Non ci vedeva quasi più e affermava sempre di continuare a sognare a colori, in quest’epoca fatta di conflitti, intolleranze e razzismi. Aveva il rimorso di lasciare ai suoi nipoti un’Italia con un futuro complesso. Sentiva il bisogno di un cambiamento nel tentare di trasformare il nostro Paese e si era reso conto della mancanza di accoglienza, del rifiuto di fronte al fenomeno dell’immigrazione e del forte individualismo. Percepiva l’egoismo e lo condannava in ogni sua forma.
Lo scorso 6 settembre sono intervenuto ad Agrigento, presso il Consorzio Universitario, alla cerimonia per l’intitolazione dell’Istituto comprensivo di Favara, diretto dalla Dott.ssa Rosetta Morreale, ad Andrea Camilleri. Insieme a me sono stati presenti o in collegamento video: Gaetano Savatteri, scrittore e giornalista, Felice Cavallaro, scrittore e giornalista, Gaetano Aronica, attore, Valeria Di Martino, docente del dipartimento di Scienze della formazione dell’Università di Palermo, Paolo Cilona, storico, ed Enzo Alessi, regista. Hanno presieduto i lavori il Presidente del Consorzio Universitario Nenè Mangiacavallo e l’assessore alla cultura del Comune di Agrigento, Costantino Ciulla. Una meravigliosa tavola rotonda pomeridiana sul tema “Andrea Camilleri volano di rinnovata cultura nella società del futuro” che mi ha permesso ancora una volta di riflettere sul grande Maestro, inventore del Commissario Montalbano. Non è la prima volta che scrivo di Camilleri, perché ho avuto modo di evidenziare la sua personalità in due articoli scritti per il quindicinale “La Campana” che ho diretto per 5 anni.
Il grande scrittore Andrea Camilleri, oltre a vivere nel suo tempo, ha operato per il futuro. Ha sempre affermato che: “La cultura non è una cosa sacrale, non è una cosa da cult, una cosa per pochi: la cultura è di tutti. E poi, cos’è la cultura? La cultura non è solo la letteratura, la cultura è il lavoro dell’operaio, è come lavora un impiegato, la cultura è come la pensa il capo del condominio. La cultura siamo noi, perché noi siamo cultura. L’uomo è cultura”.
A dimostrare l’importanza della cultura e del futuro è l’opera Conversazione su Tiresia. Un’opera che ci aiuta a comprendere il vero valore della formazione e della conoscenza e sottolinea come dovrebbe essere la società del futuro. Un’interpretazione unica che rispecchia il passato, il presente e si proietta nel futuro.
La Conversazione su Tiresia scritta e spiegata da Andrea Camilleri è stata messa in scena per la prima volta al Teatro Greco di Siracusa l’11 giugno 2018 durante le rappresentazioni classiche organizzate dall’Istituto Nazionale del Dramma Antico.
Un monologo in cui Camilleri è stato capace di interpretare il mito e la storia del mago di Tebe, Tiresia, leggendario indovino greco il cui personaggio compare nella storia della letteratura italiana e straniera. La personalità di Tiresia ha conquistato Camilleri, al punto tale da convincerlo a mettere in scena un dialogo tra lui e i più grandi romanzieri, poeti, filosofi di ogni tempo: nel testo Tiresia discute con tutti, da Omero a Wood Allen, muovendosi verso Dante, Eliot, Pound, e Pasolini.
Un testo che è stato commentato e interpretato da tantissimi critici letterari. Dal punto di vista sociologico, è importante la terza parte del volume in cui si avverte un cambiamento di rotta della società. Camilleri riflette sulle paure e sulle incertezze per quello che potrebbe accadere, attraverso la figura di Tiresia che viene attualizzata.
Gli eroi sono gli uomini comuni che affrontano le insidie della vita, dove le città diventano il simbolo del progresso tecnico e culturale.
Le parole di Camilleri diventano monito, riflessioni, sentenze per il nostro spirito e che non appassiranno mai.
La Conversazione con Tiresia è una chiacchierata che riguarda non solo la sua vita ma anche quella degli altri. Le parole diventano un mezzo per leggere il futuro. Camilleri e Tiresia interpretano i particolari dell’umanità e c’è una frase molto significativa pronunciata da Tiresia: “Ho sentito l’urgenza di riuscire a capire cosa sia l’eternità”. Uno sguardo verso il futuro, fatto di rispetto reciproco. Infatti, in un’intervista rilasciata al Messaggero nel 2019 ha dichiarato: “Per il nostro futuro, mi piacerebbe prevedere il rispetto reciproco. Un mondo dove fosse possibile discutere di tutto senza aver bisogno di ricorrere all’insulto. Se l’Italia fosse come vorrei, evidentemente scontenterei molto gli italiani. Se potessi lanciare un messaggio alla nazione, sarebbe solo quello di non aver paura”.
Camilleri non ci vedeva quasi più e affermava sempre di continuare a sognare a colori, in quest’epoca fatta di conflitti, intolleranze e razzismi. Possedeva una sorta di profondissima fede nell’uomo, perché era convinto che l’uomo dopo aver attraversato i suoi momenti peggiori è in grado di far riemergere le sue qualità migliori.
