Alle 16:30 del 2 luglio sono entrato nello splendido gioiello di Piazza del Campo, «una conchiglia di urbanistica che ci arriva direttamente dal Medioevo», e sono rimasto ammutolito: una folla straripante, trattenuta a stento dalle transenne, riempiva la parte centrale del foro senese, mentre tutt’intorno dalle finestre e dai balconi, dai palchi adiacenti al percorso, da qualsiasi punto si potesse assistere alla corsa, si ammirava la sfilata delle contrade, riportandoci indietro di secoli: alla civiltà comunale fatta di lavoro produttivo e di partecipazione allo sforzo collettivo foriero di scontri e di maturazione dei valori che furono a fondamento, prima in Italia e poi nel resto d’Europa, della civiltà dell’Umanesimo e del Rinascimento. Quel Rinascimento che assieme al Risorgimento, alla Resistenza e alla Repubblica rappresenta uno dei passaggi epocali più significativi della storia d’Italia.
Ma il momento più emozionante arriva «sul far del crepuscolo» non perché hegelianamente la nottola di Minerva inizia il suo volo, bensì per l’ingresso in Piazza del Campo dei cavalli con i loro cavalieri dai costumi variopinti. Improvvisamente scende in quel luogo magico un silenzio irreale ché si potrebbe udire a distanza il suono delle parole bisbigliate all’orecchio della persona vicina.
A motivo del sorteggio si sono complicate subito le cose, e il mossiere ha dovuto faticare non poco: non per caso, è stato costretto a far allontanare i cavalli dal canape per ben quattro volte(!), perché si sono trovate affiancate le contrade dell’Onda e della Torre – «nemiche asimmetriche» – e la situazione è diventata incandescente per le manovre della Chiocciola (l’ultima estratta che «di rincorsa» decide l’inizio della corsa), rivale storica della Tartuca. Nel tempo sospeso di quegli istanti, ammesso che il tempo esista(!), l’atmosfera diventa ipnotica ed eccitante, magnetica e incantata, seducente e mesmerica, mentre siamo con tutti i muscoli contratti e i sensi pronti a catturare qualsiasi dettaglio di quella irripetibile e pur ricorrente realtà, Violenta da Clodia montata da Tittìa, Giovanni Atzeni, vince il Palio suscitando la gioia incommensurabile dei contradaioli della Selva.
Nella poesia «Palio», contenuta nella raccolta «Le occasioni», Eugenio Montale descrive la corsa come un volo nel quale passato e presente confliggono e cercano un’intima, difficile riappacificazione «nel giorno dei viventi».
Aldo Palazzeschi coglierà la malìa di Siena e lo spettacolo della piazza percorsa da una febbre collettiva, dove «si gioca alla discordia»: «L’ammasso umano compatto contratto rattrappito, nel crepuscolo denso, […] dopo una scena di colore, come non vidi mai più bella, mentre il treno correva portandomi lontano da quelle mura che un miracolo conservava ai nostri occhi, e dove i più schietti parlatori di italiano giuocavano con tanta grazia alla discordia, astutamente solleticando l’istinto profondo che dorme nell’uomo e sonnecchia».
FOTO: CLAUDIA ESPOSITO