Regia di Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi. Soggetto, Sceneggiatura, Montaggio e Commento di Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi. Voce off di Sergio Rossi. Fotografia di Antonio Climati. Musiche di Riz Ortolani. Prodotto da Angelo Rizzoli per Rizzoli Film.
Sono serviti tre anni di lavoro per girare un film come questo, interessante quanto ingiustamente sottovalutato e bistrattato che all’epoca ebbe il merito di far discutere molto. Le immagini sono sensazionali e fanno scalpore, disturbano e a tratti infastidiscono, ma la cosa più indigesta è la presa di posizione in funzione nostalgica, il rimprovero mosso agli europei per aver abbandonato un continente immaturo. Africa addio è il capostipite di una serie di modesti Africa movies che banalizzano il messaggio in chiave erotico – sensazionalistico, senza poter contare sulla grande tecnica di Franco Prosperi né sull’originale scrittura di Gualtiero Jacopetti.
Diciamo subito che non abbiamo trovato aspetti di eccessiva parzialità in Africa addio, né momenti di fastidioso cinismo che hanno irritato il critico Paolo Mereghetti. Ci sono molte scene forti, il tema affrontato è delicato, la posizione politica degli autori è discutibile, ma gli elementi positivi dopo la visione del film superano di gran lunga i negativi. La fotografia africana è stupenda, la sceneggiatura e il montaggio sono rapidi ed essenziali, persino il commento esterno non è mai ridondante e stucchevole.
Jacopetti e Prosperi documentano quel che resta dell’Africa post coloniale senza fare un discorso razzista e soprattutto senza indulgenze colonialiste. Gli autori puntano il dito sugli europei che hanno abbandonato il continente nero proprio quando avrebbe avuto più bisogno di aiuto. Le scene forti sono molte e su alcune è caduto il sospetto della ricostruzione a tema, come nel caso di una fucilazione girata a comando, prima sospesa ed eseguita solo dopo aver cambiato obiettivo.
Al di là di questi legittimi (e mai provati) dubbi, il film è un documento importante di un periodo storico che racconta le vicende dei terroristi Mau – Mau, lo sterminio degli animali nei parchi, le rappresaglie dei Simba, i mercenari in Congo e in Angola, le contraddizioni razziali in Sudafrica. La realtà di Jacopetti non è falsata, forse in alcuni casi non gira in presa diretta ma filma scene sulla base di racconti basati da fonti di prima mano. Africa addio sembra un film verità, meglio ancora un film denuncia, una docufiction ante litteram, adesso così di moda.
L’apertura di pellicola è nostalgica, parla di una nuova Africa che nasce sulle ceneri del passato e il film vuole documentare la sua agonia. Vediamo immagini di persone che arringano folle strabocchevoli, volti di vecchi sdentati, primi piani di occhi sofferenti, ma anche truppe che sfilano in parata militare e su tutto si estende lo spettacolo grandioso del cielo africano. Jacopetti sottolinea la differenza tra bianchi e neri anche in un esercito, sottolineando la maggior rigidità formale dei soldati europei.
Vediamo la nuova borghesia africana che prende il posto dei colonizzatori, un party frequentato da bianchi e neri conclude due secoli di storia. L’ultimo rappresentante di Sua Maestà Britannica abbandona l’Africa a se stessa, nel momento in cui tutto è più difficile, senza dare il minimo aiuto per un’effettiva indipendenza. Il tema di fondo del film è proprio questo, le immagini sono montate ad arte per avvalorare una tesi che è presente sin dalla prima sequenza. Vediamo manifestazioni di piazza, distruzioni di uova portoghesi, arance e birra sudafricana, come invisi prodotti coloniali.
Alcune sequenze riportano a un passato schiavistico con una finta caccia alla volpe tra aristocratici che vede un nero correre al posto dell’animale mentre tiene in mano una coda finta. Jacopetti parla dei processi ai Mau – Mau, accusati di cannibalismo e di oscenità, colpevoli di aver ucciso animali, reciso tendini a bovini e massacrato persone indifese. I Mau – Mau fomentavano le rivolte contro i bianchi e contro gli allevatori perché volevano la terra del Kenia per le loro coltivazioni.
Le sequenze che vedono gli africani riappropriarsi delle terre alla partenza dei bianchi sono girate in uno stile perfetto, con una fotografia intensa, ralenti, movimenti di macchina dosati e avvolgenti. Il commento musicale è sempre suggestivo e il montaggio non presenta tempi morti. Jacopetti mostra la distruzione delle case dei bianchi da parte dei neri che si accampano all’interno come nuovi proprietari.
