 1959 ottiene il premio Nobel per la letteratura. Muore a Napoli nel 1968
La seconda guerra mondiale ha avuto un fortissimo impatto sulla vita delle persone e, inevitabilmente, anche su quella dei poeti come Quasimodo che si trova a vivere l’occupazione nazista a Milano. Proprio sull’esperienza della guerra voglio ricordare una delle sue poesie più significative che prende il titolo di “Uomo del mio tempo” ed è contenuta nella raccolta Giorno dopo Giorno del 1947. (Questa poesia è stata inserita anche all’interno del volume: “Salvatore Quasimodo e Roccalumera. Io non ho che te cuore della mia razza” di Carlo Mastroeni e Federico Mastroeni, pag. 96).
“Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore”.
Alcuni spunti sociologici
Attraverso questi versi Quasimodo, grande comunicatore e interprete della società del suo tempo, compie un rapido viaggio attraverso i millenni e l’evoluzione umana, mostra il permanere nell’uomo dei medesimi tratti di violenza e di odio. Le scoperte tecniche e scientifiche hanno rafforzato questa tendenza: l’essere umano, purtroppo, sa trarre da ogni scoperta il lato peggiore, quello più distruttivo. L’unica speranza, secondo il poeta, è riposta nei giovani che devono avere la forza di dimenticare i padri, ovvero di dimenticare chi, prima di loro, ha riempito il mondo di sangue.
La poesia è costruita sui temi del dolore, della sofferenza, delle armi e dell’odio. Il progresso e la tecnica sono ricondotti a questa dimensione. Il tempo e lo spazio vengono resi universali dal messaggio che Quasimodo vuole veicolare. Il poeta si ricollega anche alla vicenda biblica di Caino e Abele, che offre lo spunto per ribadire i legami umani, anche quelli tra fratelli di sangue, che possono essere sporcati dai peggiori sentimenti. Il verbo dimenticare, versi 14-15, introduce un nuovo elemento di riflessione e di speranza che coinvolge le nuove generazioni. Purtroppo, il finale rimane negativo con il riferimento alle tombe, alla cenere e agli uccelli neri.
Si possono rintracciare diversi elementi nella poetica di Quasimodo che rispecchiano la situazione che stiamo vivendo a causa del conflitto russo-ucraino.
Non abbiamo ancora smesso di aver paura di un virus di cui non conoscevamo l’esistenza e già sentiamo il peso di un’altra paura. Un terrore che sentiamo a volte vicinissimo e a volte lontanissimo. I Media trasmettono un escalation di informazioni su questa guerra tra Russia e Ucraina che continua a tenere il mondo col fiato sospeso.
I giovani, che anche Quasimodo cita all’interno della sua poesia, hanno vissuto due anni terribili a causa della pandemia e hanno iniziato a vivere le loro vite rinchiusi nelle loro camerette e la mia ultima ricerca dimostra come abbiano trascorso 5/6 ore online.
Questo cambiamento di stile di vita ha peggiorato alcune dinamiche che palesano disagi già latenti nei nostri giovani. Quando non si riesce a gestire il rapporto con le nuove tecnologie le conseguenze sono molto gravi (e Quasimodo aveva parlato dei risultati estremi del progresso, visto che la seconda rivoluzione industriale portò alla costruzione di nuove armi da guerra).
Oggi, la globalizzazione ha cambiato il modo di comunicare e l’avvento dei social media sta rappresentando il terreno ideale dove sfruttare la disintermediazione per gestire la comunicazione come strumento di consolidamento del potere.
Infatti, fin dal primo momento la comunicazione di Putin e Zelensky è stata orientata in un certo modo e le immagini che ci arrivano, cosi come le notizie, ci spaventano e destabilizzano.
Ho avuto modo di parlare con tanti giovani, in questi ultimi mesi, e ho percepito la loro forte preoccupazione. Questa idea di una guerra nucleare imminente, e il pensiero che ognuno di noi possa essere in qualche modo coinvolto, ha allarmato particolarmente preadolescenti e adolescenti. Ho partecipato a tanti incontri nelle scuole in presenza oppure online e ho avuto la sensazione di una forma di smarrimento molto forte. In questo momento, ci sono tanti bimbi che chiedono se da grandi saranno costretti ad arruolarsi o a partire per andare a difendere i confini italiani. Domande che ci sembrano lontane anni luce da quell’idea di pace che avevamo, perché nessuno di noi è nato e cresciuto con l’idea della guerra.
A soffrire non sono solo i giovani ma anche gli anziani. I dati ci dicono che gli anziani, negli ultimi due anni, hanno subito l’accanimento di diverse forme di odio e questo è deve farci riflettere seriamente.
L’anziano rappresenta la memoria e il ricordo. Oggi, da sociologo della comunicazione, mi rendo conto che la memoria è solo esclusivamente la galleria dei nostri smartphone o le cartelle dei nostri Pc. Prima la memoria non era fatta da video o da selfie, ma c’erano le narrazioni dei nostri nonni.
In questi giorni, tanti sono i racconti dei nonni che hanno vissuto la guerra e con le loro parole ci aiutano a capire cosa siano state la fame, la paura e l’ansia di quegli anni. Qualche tempo fa un anziano, dopo aver sentito e visto quanto sta accadendo in Ucraina, mi ha detto: “Io voglio morire perché non avrei mai pensato che le persone che comandano nel 2022 potessero decidere di fare una terza guerra mondiale”.
Questo ci fa capire la gravità della situazione e quanto sia importante ritrovare la pace e la serenità in tutto il mondo. Una pace che non è presente, molto spesso, nemmeno all’interno delle famiglie. L’accento che Quasimodo pone alla vicenda biblica di Caino e Abele ci portano a ragionare sui tanti omicidi efferati che avvengono all’interno dello stesso nucleo famigliare. I recenti casi di cronaca riportano la morte della piccola Diana morta di stenti, poiché la madre l’ha lasciata sola per trascorrere una settimana col nuovo compagno; la morte della giovane madre catanese, Valentina Giunta, per mano del figlio.
Tanti i casi e drammi che si consumano quasi quotidianamente. L’Istat qualche tempo fa ci ha ricordato che gli italiani sono affetti da cattivismo. Purtroppo questo non ci consola.
Uccidere un altro essere umano significa non dare valore alla vita che per noi cattolici cristiani è un dono di Dio e soprattutto vuol dire non amare. Siamo in piena emergenza educativa e dobbiamo ripartire da quello che ci sembra orrendo e terribile per dare un volto nuovo alla nostra società.
Ecco, perché Quasimodo ancora oggi merita di essere ricordato per la sua denuncia sociale: si rivolge ai giovani e agli uomini affinché non commettano più gli stessi errori compiuti durante i due conflitti mondiali, dai quali è emersa la ferocia dell’essere umano che affonda le sue radici nella notte dei tempi.