Erano anni che mancavamo dal Teatro di via Pier Lombardo e immantinente, quanto inaspettatamente, ci ha colto un piacevole stato di reviviscenza: abbiamo assaporato l’eco della voce dell’indimenticato Parenti, quella voce roca, graffiante, lungi dalle “belle voci” attoriali in voga all’epoca. Quella voce che, a noi ragazzi che ci affacciavamo con cucciolesca voracità nel mondo teatrale, ci incuriosiva ed avvinceva. Con scarsi mezzi, nondimeno carichi di entusiasmo, l’attore, insieme ad Andrée Ruth Shammah, rilevarono il cinema Continental e lo trasformarono nel Salone Pier Lombardo, uno spazio atipico e coraggioso che propose, lodevolmente, da subito, opere tutt’altro che facili. E chiudiamo qui la gradita ricordanza.
Pure adesso, a distanza di quasi quarant’anni, è possibile assistere all’ex Pier Lombardo (ora Franco Parenti), a degli spettacoli di qualità. È questo il caso di “Resurrexit Cassandra” di Ruggero Cappuccio, ideazione, regia, scenografia, film di Jan Fabre (ha debuttato il 30 novembre scorso). Cominciamo dal titolo “Resurrexit” (è resuscitato). Il rito del Resurrexit, risalente al Medioevo, si svolge durante la Veglia pasquale per celebrare la risurrezione di Cristo.
Cassandra appartiene alla mitologia Greca. Figlia di Priamo e di Ecuba possedeva la facoltà della preveggenza. Secondo la tesi maggiormente accreditata, questa dote la ricevette da Apollo, il quale si aspettava poi di ricevere, secondo gli accordi presi, il suo amore. Però Cassandra non rispettò la parola data con la conseguenza che Apollo, sputandole sulle labbra, la castigò relegando le sue profezie nel novero di ciò che rimane inascoltato.
Il drammaturgo Ruggero Cappuccio compie la magica operazione che l’arte della finzione consente, di fare resuscitare Cassandra che, appassionata oratrice, compie un viaggio mutando sembianza, al pari d’un serpente, simbolo della duplicità dell’Uomo che si barcamena, oscillando similmente ad un pendolo, dal male al bene, senza mai propendere decisamente per l’uno o per l’altro, in un’apparente armonia.
Si tratta d’una Cassandra proteiforme la quale, man mano che la storia dell’umanità prende corpo, cambiando d’abito diviene, oltre che vittima, divinatrice e meretrice, malvagia creatura…ma soprattutto amica dell’Umanità. Essa, sin dall’antichità, distilla profezie tese a lumeggiare i pericoli che incombono su di Noi, ci indica con una disperazione sanguigna, commovente la Verità …ma, ahinoi!, rimane inascoltata. Flatus vocis per la nostra piccina, limitata visione del mondo, per la nostra incapacità di non cogliere il processo autodistruttivo che ci condurrà non alla palingenesi, bensì ad una definitiva scomparsa. La Cassandra della scena racchiude in sé le mille voci, sagge e lungimiranti della Storia, brutalmente tacitate.
Nel 1979 il filosofo Hans Jonas, una sorta di Cassandra al maschile, “teorico dell’etica della responsabilità” e uno dei fondatori del pensiero filosofico-bioetico, pubblicò il “Principio responsabilità”. L’umano agire che ha sviluppato la tecnica moderna, ha creato delle possibili prospettive allarmanti, catastrofiche. Alla luce di ciò L’Uomo deve, responsabilmente, elaborare una nuova teoria etica e non può più sottrarsi a degli obblighi, ormai, inderogabili. La natura, analogamente a quanto accade in taluni racconti di fantascienza, ad un dato momento, si rivolterà ed inghiottirà gli uomini riappropriandosi della Terra; così tornerà ad essere quella che era prima dell’arrivo di Adamo, ossia la sovrana assoluta.
Ruggero Cappuccio ha scritto un bel testo con un forte contenuto etico che a noi garba assai. La talentuosa Sonia Bergamasco, dotata d’un ricco armamentario recitativo, riesce a conferire al complesso personaggio di Cassandra una totale credibilità. Nutriamo, invece, qualche perplessità, a nostro sommesso parere, nei confronti della regia di Jan Fabre. Al cospetto d’un monologo uno dei rischi in cui si può incorrere è la staticità. Ebbene ascoltando le musiche di scena composte dal bravo Stef Kamil Carlens (coadiuvato per gli effetti sonori da Christian Monheim ), che sin dalle prime note ci introducono in un’atmosfera enigmatica, ci saremmo aspettati un’adeguata corrispondenza luminosa che nel corso dello spettacolo si potesse fondere con la musica, creando, di fatto, una partitura unica, una seducente simbiosi. L’illuminotecnica, con le sue straordinarie risorse, offre l’opportunità di sottrarre l’azione scenica al pericolo d’una eccessiva staticità. Senza contare il ruolo delle luci circa la sottolineatura dei moti dell’animo e la mimica dei personaggi. L’ampio utilizzo di talune immagini, talvolta persino sbiadite, che fanno da sfondo sullo schermo, ci è parso pleonastico (per es. l’apparizione continua di Cassandra che agita un’ascia).
Il palcoscenico è disseminato di statuine che rappresentano animali serpentiformi, efficacemente simbolici.
Belli i costumi disegnati da Nika Campisi e realizzati dalla rinomata sartoria Farani.
Spettacolo da vedere.