Aveva il rimorso di lasciare ai suoi nipoti un’Italia con un futuro complesso. Sentiva il bisogno di un cambiamento nel tentare di trasformare l’Italia e soprattutto si era reso conto della mancanza di accoglienza, del rifiuto di fronte al fenomeno dell’immigrazione e del forte individualismo. Percepiva l’egoismo e lo condannava in ogni sua forma.
Durante un’intervista televisiva raccontava un episodio della sua vita: “Negli anni Sessanta, quando mi trovavo a Torino per lavorare alla Tv (…), ho visto con i miei occhi – allora che c’era la migrazione interna – i cartelli sui portoni che dicevano: “Non si affitta a meridionali”. E non è razzismo quello? Figurati se oggi si affitta agli iraniani, ai magrebini ecc. (…) Il “particulare” emerge su tutto”.
Le persone diventano numeri e il Mediterraneo un sentiero di morte e la culla della morte di quanti cercano di trovare una vita migliore. In una società così debole e con identità nazionale fragile, oggi in balia delle spinte sovraniste e populiste, la comprensione del fenomeno migratorio e la lettura della realtà incontrano ostacoli difficili da abbattere, tanto più che proprio la migrazione è uno dei temi più veicolati dall’industria della disinformazione. Le false notizie trasmettono un linguaggio che inneggia all’odio, al razzismo e al rifiuto dell’altro.
Non entro nel merito delle scelte politiche seguite dal nostro Governo, ma voglio sottolineare il palese egoismo tra gli Stati. L’Europa dovrebbe rappresentare una grande unione tra popoli e non l’ unione tra Stati egoisti. Abbiamo puntato tutto sulla globalizzazione, ma sembriamo tutti “inglobati e incastrati” più che facenti parte di un mondo globalizzato. Quando un essere umano ci chiede aiuto dovremmo cercare di supportarlo. Il grande insegnamento cattolico-cristiano ci suggerisce di sostenere quanti hanno bisogno e Papa Francesco non smette di lanciare appelli a favore dell’altro.
Nella nostra società emergono due elementi: il primo è la crudeltà e il secondo è come questa crudeltà viene narrata. La falsa e parziale rappresentazione del fenomeno migratorio alimenta la cornice della paura e condiziona chiaramente la società.
Gli individui si trovano schiacciati tra il flusso continuo di notizie e un uso senza scrupoli di alcune parole chiave specifiche e politiche che nella ricerca ossessiva del consenso, di fronte a una crisi di credibilità, sfrutta il tema come elemento per esacerbare il contrasto tra le diverse posizioni ideologiche. Dalla mia ultima ricerca, relativa alle dinamiche comunicative social, una delle caratteristiche principali che emergono è l’individualismo, la concentrazione sulla propria vita e l’egoismo.
Il sociologo Zygmunt Bauman ha parlato del senso di solitudine che travolge le nostre vita: “Oggi non siamo felici ma siamo più alienati, isolati, spesso vessati, prosciugati da vite frenetiche e vuote, costretti a prendere parte a una competizione grottesca per la visibilità e lo status”.
Non è facile oggi leggere la società senza porre i giusti accenti su quanto ci sta accadendo. Non voglio affermare che l’evento pandemico sia stato l’unico elemento scatenante e che, in questo breve lasso di tempo, abbiamo assistito ad una trasformazione improvvisa e rapida dei modelli di costruzione del nostro agire sociale.
Ma penso che questa contingenza abbia fatto emergere in modo, quasi esplosivo, processi che sono in atto nella società da tempo come conseguenza dell’impatto delle tecnologie in tutti processi sociali. Assistiamo alla proliferazione di fenomeni sempre più estremi e caratterizzati da comportamenti violenti e che riguardano in modo particolare il mondo degli adolescenti, basti pensare al cyberbullismo, al bullismo, al sexting, al body shaming ecc che hanno come protagonisti proprio i giovani.
In tutti questi atti è ravvisabile in parte quello che potremmo definire un disimpegno morale e un’incapacità di relazionarsi con l’altro. Un’era in cui la cattiveria e la crudeltà trovano terreno fertile e a dircelo sono i tanti casi di cronaca: stupri e violenze.
Un Far West di sopraffazioni e un continuo consumismo emozionale. Una violenza che si manifesta anche nel Metaverso e all’interno di un universo virtuale.
Il filosofo Edgar Morin, in una recente intervista su “La Lettura” del Corriere della Sera ha sottolineato come: “Stiamo assistendo al degrado della solidarietà come pieno riconoscimento dell’umanità dell’altro. Oggi ci sono troppe persone che soffrono la tragedia della solitudine. C’è una politica di solidarietà da sviluppare. C’è urgente bisogno di un enorme cantiere”. Mi preoccupa il fatto che nessuno si occupi di questo “cantiere”.
Abbiamo bisogno di recuperare un nuovo “Umanesimo” e gli adulti devono recuperare la loro autorevolezza. Cosa abbiamo fatto e cosa stiamo facendo per educare le nuove generazioni? Dov’è la famiglia? Non possiamo aspettare nuovi casi di cronaca e piangerci addosso ed agire “qui e ora”. Bisogna cambiare rotta ed essere capaci di trasmettere la speranza, cosi come desiderava Camilleri.