Si avvicina il momento della pubblicazione della manovra finanziaria 2023. E il governo appare già in fibrillazione. Dove trovare i fondi per coprire le spese? Come ogni anno non mancano le proposte. Alcune assurde. Altre discusse e discutibili. Come quella di introdurre nuovi tagli alla sanità pubblica già in crisi dopo due anni di taglio dei fondi (se non in termini assoluti, certamente in termini di percentuale del PIL nazionale). A proposito del PIL non bisogna dimenticare che una parte dei fondi dovranno servire a coprire le spese delle promesse fatte dall’attuale governo. Come quella di regalare armi e armamenti all’Ucraina: da quando è iniziata la guerra, l’Italia avrebbe “regalato” quasi un miliardo di euro per la maggior parte non in aiuti concreti (circa un quarto del totale), ma in armi. Altra voce da sempre oggetto di critiche il recupero delle somme dovute dai debitori: la percentuale delle somme legate a evasione e simili rimane bassa, nonostante gli sforzi compiuti.
Ma c’è una voce che potrebbe consentire al governo di recuperare circa un miliardo di euro (e non sono pochi), ma della quale non si parla mai: le multe che l’Italia paga all’UE. Secondo la relazione presentata alle Camere lo scorso marzo dal ministero dell’Economia, di concerto con quello degli Affari europei, le “multe” e le sanzioni pagate dall’Italia all’Unione europea per le diverse procedure di infrazione che gravano sul nostro Paese ammonterebbero a oltre un miliardo di euro. Di queste 877,9 milioni riguarderebbero sanzioni pecuniarie (281,8 milioni per le discariche in Campania e 252,8 milioni per altre discariche abusive su tutto il territorio nazionale). E poi 114 milioni per il mancato recupero degli aiuti concessi alle imprese nel territorio di Venezia e Chioggia. Secondo gli esperti di palazzo Madama “non essendo stata ancora archiviata nessuna delle infrazioni allo stadio di sentenza, le somme versate dall’Italia a titolo di sanzione risultano, per il protrarsi delle penalità di mora, sensibilmente maggiori rispetto a quelle indicate” dal documento governativo, che ha un orizzonte fino al 30 giugno 2022.
Complessivamente le procedure di infrazione pendenti sarebbero 91: 59 per violazione del diritto dell’Unione e 32 per mancata attuazione di direttive. Invece, secondo gli esperti del Senato, “le procedure d’infrazione a carico dell’Italia” sarebbero un po’ di meno: solo – si fa per dire – 83, di cui “59 per violazione del diritto dell’Unione e 24 per mancato recepimento di direttive”. Un numero che pone l’Italia al quinto posto tra i Paesi Ue più multati.
Una posizione che i vari governi sembrano non voler perdere. I dati sulle procedure di infrazione e relative multe, aggiornati al 28 settembre 2023, parlano di 1.724 le procedure aperte contro i Paesi membri. In testa la Spagna con 95, seguita dal Belgio (una meno), la Bulgaria (92), la Grecia (90) e la Polonia. Subito dopo l’Italia.
Procedure di infrazione nei settori più disparati: vanno dal trattamento delle acque reflue al mancato adeguamento dei livelli di sicurezza delle gallerie alla direttiva 2004/54/CE. Dall’eccessivo ricorso ai contratti a termine nel settore pubblico (la procedura del 2018 condanna l’utilizzo abusivo per diverse categorie di lavoratori tra le quali insegnanti e personale amministrativo) fino allo scorretto recepimento della direttiva antiriciclaggio. Dalle discariche abusive alla rete fognaria allo scarso utilizzo degli impianti di depurazione. E molto altro ancora.
Unica consolazione, forse, sapere che non esistono in Ue Paesi virtuosi: quelli che hanno meno infrazioni sono l’Estonia (39), la Lituania (40) e la Finlandia (45).
Ma c’è poco da gongolare. Se si considerano le infrazioni finite davanti alla Corte di Giustizia, qui l’Italia è al primo posto assoluto: sono ben 23 procedure in contenzioso. Dopo l’Italia la Grecia (19), la Polonia (17) e l’Ungheria (15).
Ancora una volta, le procedure riguardano temi caldi seppure discutibili: dall’esenzione dalle accise sui carburanti degli yacht a noleggio (la normativa europea impone lo sconto solo per le imbarcazioni usate a fini commerciali come pescherecci e traghetti e non per chi affitta barche a uso personale) al superamento delle soglie di inquinamento legate al microparticolato delle città (ma in realtà in tutta Europa l’aria delle città è irrespirabile), dal ritardo dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione verso i fornitori (la direttiva 2011/7/EU prevede un limite di 30 giorni per il saldo delle fatture, ma i tempi medi si aggirerebbero sui 70 giorni) al recupero dei prelievi arretrati sulle quote latte (oggetto in passato di proteste ora cadute nel dimenticatoio).
L’aspetto più sorprendente è che l’Italia molte di queste multe le paga da anni. E nessuno dei governi che si sono succeduti è stato in grado di fare niente di concreto per far cessare questo spreco miliardario. Eppure, in alcuni casi non sarebbe difficile. Ad esempio, per quello che riguarda il trattamento delle acque, in alcuni casi gli impianti esistono già, manca solo il relativo collaudo. Ma nessuno provvede. Né amministrazioni locali né il governo centrale che, nel migliore dei casi, si limita a scaricare l’onere finanziario delle sanzioni dell’Ue sui comuni e, quindi, sui cittadini (storica, a tal proposito, la decisione del “governo del fare”).
La conclusione? Da un alto i cittadini sono costretti a pagare miliardi di euro per la cattiva gestione e il mancato rispetto degli accordi imposti da Bruxelles. Dall’altro i governi continuano a sprecare somme enormi senza ottenere niente in cambio.