“La terra prima era troppa per pochi, mentre adesso è poca per troppi”, dice la voce fuori campo, mentre subito dopo Jacopetti afferma che il cavallo è il simbolo dell’uomo bianco, è razzista, non frequenta le altre specie, è timido e inutile. Le scene più scioccanti del film riguardano gli animali perché i registi filmano cacce selvagge a zebre, bufali ed elefanti. Vediamo un safari con un elefante abbattuto da un bianco a colpi di fucile, ma subito dopo viene mostrato il più cruento metodo di caccia degli indigeni. Antilopi, bisonti, elefanti, ippopotami sono massacrati a colpi di lancia e cadono stremati sotto una macabra serie di colpi.
Si tratta di sequenze scioccanti, le lance penetrano i corpi e il sangue scorre a fiumi. La caccia ai coccodrilli e il massacro sistematico dei leopardi a opera dei cacciatori di frodo non sono meno cruenti. Stupenda la scena di una piccola zebra portata via al tramonto da un elicottero: l’animale pare levarsi in volo nel rosso cielo africano. Jacopetti e Prosperi filmano una strage di musulmani a Zanzibar, scene di rivolte, lotte con gli arabi e fosse comuni piene di cadaveri.
“Siamo in presenza di un nuovo razzismo africano e la colpa è soltanto dei colonialisti che hanno abbandonato l’Africa a una serie di guerre civili”, affermano gli autori. Non è facile dire se le scene dei massacri sono vere o semplicemente ricostruite, ma quel che interessa è che si tratta di fatti storici. Le guerriglie africane sono ben documentate, ma Jacopetti e Prosperi trovano il modo di immortalare un volo di un pellicano che segue il tempo della suadente musica di Riz Ortolani.
Le macabre sequenze di guerra e di morte restano il piatto forte della pellicola, vediamo i watussi e i bantu che combattono in Uganda, ma anche la palude degli ippopotami massacrati dagli uomini. Gli africani la chiamano operazione vendemmia, ma si tratta di una serie di eccidi di elefanti, antilopi e ippopotami per vendere carne nei mercati. La mattanza degli ippopotami è feroce, il sangue e lo scannamento delle carni invade lo schermo, mentre avvoltoi si cibano di resti e carcasse animali restano lungo la savana.
Le macabre sequenze sono da film denuncia e si alternano alla descrizione della diversa realtà sudafricana caratterizzata da una dura politica di apartheid. Secondo Jacopetti, il Sudafrica non è Africa ma è una parte di Inghilterra capitata per caso nel continente nero. La femmina africana sta cambiando, non è più nuda come nel cinema, ma riesce a fare la civetta, si veste e si trucca per farsi guardare.
L’Africa cambia, consapevole che si sta aprendo una nuova epoca, persino i leoni non cacciano più il cibo, ma vengono sfamati dai custodi delle riserve come attrazioni per un circo a cielo aperto. I problemi del nuovo continente restano enormi dopo l’improvviso abbandono coloniale. Il Tanganica è sconvolto dalle rivolte contro i musulmani, la folla si accanisce contro i nuovi sfruttatori e persino la troupe di Jacopetti si trova in pericolo.
Verità o costruzione scenografica non è facile dirlo, ma la spettacolarizzazione di drammatiche vicende storiche serve a dare forza alla denuncia. La macabra pulizia etnica dei Simba che uccidono e cannibalizzano è dura realtà, così come fanno parte della storia le truppe mercenarie che combattono in Angola. Non importa sapere se le scene di guerra sono vere o false, interessa che rappresentano il documento di una realtà storica.
La critica alla guerriglia congolese è sicuramente di destra, ma è bene tener presente siamo di fronte a uno spettacolo cinematografico che non va giudicato per le idee che esprime ma per come riesce a esporle. La tanto criticata scena della fucilazione sospesa per cambiare la macchina da presa non ha l’importanza che molti critici hanno voluto affermare.
Vero che si tratta di un’esecuzione sommaria che alimenta il gusto per il macabro, ma l’intera pellicola non può essere ricondotta a uno sterile esercizio sadomasochista come fanno molti storici del cinema di sicuro più preparati di noi, ma forse meno appassionati di generi. Africa addio è un documentario importante che fotografa il continente nero in un momento difficile della sua esistenza e pone l’accento su molti problemi che ancora oggi sono ben lontani dal dirsi risolti.