“Ad ovest di Paperino”, un titolo surreale quanto la storia che si racconta

Articolo di Gordiano Lupi

Alessandro Benvenuti sceneggia (si fa per dire) il suo romanzo I principi piccioni e porta al cinema la comicità surreale e cabarettistica dei Giancattivi, reduci dai successi televisivi de La sberla e Black out. Appena il tempo di far debuttare Nuti su grande schermo e il gruppo si scioglie, addirittura ci sono problemi a girare il finale del film, perché la crisi si fa insostenibile nelle ultime settimane di riprese. Erano troppi i galli nel pollaio – dirà Nuti negli anni Novanta -, dopo tutto un gruppo di cabaret è una scuola, serve per imparare il mestiere, poi ognuno deve volare con le sue ali. Ad ovest di Paperino è un esempio memorabile di come nei primi anni Ottanta si potesse portare al cinema una non storia – basata su nonsense e gag surreali – sfruttando la popolarità di un gruppo cabarettistico. Non furono soltanto I Giancattivi a tentare la strada del cinema, ricordiamo I Gatti di Vicolo dei Miracoli, accomunati da identica sorte: lo sfaldamento del gruppo con l’attore più istrionico (Jerry Calà) diventato solista di successo. Ad ovest di Paperino è un titolo surreale quanto la storia che si racconta, sfrutta una battuta iniziale che cita la poco nota frazione di Prato (Paperino, appunto). “Dove si va?”, dice Nuti. “L’hai presente Paperino? A ovest!”, risponde Benvenuti. Film on the road, girato per le strade meno note di Firenze, come una zingarata cittadina, a base di scherzi assurdi (scolastiche toccate di sedere e camomille rubate al bar), incontri con tipi strampalati, preti che raccontano a tutti la stessa storia, famiglie che non comunicano, baristi che vorrebbero vedere giovani consumare e vecchie beghine spaventate dai ragazzi troppo diversi. Tutto accompagnato dalla storia surreale narrata da Marta, finta suicida salvata da Augusto e Antonio, che ha per tema la madre e la nonna entrambe morte a trent’anni e uno stormo di piccioni trasformato in uomo per diventare marito. I due amici fingono di credere alla trovata balorda di Marta – che si diverte a fare crudeli dispetti a tutti, soprattutto ai bambini, e ama soltanto i piccioni – e vagano per le strade della città alla ricerca di qualcuno che possa avvalorarla. Ma non è importante la trama – di per sé inconsistente – quanto la recitazione, i silenzi, i tempi comici, in una parola l’afflato interpretativo che lega il gruppo, unito sulla scena per quanto si stava sfaldando nella vita. Firenze è ripresa in vedute atipiche e non banali, mai da cartolina, negli angoli più veri e nelle strade più anguste, tra mercati e quartieri popolari. Battute ficcanti e scene memorabili, dalla richiesta di Tuttosport all’edicola (E se si dà tutto a lui, a noi che ci resta?) al racconto di Novelli sui quarant’anni di silenzio passati alla Sip (Ci so’ stato bene? Ci so’ stato male? Ci so’ stato…), passando per l’impiegato dell’ufficio di collocamento che non aiuta i disoccupati a compilare il modulo e per l’amico strafatto (O che hai fatto? Mi so’ fatto. Hai fatto bene? Potevo non fammi. Mi so’ fatto). Ad ovest di Paperino si ricorda soprattutto per alcune sequenze comiche da cabaret surreale, anche se non può dirsi un film risolto e uniforme, perché risente di troppi momenti morti e il ritmo delle gag non sempre resta alto. Momenti migliori l’incipit e un sorprendente finale dove si cita Zabriskie point con lo scoppio (soltanto immaginato) dell’appartamento – dal quale si scorge Novello Novelli – e il successivo volo di piccioni. Ultimo lavoro dei Giancattivi, anche se i tre attori si ritroveranno alcuni anni dopo per Benvenuti in casa Gori, alcuni premi meritati, tra i quali il Nastro d’Argento a Benvenuti come miglior regista esordiente. Francesco Nuti non poteva continuare a fare il braccio destro del capocomico, il suo futuro da battitore libero era segnato. Madonna che silenzio c’è stasera (1982) vedrà il critico cinematografico Maurizio Ponzi alla regia, mentre Nuti ci regalerà un perfezionamento del vecchio personaggio incapace di crescere, in cerca di lavoro, represso dalla madre, vessato da tutti, persino da amici e bambini. Funzionerà per alcuni anni, con storie a tratti struggenti e delicate, poi l’oblio, l’insuccesso e una fine patetica, dolorosa, del tutto immeritata.

Regia: Alessandro Benvenuti. Soggetto: Alessandro Benvenuti dal suo romanzo I principi piccioni. Sceneggiatura: Alessandro Benvenuti. Fotografia: Romano Albani. Montaggio: Sergio Montanari. Musiche: Alessandro Benvenuti, Stephen Head, Dado Parisini. Scenografia: Ugo Chiti. Produttore: Gianfranco Piccioli. Genere: Commedia. Durata: 92’. Interpreti: Athina Cenci (Marta), Alessandro Benvenuti (Augusto), Francesco Nuti (Antonio Sabatini), Paolo Hendel (Veleno), Lucilla Baroni (Lucilla), Silvano Panichi (William), Dori Cei (nonna di Antonio), Riccardo Cioni (giornalaio), Franco Javarone (Notturno), Giovanni Nannini (Belvedere), Novello Novelli (padre di Antonio), Angelo Pellegrino (impiegato), Giuseppe Piacentini (Torchio), Giorgio Picchianti (pescatore), Paolo Pieri (Mario, il barista), Gianna Sammarco (vero nome: Giovanna Toccafondi – madre di Antonio), Renato Scarpa (Don Vincenzo), Daniele Trambusti (passante travolto), Marcella Ermini (Maria, madre bambino), Antonio Betti (marito di Maria), Eddy Trauba (speaker radio), Roberto Benvenuti (inquilino), Gianfranco Monti (collega di Augusto in radio). Esterni: Firenze. Titolo in lavorazione: Uno stormo di piccioni.

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