Alla scoperta di Dante Alighieri, profeta di umanità e speranza: un’intervista con Massimo Desideri

Articolo di Pietro Salvatore Reina

Nel settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri (1321-2021) la gigantesca forza ed energia poetica non solo della Commedia ma di tutta la sua opera (Vita nuova, Rime, Convivio, De vulgari eloquentia, ecc), in questo nostro confuso e «liquido» tempo, rende il Sommo Poeta un «poeta necessario» nel «cammin di nostra vita». Necessario a non smarrirci, a ri-trovare il bene anche dove tutto appare confuso e grigio. In questa intervista con il professore Massimo Desideri – già docente nei licei, autore di saggi di vario argomento e danteschi (Dante e le «donne d’amore», Gemma, Beatrice e le altre, 2015; Il volto nascosto di Dante, 2016), attualmente dirige la collana dantesca «Camminando con Dante» della Società Editrice Dante Alighieri – si rivela, ancora una volta, come la conoscenza, la lettura e lo studio di Dante segna la parabola della nostra vita. Dante ci vuole come lui e con lui pellegrini nel cammino della «virtute e canoscenza».

D.: Può raccontarci, professore Desideri, a quando risale il suo primo incontro con Dante? Come e cosa ricorda?

In realtà, parlare di primo incontro con Dante è improprio, perlomeno per me. Poiché, a un primo contatto «indifferente», come per molti, avvenuto a scuola, al liceo, sono seguiti tanti altri «primi incontri», dato che a quel primo, anonimo e un po’ «costretto», sono seguiti quelli più personali. Del resto, come dice Mandel’štam, «Leggere Dante è soprattutto una fatica interminabile, in cui ogni successo ci allontana ancor di più dalla meta». Ogni volta, insomma, che rileggiamo ciò che di Dante abbiamo già letto è una lettura nuova. Ricordo ancora, con emozione, la «rilettura» che feci del canto d’Ulisse, che a noi ragazzi, allora, toccò imparare a memoria; dopo il «dovere» subentrò un «piacere» nuovo, inconsueto e appagante, derivato dall’accrescersi della consapevolezza di ciò che leggevo. Più che il nostro insegnante – che punì, quell’anno, ricordo, un mio compagno, addirittura bocciandolo alla fine, che all’interrogazione sbagliò il cognome della moglie di Dante, in «Amici» anziché «Donati» – più che l’insegnate, dicevo, poté Dante da sé. Una suggestione, quella dei perfetti versi danteschi, che poi si sarebbe ripetuta per tutti gli anni, in cui fui io, poi, l’insegnante; che certo, però, non ho mai ritenuto di dover castigare qualcuno per aver sbagliato il cognome della pressoché sconosciuta ai più moglie del Poeta. Ben altro, di Dante e della sua vita, è bene non dimenticare mai.

D.: Quale rima, terzina o frase dantesca ha guidato e guida il suo quotidiano lavoro di docente e studioso.

Oltre al nucleo centrale del brano dantesco cui accennavo, quello d’Ulisse, il celeberrimo «Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza», che richiama tutti al dovere di perseguire la conoscenza come segno distintivo del nostro essere uomini, un altro passo ho sempre ritenuto per me fondamentale. Ed è proprio l’apertura del poema, quel trovarsi di Dante nella selva, in una crisi profonda d’identità e d’intenti, come capita ed è capitato un po’ a tutti nella vita. Soprattutto, ho sempre ritenuto straordinarie, anche, in quel passo d’apertura della Commedia, le rime significative, per cui, se si leggono in sequenza le parole in rima, si ottiene un significato aggiuntivo, allusivo, che amplifica il messaggio d’angoscia del poeta all’inizio del suo percorso (vita-smarrita; oscura-dura-paura, ecc.). Angoscia, tuttavia, che, pur apparentemente invincibile, Dante ci mostra battibile, con l’allegoria del colle illuminato dai raggi del sole, che è lì come a incoraggiarci a non perderci d’animo mai e ad aver fiducia nell’ascesa, nel superamento di tutto ciò che il nostro cammino verso l’Alto impedisce.

D.: La figura di Dante come uomo e letterato è davvero piena e completa: un politico, un poeta e scrittore, un esule con prole al seguito, un condannato a morte sempre alla ricerca della giustizia. Cosa quest’uomo oggi può davvero insegnare? Ovvero quale segno nella vita dei giovani e dei meno giovani può porre?

Davvero l’insegnamento più vitale ed universale di Dante per i giovani e per gli uomini d’oggi è la coerenza, l’etica della responsabilità, un bene che l’arrivismo politico e sociale del nostro tempo sembra del tutto avere smarrito. Dal disprezzo verso gli ignavi al rispetto per un avversario politico, come nell’episodio di Farinata, e su, fino al grande richiamo di Cacciaguida a Dante al dovere di dire sempre la verità, anche a costo del pericolo, l’esortazione del poeta della Commedia a non venir mai meno ai più alti valori morali è il filo rosso di tutto il poema. In Dante politica e vita individuale e collettiva sono inscindibili.

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